L’antichità a colori. Il caso della Gallia dell’Est Parlando di... "barbari"

Archeologia Viva n. 198 – novembre/dicembre 2019
pp. 54-60

di Nicolas Delferrière e Anne-Laure Edme; a cura di Daniele Vitali  

L’uso di dipingere con vivaci colori statue e monumenti di ogni tipo ormai ben accertato per tutto il mondo antico si diffuse anche nelle realtà più periferiche dell’impero romano come documentano le stele funerarie della Gallia orientale

La policromia della scultura antica è oggetto di ricerche sempre più puntuali, che associano gli studi sulle fonti letterarie antiche alle analisi sui monumenti.

Se è vero che la scultura greca e romana “a colori” è stata per lungo tempo negata, soprattutto per considerazioni di carattere estetico, le scoperte di fine Settecento e di tutto l’Ottocento non lasciano dubbi sull’impiego dei pigmenti sulla statuaria antica, come riferivano i viaggiatori europei in Grecia e Magna Grecia.

A ciò si aggiunge il lavoro pionieristico di Antoine-Chrysostome Quatremère de Quincy (1755-1849), il quale, impegnato nella conservazione di opere antiche, aveva osservato tracce di pigmenti in numerose sculture del Louvre. […]