Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 191 – settembre/ottobre 2018

di Piero Pruneti

L’articolo di Sauro Gelichi su Nonantola ci presenta “briciole” di civiltà che, grazie alla professionalità e alla pazienza dei nostri archeologi, siamo riusciti a recuperare aprendo squarci di luce su una delle abbazie più antiche e famose d’Europa.

Oggi la memoria di questo complesso monastico sorto nell’VIII secolo sopravvive nella grande chiesa romanica e nel locale Museo benedettino, ma, per valutare quanto nei secoli sia andato distrutto o disperso, si pensi che dei circa duecentosessanta codici miniati realizzati dai monaci amanuensi nel prestigioso scriptorium nonantolano ne sono rimasti sul posto solo tre!

L’archeologia ci presenta il passato attraverso il linguaggio diretto delle testimonianze materiali, capaci di produrre un contatto fisico con la storia. È impressionante quel frammento di tegola con cui abbiamo voluto aprire l’articolo su Nonantola: probabilmente fu un monaco benedettino vissuto nel IX secolo a tracciare con un dito il nome, Geminiano, sull’argilla fresca, prima che il laterizio andasse in cottura nella vicina fornace, sorta anch’essa per le necessità dell’abbazia e che sempre i recenti scavi hanno riportato in luce.

Ma attenzione: quella scritta che oggi può apparirci come una sorta di esibizione gratuita, valutandola alla stregua di un graffito dei tempi nostri, in realtà all’epoca faceva la distinzione fra un mondo di totali analfabeti, dai servi della gleba fino ai vertici delle classi dirigenti laiche, e la realtà quotidiana dei monasteri, dove invece si scriveva e leggeva e dove un semplice monaco poteva permettersi un lusso riservato a pochissimi, che era anche simbolo del suo potere: scrivere il proprio nome, tracciando così un formidabile distinguo con tutti quelli che vivevano all’esterno del perimetro abbaziale.

Altre importanti briciole ci arrivano dagli scavi, come il sistema di chiusura di un codice, capace di riportarci al cuore stesso dell’abbazia, in quel luogo coltissimo e silenzioso che era uno scriptorium benedettino, indimenticabile nelle trame di Umberto Eco.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”