Cosa videro quegli occhi! La Grande Guerra in Trentino Memorie italiane

Trentino nella prima guerra mondiale. Una mostra a Rovereto

Archeologia Viva n. 192 – novembre/dicembre 2018
pp. 52-60

di Diego Leoni – Laboratorio di Storia di Rovereto;
a cura di Dario Di Blasi – Firenze Archeofilm

Il caso del Trentino nella prima guerra mondiale: una terra divisa e contesa tagliata dalla linea del fronte con civili e soldati segnati da destini opposti e spesso mai ricongiunti

Una mostra a Rovereto e questo stesso articolo vogliono contribuire alla ricostruzione di una memoria negata

Quello che si racconta nella documentatissima mostra realizzata a Rovereto è una parte di storia italiana – e anche austriaca – che né l’Italia né l’Austria hanno mai riconosciuta come propria e condiviso. E dunque manca (ancora!) nelle due storiografie e nel racconto pubblico della prima guerra mondiale.

È la storia delle popolazioni di lingua italiana appartenenti all’Impero austro-ungarico: trentini (ma anche ladini) e adriatici. Popolazioni minuscole, di confine, attraversate da correnti culturali forti del loro meticciato, e da correnti politiche venate di irredentismo, guardate a vista perché in odore di eresia, contese fra Roma e Vienna.

Per gli uomini di quelle terre la guerra ebbe inizio fra la fine di luglio e l’inizio dell’agosto 1914 (quasi un anno prima dell’entrata in guerra dell’Italia), quando fu dato l’ordine imperiale della mobilitazione e le tradotte cominciarono a muoversi verso le lontane terre del fronte orientale, dove si sarebbe affrontato il nemico serbo e russo.

Lì, su quelle sconfinate pianure, e sui monti Carpazi (Scarpazi, nel testo della celebre canzone riportata in patria da chi vi combatté), gli occhi dei soldati trentini cominciarono a vedere e provare cose mai viste e impreviste.

Nuove genti, innanzitutto: polacchi, galiziani, ucraini, rumeni; ebrei, zingari, di cui descrivevano abitazioni, usi e costumi, faticando a riconoscerne il valore; ma poi, sul campo, le armi moderne, la morte di massa, le ferite, le mutilazioni; la fatica delle marce e del lavoro, il freddo, le malattie; la sopraffazione degli ufficiali, le punizioni, le umiliazioni; i villaggi incendiati e saccheggiati, i profughi, le impiccagioni dei civili sospettati di spionaggio; la natura sconciata, la dilatazione del tempo: “Finirà mai questa guerra?”, scrivevano in tanti sui loro diari. E poi, a seguire, l’esperienza del ricovero ospedaliero o della prigionia, non di rado cercata con la resa o la diserzione. […]