Menorà. La “parte” per il “tutto” Tra realtà e mito

Menora Musei Vaticani Archeologia 185

Archeologia Viva n. 185 – settembre/ottobre 2017
pp. 12-21

di Francesco Leone

Pochi singoli oggetti come il celebre candelabro a sette bracci della tradizione ebraica presentano un fascino così totalizzante

Dalla profonda “origine” biblica al mistero insoluto della scomparsa fino all’aura mitica che tuttora l’avvolge la menorà non ha mai cessato di essere simbolo e paradigma della vicenda umana

L’occasione per parlarne è una recente mostra nata dalla collaborazione fra il Museo Ebraico di Roma e i Musei Vaticani

«[…] Giunsi fino a Genserico e gli offrii somme enormi. Mi ascoltò accigliato, raspando la terra con il piede. Allora il senno mi abbandonò, insistetti, vantai il candelabro che era appartenuto al tempio di Salomone e che Tito aveva portato da Jeruschalajim come la gemma del suo trionfo. Allora soltanto il barbaro comprese quel che aveva acquistato e rise insolente: ‘Non ho bisogno del vostro oro.
Ne ho raccolto tanto in Roma da lastricarne le mie stalle e da incastonare pietre preziose negli zoccoli dei miei cavalli. Ma se questo candelabro è davvero il candelabro di Salomone, non lo darò a nessun prezzo. Poiché Tito lo ha fatto portare a Roma in trionfo dinanzi a sé, sarà portato dinanzi a me nel mio trionfo su Roma […]». (Stefan Zweig, Il candelabro sepolto, 1937)

È una storia incredibile, quella del leggendario candelabro d’oro a sette bracci che illuminava l’area del Santo antistante il Santo dei Santi, dov’era custodita l’Arca dell’Alleanza, prima nella Tenda del convegno e poi nel Tempio di Gerusalemme.

Una metafora della superiore luce del Signore che si irradia sui fedeli nel mondo terreno guidandoli attraverso la Torà e conducendoli alla pienezza spirituale della sapienza e dell’intelligenza.

Il peregrinare della menorà nei millenni, così come fu per il popolo ebraico di cui simboleggia l’antico destino, ci restituisce uno dei racconti più seducenti del genere umano.

Una vicenda che dai fatti si perde nel mito e nelle leggende e i cui poli geografici sono rappresentati da Gerusalemme a Oriente e da Roma a Occidente.

Com’è scritto in Esodo, il Signore ordinò a Mosè di forgiare il candelabro in un’unica colata di oro puro seguendo una sua puntuale descrizione e un’immagine che allo stesso Mosè era stata mostrata sul Sinai.

L’artefice materiale sarebbe stato l’orafo Betzalel ben Urì che impiegò un talento d’oro puro (circa 34 chili) così come era stato indicato sul monte.

In un brano del Levitico è scritto che l’Altissimo ordinò ancora a Mosè che le lampade del candelabro ardessero perennemente nel tabernacolo di un olio puro di olive schiacciate e che a prepararlo dovesse essere Aronne e poi i suoi discendenti. […]