Archeologia Viva n. 198 – novembre/dicembre 2019
pp. 30-39
Paola Saccheri, Valentina Martinoia, Lorenzo Passera e Luciana Travan
Una florida città medievale lungo il corso del Tagliamento: sotto il duomo di Gemona del Friuli un ambiente da sempre noto come “cjarnâr” (carnaio) ha restituito migliaia di resti ossei della popolazione che nei secoli ha abitato la città
Dallo studio di questi reperti emergono storie di epidemie e terremoti ma anche di una tenace capacità di risorgere
Gemona si trova nell’alto Friuli, ai piedi delle Prealpi Giulie e in vista dell’ampio letto ghiaioso del Tagliamento, lungo il tratto della statale 13 Pontebbana che ricalca l’antica via consolare Iulia Augusta verso Julium Carnicum (oggi Zuglio) e il Norico, dunque anche nel Medioevo era un punto di passaggio obbligato per arrivare ai valichi alpini di Monte Croce Carnico e di Tarvisio.
È stata un Libero comune con statuto proprio nel XII secolo e uno snodo centrale dei traffici commerciali sotto il Patriarcato di Aquileia tra XIII e XIV secolo, tanto da imporre ai mercanti in transito il deposito delle merci e il pagamento di un dazio.
Flagellata dalla storia con ripetute epidemie e terremoti (ultimo quello, terribile, del 1976 costato in tutto il Friuli quasi mille morti), Gemona del Friuli, risorta dalle sue ceneri più di una volta, ricostruisce ora un segmento della sua storia grazie a una scoperta sensazionale. […]