Romanzesu: il villaggio e lo stregone Archeologia nuragica

scoperte sardegna civiltà nuragica

Archeologia Viva n. 182 – marzo/aprile 2017
pp. 48-57

di Maria Ausilia Fadda

Venti anni di scavi nel sito di Romanzesu ci hanno restituito un complesso cerimoniale fra i più monumentali e la memoria di pratiche fra le più suggestive della Sardegna nuragica interna

dal “teatro dell’acqua” usato nelle ordalie alla capanna dello sciamano e al cenotafio dell’eroe con uno straordinario deposito votivo di bronzi e ambre

Risale al 1998 la pubblicazione su Archeologia Viva dei primi risultati degli scavi condotti nel Nuorese sull’altopiano di Bitti. Siamo nel villaggio nuragico di Romanzesu, un toponimo che evoca la romanizzazione delle zone interne della Sardegna, iniziata nel 238 a.C., all’indomani della prima guerra punica, e testimoniata dall’importante via di comunicazione che partendo da Caput Tyrsi, dove nasce il fiume più importante dell’isola, nell’attuale territorio di Buddusò (Ss), penetrava nella Barbagia profonda.

La vasta area archeologica – in mezzo a una foresta di querce da sughero tappezzata di felci – è stata acquistata dal Comune e affidata per la gestione alla Cooperativa Istelai.

La nascita dell’insediamento, risalente all’età del Bronzo medio (1500 a.C.), venne favorita da un’abbondante vena sorgiva, intorno alla quale, durante il Bronzo finale (1200 a.C.), i nuragici costruirono un tempio a pozzo dedicato alla divinità dell’acqua.

L’architettura del pozzo rispettava i canoni costruttivi diffusi nell’isola, con un vestibolo e una scala trapezoidale che introduceva in un vano circolare ipogeico coperto da una tholos (purtroppo gli architravi scalati che coprivano l’originaria scala trapezoidale sono stati divelti nel 1919 durante alcuni lavori per la raccolta dell’acqua in un abbeveratoio).

Quando l’acqua tracimava oltre il gradino più alto del pozzo, veniva fatta scorrere attraverso due piccoli bacini intermedi provvisti di sedili a gradoni, per essere convogliata infine in una grande vasca semicircolare sempre circondata da gradinate, che i pellegrini occupavano durante le abluzioni religiose e per assistere ai riti ordalici.

La sacralità del pozzo era contrassegnata da tre betili ortostatici (posti per dritto – ndr) ai lati dell’ingresso. Lo scrittore romano Solino (III sec.) riferisce che i sardi attribuivano alle acque proprietà terapeutiche per le malattie delle ossa e che inoltre, coinvolgendo la divinità, sottoponevano a giudizio le persone imputate di qualche colpa grave: se giudicate colpevoli, queste… avrebbero perso la vista. […]