Romani e Greci a teatro Origini dell'Occidente

Romani e Greci a teatro

Archeologia Viva n. 168 – novembre/dicembre 2014
pp. 26-39

di Umberto Pappalardo e Daniela Borrelli

I teatri furono un centro straordinario di aggregazione sociale e di diffusione di ideologie politiche ma anche il luogo della catarsi individuale dove si rappresentavano i massimi sentimenti dell’uomo

Non a caso il teatro era dedicato a Dioniso e le rappresentazioni avvenivano in occasione di festività religiose

«… fattosi dare uno specchio, si fece acconciare i capelli ed il viso; poi chiese agli amici ammessi alla sua presenza, se avesse recitata bene la sua parte nella commedia della vita e concluse con l’abituale formula teatrale: “Poiché abbiam ben recitato / a noi date l’applauso / e la vostra gioia tutti a noi manifestate”».
Svetonio (Vita di Augusto 99)

Il teatro antico, quello greco e romano, è uno specchio della cultura occidentale. Chi pensa al teatro greco, pensa agli autori classici del V sec. a.C., ai tragici Eschilo, Sofocle, Euripide e magari ai comici Aristofane e Menandro.

Sembra ovvio dover collegare questi nomi con realtà monumentali, come il famoso teatro di Dioniso ad Atene, alle pendici meridionali dell’Acropoli, il teatro di Siracusa o quello di Epidauro.

Gli spettacoli erano una grande festa per tutti: il teatro faceva parte della vita cittadina e costituiva certamente uno dei luoghi fondamentali per la vita associata.

Gli spettatori conoscevano autori, storie e personaggi; ricordavano regie e interpreti; applaudivano, ma anche protestavano senza pietà.

Per avere un’idea di questa partecipazione generale ci si può rifare ai grandi eventi musicali e poetici della stessa Grecia moderna. Chi ha avuto la fortuna di assistere al grande concerto di Mikis Theodorakis e Melina Merkouri allo stadio di Atene, per celebrare la caduta del dittatura dei colonnelli (1974), o ha sentito i Greci cantare all’unisono le canzoni della rivoluzione, l’epanástasis, spesso scritte dai grandi poeti nazionali (quali Palamás, Sikelianós, Kaváfis, Rítzos, Elitis…), avrà percepito ciò che deve essere stato il teatro nell’antichità, capace di fondere «in un sol corpo la sacra festa… e il suo pulsare: l’intero teatro, spettatori e attori…», come scriveva nel 1971 il premio Nobel Giorgio Seferis.

I teatri antichi furono luoghi di aggregazione, di diffusione di ideologie, ma anche di catarsi individuale, dove si rappresentavano i massimi sentimenti dell’uomo: la gioia e il dolore. Non a caso il teatro era dedicato a una divinità, Dioniso.

Gli edifici teatrali, però, non hanno da raccontare solo miti o storie fantastiche, bensì anche storie di vita vissuta. Ad esempio sulle gradinate del teatro di Argo il poeta Pindaro (522/518-438 a.C. circa) reclinò il capo per l’ultima volta sulla spalla del giovinetto amato, Teosseno di Tenedo, al quale aveva dedicato una lirica piena di affetto.

Oppure, nel teatro di Siracusa potremmo immaginare il grande Eschilo, già cinquantenne, salire nel 475 a.C. le gradinate per seguire gli attori durante le prove delle sue Etnee, opera commissionatagli per celebrare la rifondazione di Catania. […]