I secoli di Pompei Mostra nella Palestra Grande

Pompei Archeologia 185

Archeologia Viva n. 185 – settembre/ottobre 2017
pp. 50-61

di Massimo Osanna e Carlo Rescigno;
schede di Pasquale Bucciero, Carmine Pellegrino, Cristina Pepe, Tiziana Rocco e Gabriel Zuchtriegel

La vicenda storica di Pompei – come quella di tutta l’area del Golfo – si svolse in un mondo fluido di incessanti contatti e trasformazioni dove i porti marittimi e gli scali fluviali generarono una cultura estremamente dinamica evitando il radicarsi di logiche identitarie monolitiche

Città aperte dove anche lo scontro militare non impedì il transitare incessante di tradizioni artigianali e modi di pensare
Si trattò di una multiculturalità a largo spettro che coinvolse anche la “superiore” cultura magnogreca anch’essa per niente unitaria al suo interno

Fin da epoca arcaica, Pompei ci appare come un centro di nuova fondazione. La teoria tradizionale vuole che essa nasca dal sinecismo dei villaggi della valle del Sarno in una temperie di profonda trasformazione urbanistica che investe la Campania e ne prepara il complesso assetto topografico arcaico: siamo tra la metà del VII sec. a.C. e gli inizi del secolo successivo e Pompei, insieme a numerosi altri centri, presenta caratteri di città, dotata di mura, forse già di una piazza, con il suo santuario, dedicato ad Apollo, cui risponde, sul poggio del foro Triangolare, l’area sacra e il culto di Atena. Come in una città magnogreca, aree sacre ne popolano il territorio, bordandone il limite subito al di fuori delle mura o segnandone i punti forti verso la costa.

La città sembra inoltre conoscere una significativa proiezione, almeno cultuale, verso sud, lungo la direttrice viaria che concludeva la sua corsa al promontorio di Punta Campanella, estremo limite della penisola sorrentina, la porta del Golfo, o all’interno verso Nocera. E a ben vedere, sotto la normalizzazione dei culti di epoca romana, Atena associata a Eracle nel foro Triangolare, un Apollo simile a quello di Delfi, l’importante presenza di Venere, derivata da Herentas (divinità italica assimilabile ad Afrodite), cogliamo inflessioni locali, storie di fondazione, di giusta crescita e integrazione dei fanciulli, di Eracle e le sue mandrie, che potrebbero testimoniare un repertorio locale di miti e genealogie di cui la città arcaica dovette nutrirsi. Ignoriamo quali ne fossero le forme istituzionali di governo; le iscrizioni, provenienti perlopiù da santuari e connesse alle pratiche rituali, denunciano una significativa presenza etrusca, ma non conosciamo quali fossero le sue assemblee politiche, quali i sommi magistrati.

Nei due principali luoghi di culto di Pompei furono all’opera maestranze diverse: maestri cumani nel santuario di Apollo, a decorare un edificio in legno e pietra, con robuste modanature in pietra lavica, un set di terrecotte architettoniche a comporre un tetto di tipologia campana, diffuso cioè a partire da Cuma e successivamente Capua nei territori più settentrionali della regione; nel tempio dorico di Atena, costruito in pietra, forse una bottega locale che adatta a un modo originale di concepire lo spazio sacro la tradizione dorica, con un tetto che condivide elementi sia di tradizione poseidoniate che cumana. Al tempo stesso, in un tetto analogo nel santuario meridionale di Poseidonia, documentato purtroppo da sporadici frammenti, potremmo riconoscere un intervento pompeiano: un sacello dedicato dalla città campana. […]