News

Un museo nel condominio Nasce la "scatola archeologica" della Domus Aventino

8 ottobre 2020


Ancora scoperte nella città eterna

Otto secoli di storia dell’antica Roma, quattro anni di scavi, due di progettazione, un allestimento multimediale.
È la “scatola archeologica” della Domus Aventino: una nuova area inaugurata a quasi vent’anni dall’apertura del Mitreo di Santa Prisca. Archeologia, architettura e tecnologia danno origine al primo sito romano all’interno di un complesso residenziale privato aperto regolarmente alle visite.

La soprintendente Daniela Porro: una novità assoluta, una sfida vinta da tutti

«La “scatola archeologica” della Domus Aventino è per molti aspetti innovativa e virtuosa.
Presenta infatti uno scavo come gli archeologi lo hanno indagato, grazie a un progetto architettonico della soprintendenza a cui hanno collaborato per la parte multimediale Piero Angela e Paco Lanciano. Abbiamo in questo modo complesso archeologico unico per la città di Roma: un museo all’interno di un condominio. Una sfida che abbiamo vinto tutti quanti, riuscendo a coniugare gli interessi imprenditoriali con il desiderio di restituire al mondo uno scrigno nascosto, testimone millenario del nostro passato».

Dal sottosuolo… una sorpresa dietro l’altra

Dirette dall’archeologo della Soprintendenza Roberto Narducci, le indagini che hanno portato agli importantissimi ritrovamenti hanno origine nel consolidamento antisismico iniziato nel 2014 da BNP Paribas Real Estate che ha acquistato da BNL un immobile per realizzare un complesso residenziale da 18.000 metri quadrati alle pendici dell’Aventino.

Dallo scavo sono emersi mosaici, strutture e materiali che dall’VIII sec. a.C. arrivano fino al III sec.d.C. Dai primi terrazzamenti nel banco di tufo dell’Aventino fino a una sontuosa residenza, che dall’età tardo repubblicana a quella medio imperiale subisce continue trasformazioni.

Lunga storia di un colle

Coinvolto nel mito delle origini di Roma, l’Aventino deve la sua fortuna nel tempo proprio alla peculiare morfologia di roccaforte in posizione strategica, ricca di risorse idriche di superficie e del sottosuolo. Le indagini archeologiche a seguito del cambiamento di destinazione d’uso degli edifici della Banca Nazionale del Lavoro risalenti al 1952, si sono svolte dal 2014 al 2018.

Tra i plinti di fondazione del vecchio complesso sono riemerse le significative tracce di un paesaggio urbano del passato, posto lungo il versante meridionale del colle e di fronte a un’area pianeggiante dove passava in antico il vicus Piscinae Publicae, oggi viale Aventino.

Dopo una frequentazione nell’VIII sec. a.C., epoca della fondazione di Roma, lo scavo ha individuato un muro in blocchi, interpretabile come un apprestamento militare, forse la fondazione di una torre di guardia, edificata tra VI e III sec. a.C., quando Roma, per fronteggiare le minacce di invasione a cui era sottoposta, predispone un circuito di mura difensive, visibili attualmente a piazza Albania e in via di Sant’Anselmo con due tratti monumentali.

Si data alla fine del III sec. a.C. la sistemazione del pianoro con la realizzazione di una grande colmata di terra e detriti che aveva lo scopo di rialzare la quota del terreno, attenuandone le asperità e ampliando la superficie piana a disposizione. Da qui provengono interessanti materiali che documentano uno dei più rilevanti depositi di questo periodo mai rinvenuti a Roma.

Da struttura difensiva a residenza privata

Intorno alla metà del II sec. a.C. un’imponente muratura segna un diverso utilizzo dell’area: da difensivo per la collettività a residenziale privato, in concomitanza con una rinnovata situazione socio-economica. All’interno di quest’opera si sviluppa una domus, vissuta come espressione di prestigio sociale da parte della proprietà.

Dell’abitazione si riconoscono le zone residenziali per la notte e per il giorno, quelle destinate allo stivaggio di merci o di derrate alimentari, e quelle all’aperto, utilizzate come giardini con il sistema di smaltimento delle acque, ma soprattutto si sono identificate le fasi edilizie, concentrate in uno spazio limitato, vincolato dall’orografia del terreno.

A ogni cambio di padrone una ristrutturazione

Sei i livelli pavimentali sovrapposti messi in luce in un settore della residenza, a testimonianza dei rifacimenti avvenuti in questo luogo nell’arco di due secoli.
Lo studio dei materiali provenienti dagli strati preparatori ha permesso di stabilire che all’incirca a distanza di trent’anni, venivano ristrutturati gli ambienti.

A ogni cambio di generazione i proprietari mettevano mano alla riorganizzazione della domus, seguendo la moda dei tempi e adattando la dimora alle nuove necessità. La fase più antica della fine del I sec. a.C., è costituita da un mosaico in tessere bianche e nere a esagoni e da un piano in cementizio bianco punteggiato da dadi neri. Seguono due pavimenti in cementizio ascrivibili alla seconda metà del I sec. d.C. e agli inizi del secolo successivo.

Particolare è il lacerto musivo con iscrizione, databile agli anni di Traiano (98-117 d.C.) e conservato in frammenti a causa del reimpiego delle tessere, riutilizzate nelle successive trasformazioni. L’iscrizione ricorda l’offerta della pavimentazione a spese di tre personaggi appartenenti a un collegium con sede in quella parte della domus, prefigurandone per questo periodo un uso semi-pubblico, riservato ai membri dell’associazione.

Della fase di età adrianea (117-138 d.C.) rimangono mosaici in tessere bianche e nere, intrecciate tra loro nei colori contrastanti in modo da delineare eleganti motivi geometrici. Un esemplare di questo periodo, in buono stato di conservazione, è stato lasciato a vista nell’area archeologica.

Per ogni fase mosaici diversi

I cinque rivestimenti musivi di età antonina (150-175 d.C.), apparsi per primi agli scopritori, sono senza dubbio quelli maggiormente rappresentativi dello straordinario contesto.

L’estensione e la vivace policromia nel repertorio iconografico dei tappeti lascia intuire una committenza di alto livello, probabilmente dedita al commercio, vista la prossimità con l’Emporium tiberino. Pertinenti alla stessa fase costruttiva, sono i tramezzi con tracce di intonaco dipinto.

Tra tutela e valorizzazione

Per esigenze di tutela e valorizzazione, i resti, che in parte sono stati delocalizzati, hanno richiesto un progetto ambizioso. I tecnici della Soprintendenza hanno ideato a tal fine un’inedita “scatola archeologica”, un contenitore, una sorta di scrigno per racchiudere, proteggendolo, un tesoro del patrimonio culturale.

Attraverso un rigoroso lavoro di distacco,  sono stati successivamente ricollocati nella “scatola archeologica” – alla stregua di uno straordinario puzzle – le opere murarie e i mosaici delle fasi di età antonina e adrianea, esattamente come riemersi al momento della scoperta, secondo una ricostruzione filologica che ne ha mantenuto deformazioni, orientamento e successione stratigrafica.