Spartaco. Schiavi e padroni a Roma La piaga della schiavitù

spartaco schiavi e patroni a roma

Archeologia Viva n. 184 – luglio/agosto 2017
pp. 8-19

di Luciano Canfora, Egidio Incelli, Claudio Parisi Presicce, Orietta Rossini e Lucia Spagnuolo

La schiavitù conobbe nel mondo romano una capillare organizzazione

Per molti secoli l’economia dell’Impero si resse sul lavoro di milioni di schiavi che si resero decisivi per la sopravvivenza dello Stato

Per questo le rivolte degli schiavi vennero sempre vissute come una minaccia gravissima da reprimere con esemplare crudeltà… fino alla suprema sfida di Spartaco: ora una mostra all’Ara Pacis documenta questa piaga profonda nella carne dell’umanità 

Per insultare Antonio, Cicerone (106-43 a.C.), nella Seconda Filippica, lo chiama… «Spartaco!». Spartaco (circa 109-71 a.C.) aveva lasciato un ricordo indelebile nella coscienza dei ceti dirigenti romani perché era parso giungere quasi a colpire al cuore la Repubblica imperiale. Nondimeno, come già Annibale, si ritrasse di fronte al passo finale e possibilmente decisivo.

Verre (circa 120-43 a.C.) era stato il bersaglio di una durissima azione giudiziaria di cui Cicerone fu il protagonista assoluto: nelle Verrine lo descrive nel modo più ostile e infamante, e tuttavia Verre aveva in comune con Cicerone il terror panico degli effetti della rivolta di Spartaco. Si vantava, Verre, di aver contribuito a impedire che il contagio di Spartaco si estendesse alla Sicilia.

Di fronte a questa “benemerenza” di Verre, Cicerone non riesce a trovare forti argomenti in senso contrario: i due avversari sono affratellati nell’odio e nella paura suscitati da Spartaco. Il cui effetto principale dal punto di vista politico era stata l’attribuzione a Crasso, futuro triumviro, e di lì a poco console insieme con Pompeo, di poteri straordinari: la Repubblica, pur di fermare l’armata degli schiavi, era pronta a cedere a un generale straricco buona parte della sua preziosa libertas. […]