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Manoscritto azteco senza più segreti

20 ottobre 2020 


Dal Sud America a Bologna

Il Codice Cospi, uno dei pochissimi manoscritti precolombiani esistenti al mondo, è al centro di un’eccezionale campagna di analisi presso la Biblioteca Universitaria di Bologna (dove è conservato) e in collaborazione con il Museo di Palazzo Poggi del Sistema Museale di Ateneo. Attraverso tecniche avanzate non invasive, un gruppo di studiosi sta cercando di ricostruire la composizione dei vividi colori con cui l’antico testo azteco venne dipinto tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.

Grazie alle nuove tecnologie

Spiega Davide Domenici, professore dell’Università di Bologna che coordina l’iniziativa: «Verranno impiegate avanzate tecniche di imaging iperspettrale e fluorescenza per mappare la distribuzione dei materiali utilizzati, sia organici che inorganici, in tutte le pagine del codice. Questo ci permetterà di indagare con un dettaglio fino ad oggi impensabile le pratiche tecnologiche e pittoriche sviluppate dagli artisti precolombiani».

Arrivato fino a noi (miracolosamente)

Il manoscritto divinatorio nahua (cioè azteco) noto oggi come Codice Cospi è uno dei rarissimi “libri” precolombiani – una dozzina in tutto – scampati alle ingiurie del tempo e alla furia di conquistatori ed evangelizzatori.

Testimone di un immenso patrimonio librario condannato in gran parte all’oblio, il codice fu probabilmente portato a Bologna dal domenicano spagnolo Domingo de Betanzos in occasione di un suo incontro con papa Clemente VII, avvenuto il 3 marzo del 1533. Da allora il prezioso manoscritto rimase nella città emiliana, transitando prima nella collezione di Ferdinando Cospi e poi in quella dell’Istituto dell’Accademia delle Scienze, fino ad arrivare alla Biblioteca Universitaria di Bologna dove è ancora oggi conservato.

“Caccia” ai colori

Le nuove analisi sul Codice Cospi utilizzano un Macro-XRF scanner,  strumento che attraverso i raggi X permette d’investigare la composizione elementare dell’oggetto d’indagine. A partire dalla distribuzione degli elementi chimici sarà quindi possibile individuare i pigmenti che li contengono. Ad esempio, la distribuzione dell’orpimento, un pigmento giallo di origine minerale, potrà essere ricostruita a partire dalla presenza di arsenico, l’elemento di cui è composto.

Giochi di …luce

Il manoscritto sarà inoltre sottoposto alla camera iperspettrale nel visibile: un metodo di analisi che permette di capire come la luce visibile viene assorbita, riflessa ed emessa. Poiché queste proprietà possono essere specifiche per alcuni composti, attraverso la camera iperspettrale è possibile mapparne la distribuzione. Nel caso specifico, sarà ad esempio possibile mappare l’impiego di coloranti organici come l’indaco, che veniva impiegato, insieme a specifiche argille, nella produzione del celebre Blu Maya.

Le nuove indagini sono possibili grazie a un finanziamento della Fondazione Carisbo (bando Arte e Cultura) concesso al Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna. Sono coinvolti i ricercatori del Centro di Eccellenza SMAArt (Scientific Methodologies applied to Archaeology and Art) dell’Università di Perugia, dell’Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche “Giulio Natta” del CNR (SCITEC-CNR) e dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR (ISPC-CNR), sotto il coordinamento di Laura Cartechini (SCITEC-CNR) e Aldo Romani (SMAArt).


Foto Luca Sgamellotti