Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 182 – marzo/aprile 2017

di Piero Pruneti

Sardegna. La bella dimenticata. Quando se ne parla, a parte qualche inserzione a uso estivo? Neppure con i terremoti farebbe notizia, perché per sua fortuna non è sismica come la Penisola. Qualche decennio fa era l’isola dei sequestri. Venivamo così a sapere di una terra selvaggia con ampie aree interne dove non sarebbe stato prudente addentrarsi. Ora la Sardegna sembra rimossa dalla coscienza nazionale. Ho avuto modo di attraversarla a piedi da solo nel 1980, da Cala Gonone fino a Capo Mannu passando per la Barbagia e il Gennargentu. Il messaggio di quella indimenticabile esperienza fu quello di una straordinaria bellezza, di una diffusa civiltà plurimillenaria, di gente fiera della propria sardità; certo non un paradiso terrestre. Anzi, una terra avviluppata nella dura quotidianità e in problemi secolari, talvolta conservatrice di comportamenti primitivi. Ma comunque, all’epoca, nel “continente” se ne parlava…

Mi capita di cercare la Sardegna nell’immaginario collettivo. Cos’è per te la Sardegna? Quasi sempre la risposta è: Tiscali (nel senso della telefonia di Renato Soru), Costa Smeralda, nuraghi (ma qui siamo già in una fascia colta…). Ci sono state scelte di politica economica che hanno lasciato macerie. I pastori in gran parte se ne sono andati dopo aver venduto il gregge o portandoselo dietro dove la vita è più facile. Il futuro lo si vede “fuori”. C’è però una Sardegna resistente ed è quella che investe nella memoria. Non parliamo delle città con i loro grandi patrimoni espositivi. Parliamo di paesi piccoli, di comunità residuali che spesso vivono intorno a un parco archeologico, animate dalle campagne di scavo, dalla vita del museo.

L’articolo che pubblichiamo sul villaggio nuragico di Romanzesu, a Bitti, un comune del Nuorese che non arriva a tremila abitanti, rappresenta bene una di queste tante microrealtà culturali – ed economiche – che stanno salvando la Sardegna dall’obliterazione dopo la catastrofica fine dei megainvestimenti industriali.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”