Esiste ancora la Magna Grecia? Requiem o sostegno per la riforma Franceschini… Futuro del passato

Archeologia Viva n. 189 – maggio/giugno 2018
pp. 68-73

Interventi di Francesco D’Andria e Giuliano Volpe

Gli effetti nefasti di un cambiamento “a tutti i costi” nel “j’accuse” senza appello di un famoso archeologo

Risponde uno dei più convinti sostenitori della riforma con un’esortazione: ricordatevi di cosa è stato il passato…

Un recente articolo di Antonio Ferrara, apparso su Il Venerdì di Repubblica, illustra le più importanti scoperte dell’archeologia effettuate in Italia lo scorso anno: per chi scrive c’è la soddisfazione di vedere, nella “mappa del tesoro”, Castro (in Puglia) e la scoperta dell’altare di Minerva, risultato, tuttavia, di lavori eseguiti soltanto grazie alla donazione di un privato! Poi, guardando meglio la cartina, mi sono accorto che, per l’Italia meridionale, gran parte delle nuove scoperte si concentrava a Pompei e a Paestum; del tutto assenti regioni come Basilicata e Calabria dove fiorì la civiltà della Magna Grecia con città splendide quali Taranto, Crotone, Metaponto e Locri, tanto per citarne alcune. Sarà certamente dipeso dalla casualità delle informazioni pervenute al giornalista, ma, effettivamente, la lacuna rappresenta plasticamente lo stato di crisi grave che ha colpito, in particolare, l’archeologia dell’Italia meridionale […]. (F. D’Andria)

Non è facile replicare al duro j’accuse di Francesco D’Andria. Non lo è per me per almeno due ragioni. La prima è che considero D’Andria tra i miei maestri: fu lui, tra l’altro, a presiedere la commissione che mi ammise al dottorato in Archeologia della Magna Grecia ormai circa trentacinque anni fa. La stima e anche la gratitudine non sono quindi in discussione. Mi colpisce, peraltro, la sua attuale posizione, perché tra le cose che ricordo molto bene delle sue battaglie ci sono anche i continui duri confronti con le soprintendenze archeologiche (per il tipo di tutela effettuata, per le limitazioni imposte alla ricerca universitaria, per l’enorme mole di inedito e al contempo la difficoltà di accesso ai dati…), che oggi sembra rimpiangere. La seconda è legata all’oggettivo stato di difficoltà della ricerca e della tutela del patrimonio nelle regioni meridionali. […] (G. Volpe)