Zenobia: il sogno di Palmira Romani in Siria

Archeologia Viva n. 93 – maggio/giugno 2002
pp. 50-65

di Debora Barbagli

Miraggio dei visitatori di ogni tempo la splendida oasi siriana oltre a uno sterminato patrimonio archeologico conserva vivo il ricordo della donna che alla città diede insieme la gloria e una tragica fine: l’occasione di parlarne ci viene dalla bella mostra di Torino

Tra mito e realtà la figura di Zenobia, regina di Palmira, ha continuato a vivere attraverso i secoli, al pari di altre figure femminili celebri dell’antichità, suscitando la fantasia di poeti e scrittori fino ai giorni nostri. La sua vicenda storica e personale, nota principalmente attraverso le fonti romane e non priva di lati oscuri, si inserisce, da un lato, nel più ampio raggio di quella storia imperiale romana che nei territori di confine aveva i propri punti di forza e ricchezza, dall’altro nei numerosi momenti di crisi che dal III sec. d.C. si prospettano sempre più frequenti, a costituire focolai di autonomia e opposizione sempre più difficili da controllare. In questo contesto si inserisce la storia del breve regno di Palmira che con il sovrano Odenato e, dopo la morte di quest’ultimo, con sua moglie Zenobia, acquista un enorme potere nel mondo orientale tra Mesopotamia, Arabia e Anatolia, suscitando alla fine la reazione di Roma che con l’imperatore Aureliano (270-275 d.C.) conquista la città e pone fine al “sogno di Zenobia”.

Palmira, ormai indissolubilmente legata al nome della sua regina, era di per sé un centro carovaniero di primaria importanza per i traffici commerciali che univano Oriente e Occidente: la posizione geografica, oasi nel deserto siriano tra Antiochia e Babilonia, ne determinò la fioritura. La città assume un ruolo strategico e politico notevole alla metà del III sec. d.C., quando il pericolo della presenza dei Sassanidi, gli eredi dell’antica Persia, ai margini orientali torna a farsi particolarmente gravoso: sfruttando questa situazione Odenato riesce a imporsi sulle quattro tribù che controllavano Palmira e a prendere il potere, ottenendo il riconoscimento e gli onori di Roma proprio in funzione antisassanide. Nel 260 d.C., infatti, Valeriano aveva subito una dura sconfitta da parte del re sassanide Shapur I, che costò allo stesso imperatore la prigionia e la morte in cattività. Odenato si propose come sostenitore del figlio dello sfortunato Valeriano, Gallieno (260-268), impegnato in Occidente, e ottenne alcuni importanti successi in Mesopotamia contro i Sassanidi, che gli valsero da parte dell’imperatore i titoli di dux Romanorum, ‘comandante dei Romani’, e di corrector totius Orientis, ‘correttore di tutto l’Oriente’.

La parabola ascendente di Odenato di Palmira trovò tragica fine nel 267 d.C., quando egli fu assassinato col figlio di prime nozze Airane Erode. Non sono chiari i motivi e i mandanti che portarono all’eliminazione di Odenato: le fonti, a cui è demandata la conoscenza dell’avvenimento, discordano, riferendosi o a una congiura interna (complice la stessa Zenobia?) o alla mano imperiale forse preoccupata dalle mire espansionistiche di questo principe orientale. Comunque sia, Settimia Zenobia, seconda moglie e ora vedova di Odenato, prese il posto del marito, regnando fino al 272 d.C. col giovane figlio Settimio Vaballato Atenodoro, erede, in questo, dell’importante ruolo che altre donne siriane originarie di Emesa, l’attuale Homs nella pianura dell’Oronte, avevano avuto decenni prima nella storia imperiale romana all’interno della dinastia dei Severi.

Dell’affascinante regina di Palmira gli autori latini hanno lasciato descrizioni che, per quanto in parte legate a luoghi comuni letterari, ne restituiscono il carattere forte e l’azione. Nella Historia Augusta (raccolta biografica di imperatori e personaggi a essi legati, scritta tra fine III-inizi IV sec. d.C.) emerge la figura di una donna decisa, orientale nei costumi che riguardavano la vita, amante del lusso, ma determinata come un uomo nella gestione degli affari militari, quando, di fronte ai soldati, si presentava con elmo e manto di porpora, proprio come i Romani. Conosceva bene la lingua egiziana e la storia di Roma, studiata su testi greci, e aveva scritto anche un compendio di storia orientale.

Ai figli, la cui esistenza, a parte quella di Vaballato, non è certa (nelle fonti sono comunque menzionati Erenniano e Timolao), aveva imposto di imparare il latino. Meno brillante la figura di Zenobia appare all’interno della Vita Aureliani, sempre nell’Historia Augusta, mostrata incerta e in balia dei propri consiglieri al momento dello scontro decisivo con Roma, giudizio ripreso anche da una fonte più tarda, anch’essa ricca di notizie, l’Historia Nova, scritta dallo storico bizantino pagano Zosimo a metà V sec. d.C. Quest’ultima sottolinea il ruolo avuto presso la sovrana dal filosofo neoplatonico Cassio Longino, fuggito da Atene nel 267 d.C., quando la città fu assediata da orde di barbari, e da Zenobia accolto quale precettore del figlio, e dal generale Settimio Zabda, artefice materiale dell’espansione imperialistica della regina. Essa, infatti, consolidata la supremazia in Siria, aveva esteso il proprio potere fino all’Arabia e all’Egitto, sfruttando la debolezza romana e il malcontento verso il potere centrale che aleggiava in Oriente.

Quando Aureliano (270-275), valente comandante di cavalleria, fu elevato al soglio imperiale, in un primo tempo avallò le iniziative espansionistiche di Zenobia, riconfermando al figlio di questa Settimio Vaballato i titoli (dux Romanorum, corrector totius Orientis…) che erano stati del padre Odenato; ma ben presto il precipitare della situazione obbligò l’imperatore a muovere direttamente per risolvere la questione palmirena, ormai spina nel fianco sul confine orientale dell’impero. La rapida evoluzione dei rapporti tra Roma e Zenobia innescata dalla volontà di autonomia della regina è ben documentata dalle emissioni monetali di Antiochia e Alessandria tra il 270 e il 272, gli unici documenti che ci restituiscono la rappresentazione, per quanto convenzionale, di Zenobia. Se infatti nei primi coni, in antoniniani (moneta d’argento introdotta da Caracalla) di Antiochia e tetradrammi di Alessandria, compare al dritto il busto di Aureliano e al rovescio quello del giovane Settimio Vaballato, nelle serie successive l’imperatore scompare e sono rappresentati Zenobia e il figlio, che hanno ormai assunto la titolatura imperiale (i due sono Sebastòs/Sebasté termini greci corrispondenti al latino Augustus/Augusta).

La reazione romana non si fece attendere: nel 271 Aureliano muove verso Oriente e, dopo essersi scontrato vittoriosamente in Siria contro l’esercito palmireno, nella piana di Antiochia e sul fiume Oronte a Emesa, punta su Palmira, rimasta unico rifugio per la regina: la città è cinta d’assedio; Zenobia, perduta la speranza di aiuti persiani, fugge ed è catturata, i Romani entrano. Palmira in un primo tempo è risparmiata, ma dopo un tentativo di ribellione, mentre Aureliano torna verso Roma, è sottoposta a saccheggio e le mura abbattute. […]