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Tucidide tra peste e democrazia ieri come oggi

16 aprile 2020


Il coronavirus nel 2020. La peste ad Atene nel V sec. a.C.
Ieri come oggi il contagio è “democratico”.
Semina morte senza guardare in faccia a nessuno: potenti o disgraziati, forti o deboli.
La vicenda di Pericle insegna…
Lo straordinario resoconto di Tucidide del terribile morbo all’ombra del Partenone viene ora riproposto ad Archeologia Viva come spunto di riflessione dal professor Umberto Pappalardo.
Volentieri condividiamo. 

La peste ad Atene:
Tucidide, La guerra del Peloponneso II, 47-53

Tucidide nacque ad Atene fra il 460 e il 455 a.C., in una delle più aristocratiche famiglie dell’Attica.
Accusato di alto tradimento, fu condannato a morte, che evitò andando in esilio per oltre vent’anni.
In
quel lungo periodo compose l’opera che lo avrebbe reso famoso: “La
guerra del Peloponneso”, un resoconto sul conflitto che dal 431 al 404
oppose Atene a Sparta per il dominio sul mondo greco. Nel 404, dopo
la resa di Atene, fu richiamato in patria con un decreto speciale che
revocava la condanna. Morì poco tempo dopo, in circostanze mai
chiarite.
Lo storico descrive l’epidemia di peste che colpì Atene intorno al
430 a. C., durante la guerra del Peloponneso, quando la città era sotto
assedio. Il morbo provocò migliaia di morti, fra i quali lo stesso Pericle.

Umberto Pappalardo*


 All’inizio dell’estate i Peloponnesiaci e i loro alleati invasero l’Attica.
Li comandava Archidamo, re di Sparta. Erano nell’Attica solo da pochi
giorni, quando il morbo cominciò a manifestarsi ad Atene. l medici
non riuscivano a fronteggiare questo morbo ignoto ma anzi
morivano più degli altri, in quanto si avvicinavano ai malati.
A quanto si dice, la peste incominciò in Etiopia, poi passò in Egitto e
in Libia. Ad Atene piombò improvvisamente e contagiò prima gli abitanti
del porto. Gli ateniesi sostenevano che i nemici avevano gettato dei
veleni nei pozzi …
Si dica pure su questo argomento quello che ciascuno pensa, medico
o profano che sia, io ne racconterò i sintomi, giacché io stesso ne fui
affetto …
All’improvviso, le persone venivano prese da vampate di calore
alla testa, arrossamento e bruciore agli occhi. La gola e la lingua
assumevano un colore sanguigno ed emettevano un odore sgradevole.
Dopo questi sintomi sopraggiungevano starnuti e raucedine. Dopo non
molto il male scendeva al petto con una forte tosse e quando
raggiungeva lo stomaco provocando spasmi, svuotamenti di bile e forti
dolori. Nella maggior parte dei casi si manifestava anche un singhiozzo
con sforzi di vomito che generavano violente convulsioni.
Il corpo era rossastro, livido e come fiorito di piccole pustole; le parti
ardevano a tal punto da non riuscire a sopportare nemmeno le vesti
leggere. Molte persone si gettarono nei pozzi, oppresse da una sete
inestinguibile, ma il bere dava poco risultato. L’insonnia opprimeva.
La maggior parte moriva dopo giorni per effetto del calore; se invece
sopravvivevano, la malattia produceva una violenta diarrea e così
morivano per lo sfinimento …
Il morbo mostrò di essere diverso dalle solite epidemie …
La malattia portava via tutti, anche chi era curato con la maggiore
attenzione. Non esisteva nessuna medicina che si potesse
applicare …
Se si accostavano alle persone, morivano per il contagio, e in
particolar modo quelli che agivano per generosità .. . La malattia non
colpiva due volte la stessa persona in modo grave.
Oltre alla malattia, aggravava il loro disagio l’afflusso della gente dai
campi …
Tutte le consuetudini che prima si seguivano nel celebrare gli uffici
funebri furono sconvolte e si seppelliva come ciascuno poteva. Molti
usarono modi di sepoltura indecenti, dato che i morti erano numerosi
gli uni, posto il loro morto su una pira destinata a un altro, vi davano
fuoco; altri, mentre un cadavere ardeva, vi gettavano sopra anche quello
che stavano portando e se ne andavano.
Il morbo dette inizio a numerose infrazioni della legge . . . poiché
dal momento che una pena ben più grande pendeva sulle loro teste,
era naturale godere della vita prima che tale punizione piombasse anche su di loro.


*Umberto Pappalardo è docente di Archeologia classica, Archeologia pompeiana e Archeologia e Storia dell’arte greca e romana all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa. È membro del comitato scientifico di Archeologia Viva.