Incontro con Andrea Carandini La voce della storia

andrea carandini

Archeologia Viva n. 165 – maggio/giugno 2014
pp. 74-77

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Roma trasse uno straordinario rilievo dal fatto che Pietro vi aveva concluso la sua missione apostolica»

«Nelle fonti di età traianea i cristiani appaiono già distinti dagli ebrei»

«Due generazioni dopo la morte di Pietro cominciò a formarsi la figura dell’episkopos monarchico embrione del potere assoluto dei papi»

«Dopo Francesco il Vaticano si trasformerà sempre più nel museo di se stesso»

Ha pubblicato molti articoli su Archeologia Viva. Crede nell’archeologia come disciplina formativa, fonte di conoscenze che di diritto spettano ai cittadini. Andrea Carandini, l’archeologo più famoso, amato dal vasto pubblico dei suoi ammiratori e lettori – un po’ meno da tanti suoi colleghi, che lo accusano di protagonismo, tesi azzardate, troppa fantasia… –, va avanti per la sua strada, tanto più ora che come docente emerito della Sapienza si ritiene “libero da tutto e da tutti”. Ha sorpreso con il suo ultimo libro edito da Laterza, Su questa pietra.

Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa, dove da perfetto “agnostico”, come tiene sempre a precisare, combinando l’analisi delle scritture all’indagine archeologica, ricostruisce la figura storica e umana dell’uomo a cui Gesù affidò la fondazione della sua comunità: «Il pescatore Simone fu da Gesù rinominato Kepha, nome aramaico equivalente al greco petra, ‘pietra’, da cui Petros, Pietro. Il nuovo nome prefigurava un destino speciale…

Un uomo mite, illetterato, di umana debolezza, eppure, alla morte del Maestro, capace di guidare la comunità cristiana. Da apostolo fragile a innovatore dell’orizzonte di predicazione voluto da Gesù, che estenderà fino ai “confini della terra”, dall’Oriente pagano greco all’Occidente incentrato su Roma. Un uomo la cui vita è costellata di momenti oscuri. Chi era realmente Pietro? È veramente arrivato fino a Roma? Sotto la basilica vaticana c’è davvero la sua tomba?

L’archeologia ci aiuta a scoprire la storia del primo apostolo, dalla sua casa a Cafarnao, in Galilea, dove ospitava Gesù, fino alla sua sepoltura, che si vuole rinvenuta – è chiara la continuità di memoria, ma non altro – sotto l’altare maggiore della basilica di San Pietro e finora mai adeguatamente spiegata».

Non parleremo dunque delle origini di Roma con l’uomo che ha rivoluzionato le conoscenze del Palatino, ma di quel “bagnasciuga” del cristianesimo che sono le origini della Chiesa, senza logicamente perdere d’occhio la Città Eterna, che ne fu la culla e che duemila anni dopo ne rimane il punto di riferimento ideale e spaziale.

D: Partiamo dalla fine, ovvero dalle tombe di Pietro e Paolo. Com’è possibile che siano arrivate fino ai giorni nostri?

R: Le sepolture di Pietro e Paolo, martiri trionfanti, si trovano ancora dov’erano nell’antichità – di Pietro la memoria/trofeo sotto la basilica vaticana e di Paolo la tomba vera e propria nella basilica Fuori le Mura – conservatesi grazie alla continuità della cristianità in Occidente e del cattolicesimo in Roma.

Anche a Costantinopoli è esistita una continuità, ma rovesciata: la moschea Blu sovrasta il palazzo imperiale, conosciuto in minima parte; e la moschea e il mausoleo di Maometto II, il conquistatore turco della città, sovrastano il sottostante e irraggiungibile Apostoleion – la basilica in memoria degli apostoli costruita dentro le mura, sulla più alta collina della nuova capitale d’Oriente – al quale era connesso il mausoleo di Costantino e dei suoi successori.

La basilica, probabilmente a croce greca, coperta da bronzo dorato e con soffitto a cassettoni d’oro, conteneva le tombe degli apostoli a guisa di sacre stele – le immaginiamo come cenotafi – e aveva nel mezzo l’altare e al centro il sepolcro definitivo di Costantino, che agli apostoli si era equiparato. Il mausoleo costantinopolitano, completato più tardi, possiamo immaginarlo simile ai mausolei imperiali di Elena e di Costantina in Roma.

D: In che modo Roma ha “risentito” della presenza di questi sepolcri?

R: A Roma, le tombe di Pietro e di Paolo prima e poi i loro “trofei”, eretti intorno alla metà del II secolo in due periferie della città (ai piedi del colle Vaticano e lungo la via Ostiense – ndr), conferirono alla comunità cristiana dell’Urbe un’autorevolezza in un primo tempo seconda soltanto a Gerusalemme – dove si conservava il Santo Sepolcro – e poi senza confronto, poiché la chiesa di Roma spiccava indiscutibilmente su tutte le altre. La chiesa madre di Gerusalemme già alla fine del I secolo era in crisi e ancor più decadde a partire dall’epoca di Adriano, quando i luoghi santi di Gerusalemme e Betlemme furono obliterati da culti pagani. […]