25 settembre 2020
La nave lapidaria sorprende ancora
Si è conclusa in Sicilia la quarta campagna di archeologia subacquea sulla nave lapidaria di epoca imperiale sepolta nei fondali di Kamarina, in provincia di Ragusa. L’Unità di archeologia subacquea (UAS) dell’Università di Udine è tornata nella baia di Kamarina, dove è stata individuata e messa in luce l’intera fiancata della navis lapidaria di fine II sec. d.C., per sottoporla a riprese fotogrammetriche finalizzate a generare un modello 3D e al prelievo di campioni per le analisi paleobotaniche.
Lo scavo del relitto fa parte del più ampio Kaukana Project – condotto dall’Università di Udine in stretta collaborazione scientifica con la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e il supporto dell’Institute of Nautical Archaeology di College Station (Texas, Stati Uniti) – che prevede un organico programma di ricerca e studio delle testimonianze storico-archeologiche conservate lungo il litorale compreso tra le antiche città di Ispica, Kaukana e Kamarina, nel Ragusano, finalizzato alla ricostruzione diacronica del paesaggio sommerso e costiero.
Il progetto è nato nel 2017 per volontà di Sebastiano Tusa, già Soprintendente del Mare e poi Assessore ai beni culturali della Regione Sicilia, ed è stato co-diretto dallo stesso Tusa con Massimo Capulli, docente di archeologia subacquea e navale del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine, fino alla tragica scomparsa di Tusa a marzo 2019, nel disastro aereo del volo Ethiopian Airlines mentre era in viaggio per partecipare a un convegno Unesco.
La quarta campagna di scavo
Il sito sommerso si trova nella baia a sud dell’insediamento greco-romano di Kamarina, a circa 2 metri di profondità, sepolto nella sabbia del fondale. Obbiettivo della quarta campagna, è stato il proseguo dello studio tecnico-costruttivo dello scafo della nave.
Trasportava enormi colonne di marmo
Il relitto trasportava due colonne monolitiche, semilavorate e lunghe poco più di 6 metri, in marmo giallo numidico. Si tratta di marmo caratterizzato da una grana fine e compatta, con venature giallo-paglia, che arrivava a Roma dall’Africa fin dal I sec. a.C. e la cui esportazione continuò fino a tutto il III sec. d.C., risultando, nell’Editto dei prezzi di Diocleziano, il marmo più costoso. A questo carico principale si aggiungevano altre merci e segnatamente blocchetti di marmo grigio e arenaria compatta, nonché anfore africane. Contenitore, quest’ultimo, generalmente destinato al trasporto di olio e i cui luoghi di produzione si trovavano in territori corrispondenti all’odierna Tunisia.
Tutte le attività in mare sono state coordinate congiuntamente da Massimo Capulli, dell’Università di Udine, con Fabrizio Sgroi, della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, e con la collaborazione dell’Ufficio Locale Marittimo di Scoglitti della Capitaneria di Porto di Pozzallo.