18 giugno 2020
Se ne è andato improvvisamente a Roma, all’età di 72 anni, il giudice Paolo Giorgio Ferri, sostituto procuratore nella Capitale dal 1991 al 2010 ed ex “esperto per i rapporti internazionali e i recuperi” del Ministero per i Beni culturali.
Protagonista di oltre 15 anni d’inchieste sui “predatori d’arte”, con oltre 2.500 persone indagate e fondamentali recuperi di opere italiane dall’estero, Ferri è stato una figura centrale anche per “l’archeologia rubata” cui dichiarò ufficialmente guerra a partire dal lontano 1994.
Al Presidente dell’Associazione Nazionale Archeologi (ANA) e amico di Ferri, Alessandro Garrisi, Archeologia Viva affida il ricordo del magistrato.
Un esempio da imitare, un lavoro da proseguire
«La notizia della scomparsa di Paolo Giorgio Ferri mi ha raggiunto improvvisamente, lasciandomi sbigottito, mentre partecipavo a una cerimonia alla quale avrebbe dovuto esserci anche lui: l’inaugurazione del nuovo ciclo di un master in archeologia giudiziaria, dove il magistrato era uno dei più apprezzati docenti. Subito, la sensazione di aver perso un vero e proprio punto di riferimento.
Il Caso che fece scuola
«Conobbi Paolo Giorgio Ferri in occasione del III Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Archeologi, nel 2013: partecipò ai lavori con entusiasmo, raccontando con dovizia di particolari il famoso Caso Medici (dal nome del contrabbandiere e mercante d’arte Giacomo Medici, accusato da Ferri del commercio clandestino di centinaia di reperti archeologici e condannato nel 2004 dalla Cassazione a otto anni di carcere per ricettazione e al pagamento di una multa allo Stato di dieci milioni di euro −ndr).
A tu per tu con gli archeologi
«Ebbi occasione di scoprire una persona umanamente raggiungibile, appassionata, curiosa di comprendere il mondo dell’archeologia non solo attraverso leggi e norme di salvaguardia del patrimonio, che ben conosceva anche attraverso i suoi principali attori, gli archeologi, in prima linea sul campo di ogni azione di tutela.
«Passato alla storia per aver scritto una delle pagine più importanti nella lotta al traffico illecito di beni del patrimonio archeologico, storico e artistico, Ferri capiva molto bene che il mercante era solo un tassello all’interno di un sistema molto più ampio che va dal semplice tombarolo arrivando, con l’intermediazione del trafficante, fin dentro i musei pubblici e nelle collezioni private di tutto il mondo.
La preoccupazione per il patrimonio culturale
«Durante i suoi 15 anni di indagini e inchieste ebbe sempre ben chiaro che l’Italia non poteva affrontare il fenomeno da sola: troppo vaste le dimensioni e gli interessi in campo, troppi i paesi coinvolti in ogni continente, ciascuno con le sue norme e le sue specificità culturali.
«Nel 2010 solo in Italia erano 2.500 le persone coinvolte a vario titolo in un’ipotesi di reato formulata per la prima volta in questo campo: il riciclaggio. Con un po’ di amarezza, sempre nel 2010, Paolo Ferri ricordava come, nonostante decenni di indagini e successi giudiziari, in Italia i reati contro il patrimonio culturale non venissero sufficientemente “sentiti” non solo dall’opinione pubblica, ma anche da parte della magistratura.
Un testimone da raccogliere (subito)
«Nel piangerne la scomparsa, l’auspicio più grande è che il suo testimone possa essere prontamente raccolto da archeologi e magistrati di pari sensibilità, affinché la lotta ai crimini contro il patrimonio non subisca arretramenti e prosegua con convinzione a tutela dei nostri beni comuni».
Alessandro Garrisi
presidente Associazione Nazionale Archeologi (ANA)