Incontro con Paolo Matthiae La voce della storia

a Ebla insieme al presidente Giorgio Napolitano e al presidente della Repubblica Araba Siriana Bashar al-Assad.

Archeologia Viva n. 168 – novembre/dicembre 2014
pp. 74-77

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«La scoperta di Ebla lasciò incredulo il mondo accademico»

«Quando si cominciarono a costruire città lontano dalle grandi valli fluviali»
«Il primo pensiero davanti all’archivio reale fu come salvarlo»
«Quel rapimento a Ebla che ispirò l’Iliade»
«Brutto affare quando si vuole distruggere la cultura degli altri»

Anche sui manuali scolastici, non solo italiani, si legge ormai che Paolo Matthiae è lo scopritore della città di Ebla. Ognuno di noi nella vita va incontro al suo destino o, meglio, costruisce il proprio destino un po’ per scelta e un po’ per caso. Il destino di Matthiae è stato e rimane quello di Ebla, per questa scoperta verrà ricordato.

Lui lo sa e, nonostante le sue competenze di grande esperto dell’archeologia del Vicino Oriente antico vadano ben oltre, non si sottrae all’ennesima richiesta di parlare… della scoperta e delle famose tavolette. Si deve riconoscere che racconta sempre la sua storia come fosse la prima volta, con pari entusiasmo e partecipazione e, soprattutto, rapportando la vicenda archeologica al pensiero e ai valori contemporanei.

Gli scavi e l’insegnamento di Paolo Matthiae – per molti anni ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico alla “Sapienza” – sono stati una grande scuola e diversi suoi allievi, magari passando per altri importanti cantieri dell’area vicinorientale come per esempio Gerico, insegnano a loro volta in varie università. L’dea guida è quella di una ricerca libera – non è facile in archeologia – da condizionamenti esterni: le tesi preconcette fanno danni enormi alla ricostruzione storica e ai popoli, l’archeologia non può essere brandita a difesa dei propri interessi ideologici o politici e i testi sacri devono rimanere quello che sono, ovvero strumenti della fede e non della scienza…

Davvero notevole e coinvolgente la produzione saggistico-divulgativa di Matthiae. Ecco alcuni titoli per farsi un’idea, alcuni ristampati più volte: Ebla. Un impero ritrovato (1977), I tesori di Ebla (1984), Scoperte di archeologia orientale (1986), Storia dell’arte dell’Oriente antico (1996, in più volumi a seguire), L’arte degli Assiri (1996), Ninive capitale degli Assiri (1998), Ebla. La città del Trono. Archeologia e storia (2010).

L’intervista che segue è l’esito di un simpatico e partecipatissimo incontro organizzato a Ravenna dalla Fondazione RavennaAntica in collaborazione con Archeologia Viva. Il professor Matthiae interverrà il prossimo 20 febbraio a “tourismA” (Firenze, Palazzo dei Congressi, 20-22 febbraio 2015) nel convegno “Spes contra spem. Archeologia e ricerca italiana all’estero al tempo della crisi” e nel convegno “Save Art” sull’insegnamento della storia dell’arte.

D: Di Ebla avrai parlato infinite volte, ma la tua storia umana e professionale rimane strettamente legata alla scoperta di questa città siriana. Quindi “purtroppo” dobbiamo cominciare da lì…

R: Lo scavo a Ebla iniziò nell’ormai lontano 1964. In realtà io e la mia équipe solo alla quinta missione archeologica avemmo la certezza di trovarci sul sito di Ebla quando trovammo sull’acropoli un torso di statua in basalto con un’iscrizione cuneiforme di un allora sconosciuto re di Ebla vissuto intorno al 2000 a.C.

All’epoca era opinione diffusa che questa città, nominata nei testi mesopotamici della dinastia di Akkad (2350-2150 a.C.), si trovasse nella Turchia meridionale. La nostra scoperta lasciò incredule molte personalità del mondo accademico.

Negli anni che seguirono nel sito si verificò una serie continua di scoperte, tra cui nel 1975 quella assolutamente straordinaria che ha fatto entrare Ebla nella leggenda dell’archeologia orientale, ovvero il rinvenimento dell’archivio reale con circa ventimila numeri d’inventario di tavolette cuneiformi (le tavolette originarie ridotte in frammenti erano cinquemila, di cui duemila intatte – ndr) databili al 2350-2300 a.C., crollate al suolo dagli scaffali durante l’incendio del palazzo reale da parte di re Sargon di Akkad.

Dagli anni Trenta del Novecento non c’era più stata una scoperta così impressionante di archivi cuneiformi. In più, ciò avveniva a centinaia di chilometri di distanza da dove venivano le tavolette d’argilla incise con caratteri cuneiformi, ovvero nell’Iraq meridionale tra le attuali Baghdad e Bassora.

Trovarle in Siria e così antiche è stato qualcosa di folgorante: fino a questa scoperta si riteneva che la Siria preclassica avesse conosciuto la scrittura solo poco prima dell’età di Hammurabi di Babilonia, nel XVIII sec. a.C., epoca a cui si datano gli archivi reali di Mari, città del medio corso dell’Eufrate, scoperti appunto a partire dal 1933. Come ha affermato Ignace J. Gelb, l’autorevolissimo decano degli studi assiriologici di Chicago, la Missione italiana della “Sapienza”, con gli scavi di Ebla e la scoperta degli archivi, ha portato alla rivelazione di una nuova cultura, di una nuova lingua e di una nuova storia.

D: Cosa provasti davanti a quelle migliaia di tavolette crollate dagli scaffali una sull’altra? Una scoperta così è il sogno di ogni archeologo…

R: Fu una sensazione di sorpresa assoluta. La coscienza di qualcosa di straordinario in cui ci eravamo imbattuti. E questo proprio grazie a quel lontano incendio appiccato da Sargon che, sotto al crollo del palazzo reale, ci aveva conservato per millenni un tesoro di informazioni. Era come navigare in un mare – è davvero il caso di dire – di storia. Tuttavia appena capimmo di cosa si trattava, prevalsero gli aspetti pratici e la preoccupazione. […]