Smirne. Tra archeologia e tradizioni cosmopolite Mediterraneo orientale

Smirne archeologia e tradizioni

Archeologia Viva n. 192 – novembre/dicembre 2018
pp. 8-17

di Akın Ersoy, Cumhur Tanrıver, Zafer Derin e İnci Kuyulu Ersoy; traduzione di Pınar Aydemir e Santo Salvatore Distefano;
a cura di Massimo Frasca

Sorta all’interno di una profonda baia – che per le straordinarie potenzialità negli scambi mediterranei non poteva sfuggire ai primi Greci che colonizzarono le coste anatoliche – la “perla dell’Egeo” è oggi una grande metropoli con testimonianze che partono dal Neolitico passano attraverso gli splendori ellenistico-romani e arrivano alla fase delle comunità levantine

Il sito in cui sorge Smirne (Izmir), grazie prima di tutto alla favorevole posizione sulla costa egea della penisola anatolica, all’estremità di un profondo golfo (Izmir Körfesı) dall’andamento tortuoso e irregolare, ha avuto una continuità di vita, dal Neolitico a oggi, le cui testimonianze sono diffuse nell’area occupata dalla città moderna.

A partire dal IV secolo, ormai in età bizantina, fu abitata da cristiani, ebrei, armeni e in seguito si diffuse anche la fede musulmana. Dunque, da molti secoli la città ospita una società multiculturale, multietnica e multireligiosa che oggi vive in armonia. Gli insediamenti più antichi si trovano nel moderno quartiere di Bornova, nei siti di Yeşilova Hüyük e Yassıtepe.

Dal 3000 a.C. fu abitato il sito di Bayraklı all’estremità nord della baia, mentre alla fine del IV sec. a.C., dopo la conquista di Alessandro Magno, la città antica fu trasferita alle pendici del monte Pagos (in realtà una collina di 160 metri, dove sorge l’attuale quartiere di Kadifekale), fino alla grande espansione dei nostri giorni: oggi si contano oltre quattro milioni di abitanti. Del trasferimento della città da Bayraklı alle pendici del Pagos parla una leggenda riportata da Pausania (Periegesi della Grecia VII, 5) dove protagonista è lo stesso Alessandro.

Questi, recatosi a caccia alle pendici del monte, al termine della battuta si sarebbe addormentato presso una sorgente davanti al tempio delle Nemesi, le dee della vendetta, che in sogno gli intimarono di fondare una città in quel luogo e di trasferirvi gli abitanti della vecchia Smirne. La leggenda è rappresentata su monete di Smirne di età romana. Strabone (Geografia XIV, I, 37) definì l’insediamento fatto realizzare da Antigono e Lisimaco, generali del Macedone, «la più bella delle città».

La nuova Smirne era posta in parte sulla collina e in parte sulle pendici che digradavano verso il mare, con strade lastricate ortoganali, una grande agorà dotata di portici a due piani e un porto ben protetto, che all’occorrenza poteva essere sbarrato con catene. […]