Incontro con David Caramelli La voce della storia

Archeologia Viva n. 159 – maggio/giugno 2013
pp. 74-75

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Etruschi dall’Anatolia? Non direi proprio: le ricerche sul DNA antico ci parlano di migrazioni» avvenute qualche migliaio di anni prima»

«Un quesito ancora irrisolto: abbiamo sangue neandertaliano nelle vene?»

«Il cranio di Francesco Petrarca era di… una donna»

Un modo di porsi confidenziale. Sembra di conoscersi da sempre con David Caramelli e questo è un grosso vantaggio quando in un’intervista dobbiamo toccare temi “per addetti”, astrusi per i comuni mortali. Questa possibilità di rapporto ravvicinato ci consente di non avere remore nel chiedere spiegazioni supplementari, per capire un concetto, le modalità di ricerche i cui specialisti si contano sulle dita di una o due mani a livello europeo.

Grande esperto in Antropologia molecolare… E cosa sarebbe? Una disciplina che mira a ricostruire la storia evolutiva dell’uomo non sulla base dei resti fossili, ma a partire dall’analisi di molecole complesse, come il DNA, di individui della nostra specie e di specie a noi affini, quali le grandi scimmie antropomorfe.

Va da sé che in tutto questo assume importanza fondamentale la ricerca sul DNA antico, a sua volta raffrontabile con le sequenze di DNA delle popolazioni attuali. Com’è nato in Caramelli un interesse disciplinare così specifico? «Nell’ormai lontano 1994 lessi sulla bacheca del Museo della Specola a Firenze che il professor Brunetto Chiarelli cercava collaborazione per ricerche sul DNA antico. Tutto nacque da lì: la vita è anche un caso…».

Ora David insegna Antropologia ed è vice direttore del Dipartimento di Biologia presso l’Università di Firenze. Vale la pena ricordare il titolo della sua tesi di dottorato: “Caratterizzazione genetica della popolazione etrusca”, una ricerca che svilupperà ulteriormente anche in collaborazione con l’Università di Ferrara e che ha portato ai sensazionali risultati di cui si parla nell’intervista.

Fra i molti impegni, svolge attività di trasferimento di know how presso il Reparto investigazioni scientifiche (Ris) dei Carabinieri di Roma dove ha instaurato una formale convezione per lo sviluppo di progetti di ricerca inerenti lo studio e la caratterizzazione genetica di profili in reperti biologici altamente degradati.

È autore di oltre cento pubblicazioni, alcune delle quali sono citate fra le ricerche sul DNA più importanti degli anni 2003 e 2007. È autore di tre libri fondamentali nel settore: Il DNA antico. Metodi di analisi e applicazioni, edito da Pontecorboli (2004), poi Antropologia molecolare, Firenze University Press (2009), e infine (con Claudio Tuniz e Giorgio Manzi) La scienza delle nostre origini, Laterza (2013). Per molti anni è stato membro del Consiglio direttivo della Società italiana di Biologia evoluzionistica.

D: Una delle notizie più sensazionali che ci sono arrivate dal Laboratorio di Antropologia molecolare/paleogenetica da te diretto è che il popolo etrusco non proverrebbe dall’Anatolia, come ci tramanda Erodoto e sostengono in molti, ma che si è formato fra Toscana e Lazio, come del resto ha sempre affermato la scuola di Massimo Pallottino. Da dove viene tanta certezza?

R: Alcuni anni fa abbiamo iniziato ad analizzare le sequenze genetiche degli antenati dei toscani di oggi. Un lavoro pieno di ostacoli che ha reso necessaria l’unione tra le tecniche di analisi molecolare e quelle di analisi statistica. Tutto ciò ha permesso di dare una spiegazione ai dati di cui eravamo in possesso ovvero che esiste una continuità genetica tra le popolazioni che hanno vissuto in Toscana dal Neolitico fino all’affermarsi degli Etruschi. Inoltre abbiamo potuto rilevare che tracce di DNA etrusco resistono ancora oggi nelle zone di Volterra e di Arezzo, mentre per il resto della Toscana queste tracce sembrano arrivare al massimo all’età medievale. E anche che questa continuità si è diluita nel tempo fino a far perdere le sue tracce.

È vero, nel DNA degli Etruschi ci sono tracce di popoli anatolici, ma è un contatto che secondo i nostri studi è avvenuto circa 6000 anni fa e non 2500 anni fa, cioè al tempo della presunta migrazione dalle coste del Mediterraneo orientale e della formazione dell’ethnos etrusco.

Insomma secondo il nostro studio, mio e di Guido Barbujani, docente di Genetica all’Università di Ferrara, ci sono state sì migrazioni dall’Asia Minore verso la penisola italiana e l’Europa, ma, a conferma di quanto già noto, risalenti all’età neolitica, mentre non c’è alcun rapporto con la comparsa della civiltà etrusca nell’VIII sec. a.C. Sono risultati che smentiscono una volta per tutte l’ipotesi di un’origine orientale degli Etruschi innescata da Erodoto e arrivata fino a noi, e che ribadiscono invece quella autoctona.

D: In cosa consiste il vostro lavoro?

R: Come Dipartimento di Biologia siamo stati i primi in Europa a studiare la genetica delle popolazioni antiche. Il punto di partenza è quasi invisibile a occhio nudo. Inizia tutto da granelli di polvere di ossa contenenti un DNA che nella maggior parte dei casi è “inquinato” da batteri, funghi, licheni, ma anche dalle mani di antropologi o archeologi che magari hanno studiato il reperto in precedenza. […]