Alla scoperta delle Ebridi Esterne Profondo Nord

Isole Ebridi Archeologia 185

Archeologia Viva n. 185 – settembre/ottobre 2017
pp. 22-30

di Alberto Pozzi

Le isole occidentali della Scozia conservano tutto il fascino delle terre “estreme” d’Europa capaci di richiamare il senso di solitudine e di difficoltà ambientale che certamente provarono i gruppi di genti del Neolitico che per prime vi approdarono

Ecco il racconto dell’inviato di Archeologia Viva che in questo arcipelago nordatlantico ha potuto visitare una serie di straordinari monumenti preistorici

Nei secoli scorsi le Ebridi Esterne erano isole lontane, avvolte in un alone di mistero: scogli al largo della Scozia, abitate da genti antiche e da pecore… La curiosità verso queste terre sperdute nasce da una Descrizione delle isole occidentali della Scozia, pubblicata nel 1703 da un certo scrittore inglese Martin Martin, un dettagliato resoconto dove troviamo citata anche la struttura megalitica di Callanish.

In seguito, altri raccolgono la sfida: nella seconda parte dello stesso XVIII secolo due intellettuali inglesi, Samuel Johnson, massimo letterato dell’epoca, accompagnato dal giovane scrittore James Boswell, si spingono al largo della costa scozzese «per andare dove nessuno va e vedere quel che nessuno vede»: l’esperienza confluì in un libro dello stesso Boswell, Diario di un viaggio alle Ebridi con Samuel Johnson, uscito nel 1784. Oggi le Ebridi Esterne si presentano con le loro distese di laghi e basse colline punteggiate da tante greggi e case sparse. Ma frugando lungo le coste frastagliate e le rive dei loch (termine gaelico per ‘golfi’, ‘fiordi’ e ‘laghi’) incontriamo i resti di antiche presenze, di un passato importante.

Secondi alcuni archeologi inglesi, già intorno al 5000 a.C. alcune delle Ebridi Esterne sarebbero state raggiunte da popolazioni di cultura mesolitica, gli ultimi cacciatori-raccoglitori. Ma più sicura è la presenza di gruppi neolitici giunti in Scozia nel corso del V millennio e approdati nelle isole occidentali forse già dal 4600/4000 a.C.; i nuovi immigrati, coltivatori e allevatori, portarono con sé pecore, bovini e suini.

In questo periodo l’Europa settentrionale godeva di un optimum climatico che certamente favorì l’espansione demografica anche in territori “estremi”. Ma le condizioni ambientali stavano già modificandosi con un lento abbassamento delle temperature, conclusosi intorno al 1500 a.C. Da parte sua, l’azione dell’uomo sul paesaggio comportò una regressione della foresta con la conseguente espansione di superfici prative, inizialmente buone per pascolo e coltivazione, che però con il tempo e con l’utilizzo intensivo del suolo si sono trasformate nell’attuale terreno torboso, acido e poco produttivo. […]