L’eterno fuoco di Olimpia I Giochi: 776 a.C.-2004 d.C.

Archeologia Viva n. 106 – luglio/agosto 2004
pp. 20-35

di Sergio Rinaldi Tufi

Le Olimpiadi di Atene ci riportano nel cuore di quella civiltà a cui dobbiamo tanta parte della nostra cultura

Sono dunque un’occasione preziosa per confrontarsi con i valori di un mondo dove la pratica sportiva rientrava meravigliosamente in quell’ideale di completezza e perfezione che distinse lo spirito ellenico

«Presto, Finti, aggioga per me il vigore delle mule perché su incontaminato sentiero spingiamo subito il carro… Meglio fra tutte sanno spingersi per questa via, loro che in Olimpia vinsero corone, e dunque si spalanchino le porte dei canti: lungo il corso dell’Eurota oggi è il tempo di giungere a Pitane…».

È l’Olimpica VI di Pindaro, il grande poeta originario della Beozia che dall’inizio del V sec. a.C. compone “epinici”, cioè canti di vittoria, per i trionfatori di gare disputate nei grandi giochi panellenici di Olimpia, Delfi, Nemea, Corinto. Pindaro rivaleggia con Bacchilide, nato nell’isola di Keos, poeta che i commentatori di età ellenistica giudicavano formalmemte impeccabile ma inferiore, anche se seppe guadagnarsi la fiducia di illustri “clienti” come Ierone di Siracusa.

È merito soprattutto di Pindaro, ma, appunto, anche di Bacchilide, se noi oggi possiamo renderci conto della straordinaria importanza degli agoni in Grecia: quelle gare si svolgevano in luoghi che erano sede di culti antichissimi, punti di riferimento per un mondo politicamente tutt’altro che unitario (una costellazione di poleis, città-stato indipendenti, spesso in contrasto) che solo in occasione delle grandi feste ritrovava una sua coesione.  L’evento “sportivo” era inserito in un contesto religioso, e le imprese dei vincitori, degne di essere celebrate attraverso le più alte forme di poesia, erano trasposte nel mito.

Nel brano citato, Pindaro – che, qui come altrove, è autore tutt’altro che facile da capire – celebra l’aristocratico Agesia di Siracusa, vincitore di un tipo di gara che, peraltro, non ebbe lunga fortuna (introdotta nel 500 a.C., fu soppressa dopo l’Olimpiade del 444), la corsa con carri trainati da mule: a Finti, l’auriga di Agesia, si chiede di tornare ad aggiogare le mule vincitrici, perché guidino il carro della poesia verso altri traguardi, verso la dimora della ninfa Pitane figlia del fiume Eurota, mitica progenitrice della stirpe del nobile siciliano.

È abitudine di Pindaro, in effetti, costruire le sue sue odi intorno a tre elementi portanti: l’elogio del vincitore e della sua famiglia, le massime morali, il mito. Gli agoni si presentano come espressione degli ideali aristocratici, tesi all’esaltazione dell’eroismo individuale, della forza fisica, della bellezza, della fama. […]