Incontro con Massimo Vidale La voce della storia

Archeologia Viva n. 197 – settembre/ottobre 2019
pp. 78-80

Intervista di Giulia Pruneti

«Il mio viaggio “dentro” ai bronzi di Riace e l’incontro con il volto mummificato di Federico II sono tra le esperienze che non scorderò mai»
«Quando il peggio è passato gli archeologi tornano nelle zone di guerra: come le rondini in primavera»
«A sei anni scavavo nella spazzatura della mia nonna recuperando i cocci rotti e gettati due anni prima»

D: Archeologia, processi produttivi e sviluppo delle identità. Questi alcuni dei suoi centri d’interesse. In che modo sono collegati e aiutano a capire da dove veniamo?

R: L’archeologia mi è sempre sembrata un campo scientifico tanto meraviglioso quanto difficile. Parlo soprattutto della grande difficoltà e della ancor maggiore responsabilità che comporta lo scavo stratigrafico, dato il suo carattere distruttivo. Ci sono colleghi che sembrano molto sicuri di sé e orgogliosi delle loro capacità di scavatori.

Per me non è mai stato così. Malgrado abbia avuto, alla scuola di archeologia sul campo di Padova, degli ottimi e generosi insegnanti, in primis Giovanni Leonardi, raramente mi sono sentito all’altezza del compito.

Scavando, si ha sempre l’impressione di non capire, perdere e distruggere qualcosa. Invece studiare la tecnologia antica, cioè i processi produttivi – una delle materie che insegno a Padova – mi è sembrata da subito una via più facile di altre: in un ciclo produttivo, ogni passo è collegato all’altro secondo la logica elementare delle catene operative. […]