Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 188 – marzo/aprile 2018

di Piero Pruneti

La vicenda archeologica – ma direi anche profondamente umana – di Frattesina di Fratta Polesine, alla quale dedichiamo uno speciale nel cinquantesimo della scoperta, è paradigmatica di una certa Italia, intelligente e dal cuore grande, tutta riassunta nella foto a p. 36, scattata “sul campo” nell’ormai lontano 1968. Un gruppo di ricercatori è in posa in mezzo ai campi della piatta campagna del delta padano, in provincia di Rovigo.

Sono loro che hanno messo a disposizione tempo, risorse, competenza, ma soprattutto volontà ed entusiasmo per fondare un’associazione, il CPSSAE, e dimostrare che la regione in cui vivono, da sempre rivoltata come un calzino dai rami e dai diverticoli del Po, non fu, agli inizi della fase storica della Penisola, una terra abbandonata dagli dei e dagli uomini, frequentata al più da qualche misero gruppo dedito a caccia e pesca nelle paludi, ma un fiorente luogo di scambi, quindi di civiltà, lungo una linea di traffico fra Mediterraneo ed Europa continentale che, insospettabilmente, aveva qui una “tappa obbligata”.

L’individuazione di quegli abitati attivi fra la fine dell’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro, con le loro officine e i magazzini, i focolari e infine i necessari luoghi di sepoltura, non è stata facile in un ambiente dove gli unici materiali per costruire, fango e canne, quasi non lasciano traccia.

Per arrivarci i “nostri” hanno cercato per anni – sul terreno le briciole di ceramica fra le arature, con i voli in deltaplano le variazioni di colore nei campi – individuando gli assi fluviali scomparsi (i paleoalvei), i dossi dove sorgevano gli insediamenti; insomma hanno dovuto ricostruire il Delta com’era, prima di tutto sotto il profilo fisico, incrociando la mole dei dati geologici e morfologici con le risultanze archeologiche. Per il gruppo di ricerca del CPSSAE è stata l’esperienza di un’intera esistenza; anzi, di più esistenze, perché il grande progetto è passato dai padri ai figli in una nobile staffetta di cui oggi possiamo vedere gli straordinari risultati.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”