Longobardi. Dall’Italia all’attenzione mondiale Altomedioevo italiano

Longobardi Altomedioevo italiano

Archeologia Viva n. 186 – novembre/dicembre 2017
pp. 16-29

di Mariarosaria Salvatore, Immacolata Aulisa, Gian Pietro Brogiolo, Angela Maria Ferroni, Giorgio Flamini, Sara Masseroli, Arianna Petricone e Gina Tomay;
a cura di Francesca Morandini

Il ruolo storico di questo popolo “calato” dalle Alpi alla fine del mondo antico in uno dei momenti più critici per la Penisola è stato rivalutato negli ultimi decenni dai risultati delle indagini in vari luoghi significativi per la presenza longobarda

Ne emerge un’immagine che non è più quella di barbari distruttori di civiltà ma addirittura di primi costruttori di una nostra ricchezza e identità “nazionale” come documenta il sito seriale Unesco “I Longobardi in Italia”

L’origine dei Winnili, antico nome dei Longobardi, il “popolo dalle lunghe barbe”, è posto in Scania, attuale Scandinavia, terra da cui essi migrarono verso la Germania settentrionale. Quando, nel 568, arrivarono in Italia, attraversando Boemia, Moravia, bassa Austria e Ungheria, erano un coacervo di gruppi diversi per etnia (Longobardi, Sassoni, Gepidi, Bulgari, Sarmati, Svevi e Pannoni), cultura e religione, spesso in contrapposizione tra loro.

Da una parte c’erano i gruppi più tradizionalisti legati a una società basata sui lignaggi (farae), dall’altra le élites romanizzate, in parte ancora pagani ma ormai largamente convertiti al cristianesimo ariano. Ma il contatto con la tradizione romana e la tenacia dell’eredità della cultura latina li conquistarono: tra fine VI e VII secolo, con la regina Teodolinda, si convertirono al cattolicesimo e il re Rotari emanò il suo celebre Editto (643), modello d’una legislazione “barbarica” finalmente redatta per iscritto e in lingua latina.

Le due anime dei Longobardi in Italia si contrapporranno fino al 680, quando il re Cuniperto riporterà una vittoria decisiva su Alachis, il duca ribelle di Brescia. Questa vittoria aprirà la strada a un’alleanza tra élites longobarde e gerarchie ecclesiastiche, grazie alla quale si arriverà al pieno utilizzo della cultura scritta e figurativa da parte della nuova aristocrazia, ormai definibile romano-longobarda anche per la confluenza delle aristocrazie dei territori bizantini di recente conquista.

Da queste complesse forme di acculturazione emerse la nazione-mosaico della nostra Italia, una diversità che è tutt’oggi la nostra ricchezza.

Ma chi erano i Longobardi?

Invasori selvaggi che rasero al suolo quanto restava della civiltà classica, oppure popolo di emigranti già ampiamente romanizzato che avrebbe potuto trasformare l’Italia in una nazione, come i Franchi stavano facendo al di là delle Alpi? In realtà, quando i Longobardi arrivarono al seguito di Alboino, l’Italia era da poco uscita dai disastri della guerra greco-gotica (535-553) ed era governata da un’autorità bizantina che stentava a controllare le regioni a nord del Po; le città avevano perso da tempo l’antico splendore e le condizioni di vita erano fortemente deteriorate.

Così i nobili guerrieri venuti dal nord occuparono le dimore signorili e i palazzi superstiti, mentre il resto della popolazione ricavava modesti alloggi nelle stesse antiche domus. Nelle campagne, le piccole comunità, fin dalla prima fase migratoria, s’insediarono nelle vecchie fattorie di età romana o in nuovi villaggi di capanne.

Nonostante i duchi vivessero in città insieme ai gastaldi, la società longobarda appare fortemente ruralizzata, anche perché nella fase iniziale del regno, negli ultimi decenni del VI secolo, ci fu una espropriazione, spesso violenta, della grande proprietà terriera. Le città sopravvissero ma divennero essenzialmente centri militari di controllo del territorio, anche se non persero mai del tutto la loro importanza economica e come sede religiosa. […]