Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 187 – gennaio/febbraio 2018

di Piero Pruneti

Diamo spazio su questo numero a un aspetto archeologico-monumentale della Sardegna poco noto o, perlomeno, sottovalutato, ritenuto un patrimonio culturale “minore” in quella che prima di tutto è nota come “isola dei nuraghi”.

Le domus de janas – forse anche per questo nome un po’ “leggero” che è stato loro attribuito in passato dalla fantasia popolare e che ormai rimarrà per sempre – sono invece l’espressione di un momento “forte” del passato sardo, in un periodo in cui ancora le torri nuragiche non erano state neppure immaginate. È una cultura fiorente e raffinata quella che esprime questo tipo di struttura sepolcrale.

La documentazione che pubblichiamo – realizzata da sardi che amano la loro terra – non lascia dubbi sulle capacità di progettazione degli “architetti” dell’epoca che, al pari dei loro colleghi di ogni fase culturale dell’isola, hanno avuto comunque una fortuna: poter disporre di un ambiente naturale caratterizzato da bancate rocciose di ottima qualità, capace di provocare la loro fantasia di costruttori e al tempo stesso di assicurare la durata dei manufatti nei millenni a venire.

Direi che, come si parla di “civiltà dei nuraghi”, dovremmo cominciare a parlare anche di “civiltà delle domus de janas” per questa dimensione monumentale che caratterizza un segmento altamente significativo della preistoria sarda e che esprime un particolare modo degli antichi sardi di approcciarsi ai loro territori.

Dobbiamo immaginarci le tante comunità prenuragiche disseminate sull’isola – in apparenza atomizzate e invece in rapporto sinergico – che in queste sepolture hanno un punto di riferimento per il loro modo di concepire la vita e la morte, dunque per il loro orizzonte ideale. Le domus de janas non godono di ottima salute.

Sono migliaia, dislocate in ambienti rupestri di grande fascino, ma spesso di difficile accesso, esposte all’assalto della vegetazione, minacciate da infiltrazioni e ristagni d’acqua. Sono un grandioso patrimonio a rischio di cui dobbiamo prendere coscienza.    

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”