Gli architetti nuragici di Gremanu Dentro lo scavo

Archeologia Viva n. 63 – maggio/giugno 1997
pp. 70-75

di Maria Ausilia Fadda

Un complesso di fonti con l’unico esempio noto di acquedotto di età nuragica e una tipologia finora sconosciuta di architettura religiosa con tanto di officina per l’esposizione delle offerte sono solo alcuni aspetti dello straordinario parco archeologico che si sta realizzando in questa località interna della provincia di Nuoro

Ci troviamo alle propaggini nordorientali dei monti del Gennargentu, appena fuori l’aspra regione calcarea della costa. Qui la morfologia è più dolce e la montagna meno ostile. Pascoli estesi, rigogliosi boschi residui di roverella, acque limpide nelle vallecole. È il paesaggio agropastorale tipico della Sardegna interna che fa da cornice allo straordinario complesso nuragico della località nota con il nome di Gremanu o Madau, in agro di Fonni (Nu), dove la Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro sta svolgendo indagini fin dal 1989 (da quest’anno potranno partecipare anche i volontari: vedi pagine centrali).

Il complesso si articola, a monte, in una serie di fonti e pozzi per la captazione e la raccolta delle acque e, a valle, in una serie di templi con abitato. Vicino sorge anche una vasta necropoli con tombe di giganti (così vengono chiamate le monumentali sepolture nuragiche dell’età del Bronzo). Il tutto si sviluppò ed ebbe vita fra il XV e il IX sec. a.C. Oggi ci rimane un complesso archeologico esteso oltre sette ettari. Ma risaliamo l’altura, fin quasi al panoramico passo di Caravai (1118 m) dove, appunto, erano – e sono – le sorgenti utilizzate dagli antichi abitanti dell’isola.

Da una prima fonte, in opera isodoma (a filari regolari di conci di pietra) come le altre strutture del complesso, le acque, attraverso una canaletta passavano a un secondo pozzo circolare. Da questo secondo pozzetto parte un’altra canaletta che porta verso il pendìo. Le acque venivano quindi convogliate al sottostante complesso templare e abitativo.
Sul lato destro del paramento murario a emiciclo, che delimita lo spazio di rispetto delle fonti, le indagini hanno riportato in luce una vasca di forma rettangolare, costruita con conci in basalto a T, metodicamente lavorati dai nuragici con scalpelli a punte di diversa lunghezza per rifinire e lisciare le superfici in vista. I blocchi si legavano fra loro con verghe metalliche e lignee, inserite negli incastri nelle code o nelle estremità dei conci stessi. L’interno della vasca è pavimentato da lastre di trachite e di tufo legate da incastri perfetti. Nelle vicinanze è stata ritrovata una testina di ariete in trachite, ma la mancanza di materiale ceramico significativo e i pochi frammenti di bronzo rinvenuti non danno molti indizi sull’uso di queste fonti, che comunque appare esclusivamente religioso. Soprattutto, la vasca rituale (per le abluzioni purificatorie), molto simile a quella presente nel tempio di Nurdòle (vedi: AV n. 52), e le numerose basi per offerte rinvenute nel villaggio sottostante sono delle chiare testimonianze di sacralità del luogo.

Di recente è stato riportato in luce un terzo pozzo, che si apre all’interno di un ambiente circolare, adiacente alla vasca lustrale, con copertura a filari aggettanti, quindi formanti una copertura a tholos (cupola). All’interno della tholos, lungo la circonferenza dell’edificio e sopra un piano lastricato, poggiavano pugnali e spilloni in bronzo ed elementi di collana in ambra. Dallo scavo del pozzo provengono, invece, diversi contenitori in ceramica (olle, brocche e altri piccoli recipienti) usati per prendere l’acqua, databili nelle fasi finali dell’età del Bronzo (XII-IX a.C.).
Non vi sono dubbi: a Gremanu di Fonni ci troviamo di fronte all’unico esempio finora noto di acquedotto nuragico, un complesso di fonti collegate tra loro da un elaborato progetto idraulico, funzionale alla raccolta delle sorgenti della montagna, le cui acque venivano utilizzate per i riti religiosi e per il fabbisogno ordinario delle genti del villaggio che stava in basso.

Scendiamo ora nel pianoro della piccola valle in basso, percorsa dal rio Gremanu, dove si trovavano il villaggio e i templi nuragici. Qui la Soprintendenza ha scavato un edificio che all’esterno presentava tutte le caratteristiche di un nuraghe monotorre. I continui devastanti scavi dei clandestini hanno reso necessario concentrare le indagini in corrispondenza di grandi cumuli di crolli, ai limiti di una fitta vegetazione di roverelle (risparmiate dagli stessi scavatori abusivi per nascondersi più facilmente all’occorrenza) che contenevano conci di trachite, di calcare arenaceo e di basalto, sagomati a coda di rondine, a T, o decorati da profonde incisioni.

Molti blocchi presentano le superfici ricoperte da uno strato di materiale siliceo per aver subìto un processo di fusione. Tutta la zona dei vicini monti di Corr’é Boi è, infatti, interessata dalla presenza di antiche miniere di piombo e molti filoni sono ancora oggi visibili in superficie. Il piombo estratto, reso fluido negli appositi focolari (fonde alla modesta temperatura di 327,4° Celsius), poteva trovare un immediato utilizzo nelle basi in pietra per le offerte, abbondantemente rinvenute a Gremanu: molte di queste basi presentano dei fori che conservano ancora le piccole colate di piombo necessarie per fissare le offerte votive, costituite principalmente da spade e bronzi figurati. […]