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Seimila anfore in fondo al mare Straordinaria scoperta in Grecia

18 dicembre 2019


Un bastimento con un carico enorme: ben seimila anfore romane contenenti vino e altre derrate.
Dormivano da duemila anni a circa sessanta metri di profondità, cullate dal blu del mitico Egeo non lontano dal porto di Fiskardo, sulla costa settentrionale dell’isola greca di Cefalonia.

A destinazione non arrivarono mai, inabissandosi tra il 100 a.C e il 100 d.C a bordo di una grossa nave oneraria lunga trentatré metri, di cui è stato individuato anche lo scafo grazie a sofisticate apparecchiature sonar.

Reperti eccezionali per numero e conservazione

A forma di brocca, con due manici intorno al collo stretto e ancora i tappi che ne sigillavano il contenuto, le anfore sono praticamente intatte.

«Il relitto è parzialmente sepolto nel fondale sabbioso e se facessimo degli scavi, potremmo ritrovare anche una parte o l’intero scafo in legno», afferma George Ferentinos, ricercatore dell’Università di Patrasso, convito del fatto che il relitto della nave naufragata di Fiskardo sia uno dei quattro più grandi ritrovati nel Mediterraneo e il più grande mai trovato nel Mediterraneo orientale, oltre che il meglio conservato.

Crocevia di uomini e materie prime

Non lontano dal fondale del relitto, di recente sono tornati in luce i resti archeologici di case, bagni comuni, un teatro e un cimitero, databili fra 146 a.C. e 330 d.C. Fiskardo doveva essere dunque un porto importante nell’antichità, sulla rotta commerciale romana che trasportava merci dal Mediterraneo orientale.

Quale futuro per il relitto? Il parere di Luigi Fozzati

Non è stato ancora deciso se i reperti rimarranno in fondo al mare, trasformando il relitto di Fiskardo in un nuovo “paradiso” per subacquei, o se verranno prelevati per entrare a far parte della collezione di qualche museo.

Sulla questione ha le idee molto chiare Luigi Fozzati, uno dei padri fondatori dell’archeologia subacquea in Italia e membro del Comitato scientifico di Archeologi Viva:  «Non è la prima e non sarà l’ultima volta che si scoprono queste grandi aree archeologiche sommerse.

L’erosione costiera ha fatto sì che interi abitati siano stati inghiottiti dal mare e non siano ancora stati trovati. Abbiamo indicazioni di siti costieri o piccole città di epoca romana che non sono mai stati rinvenuti e che probabilmente sono finiti al di sotto dei depositi sabbiosi del nostro Mediterraneo.

Per quanto riguarda la destinazione turistica di queste grandi aree archeologiche sommerse – città, relitti o quant’altro – credo che non abbia senso da nessun punto di vista, men che meno quello scientifico,  recuperare migliaia e migliaia di anfore che possono benissimo essere studiate dove si trovano tuttora.

Al tempo stesso la trasformazione di questi siti in musei subacquei costituisce un’avventura molto accattivante, ma apre scenari che un giorno potrebbero essere preoccupanti».

Il rischio dell’overtourism subacqueo

«Il Mediterraneo – spiega Fozzati –  è un mare chiuso, di piccole dimensioni e uno dei più antropizzati del mondo. La presenza eccessiva di frequentazione umana sconvolge l’equilibrio ecosistemico. Le aree archeologiche subacquee sono le benvenute, ma occorrerà fare come sulla terraferma ovvero creare un rapporto equilibrato tra parchi accessibili e parchi non accessibili.  Insomma anche sott’acqua non si può visitare tutto».


Foto apertura: Ionian Aquarium
Foto Luigi Fozzati da “Lettera32”