Incontro con Guido Vannini La voce della storia

Incontro con Guido Vannini

Archeologia Viva n. 162 – novembre/dicembre 2013
pp. 74-76

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Quando una società crede in se stessa si rivolge alle sue radici soprattutto in tempi di crisi»

«Perfino le distruzioni urbane dell’ultima guerra mondiale sono state “interpretate” positivamente come occasione per “creare” nuovi strumenti di analisi del proprio passato: anche così è nata l’archeologia medievale europea»

«In tempi di difficoltà si rafforza l’interesse a studiare i momenti critici del passato»

Era il 1981 quando per la prima volta ci incontrammo con Guido Vannini, all’epoca poco più che trentenne ispettore archeologo presso la Soprintendenza della Toscana. Era per la presunta scoperta della tomba di Giotto vicino alla porta della Mandorla in Santa Maria del Fiore – uno dei molti “ritrovamenti” dei resti del sommo pittore, che tuttora non sappiamo in quale parte della cattedrale di Firenze riposi – immediatamente smentita da Vannini con una semplice considerazione di natura stratigrafica.

L’anno dopo nasceva Archeologia Viva e l’ancora ispettore di soprintendenza entrò fra i primi nel comitato scientifico della testata. Diciamo che la vicenda professionale e scientifica di Guido Vannini si è affiancata in gran parte a quella della nostra rivista, con esiti fortunatamente lusinghieri per entrambi.

Sono stati i decenni in cui le ricerche di archeologia medievale anche in Italia si sono sviluppate sempre più, in qualità ed estensione, fornendoci un quadro dell’età di mezzo molto più complesso e sfaccettato di quello che fino a tempi recenti ci avevano procurato le sole indagini storiografiche. Vannini è titolare dal 2002 della cattedra di Archeologia medievale all’Università di Firenze.

Nel frattempo ha diretto una sessantina di progetti archeologici in aree urbane e rurali. In particolare ha indagato l’incastellamento, ovvero quel fenomeno socio-politico-architettonico che in Europa vide la costruzione di migliaia di castelli grandi e piccoli, espressione di un potere decentrato in diffuse realtà locali.

Vannini ama ripetere: «Il Medioevo ha il fascino dei momenti storici dai contorni sfumati, poco inquadrabili in categorie mentali definite. Fare ricerca, con uno specifico archeologico, in quest’epoca lunga un migliaio di anni, dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente fino all’Umanesimo, ha il sapore di un’autentica avventura intellettuale non meno che esistenziale».

D: L’archeologia medievale in Italia è una disciplina di istituzione relativamente recente, rispetto, mettiamo, alla ben più blasonata archeologia classica. Com’è nata e perché questo ritardo?

R: In campo culturale, come in quello sociale, le cose avvengono quando i tempi sono maturi e se si danno le condizioni. In Italia l’archeologia medievale nasce agli inizi degli scorsi anni Settanta sviluppandosi poi nei decenni successivi; ma la base culturale è storicistica e su linee di ricerca lontane anche da quelle “archeologie” che in passato si erano variamente occupate di Medioevo come semplice estensione cronologica della classica “Archeologia e Storia dell’arte greca e romana” dalle origini neoclassiche winkelmaniane.

Non si tratta quindi di ritardo, ma di una vera e propria “nuova archeologia”, volendo parafrasare la “Nuova Storia” di Jaques Le Goff. Certo, importanti sono stati gli input specifici che giungevano dalle scuole archeologiche medieviste che si erano andate formando in Europa: dall’Inghilterra, per aspetti di una metodologia che si andava profondamente innovando; dalla Polonia, con una particolare enfasi sul contributo della documentazione materiale, interpretata come “cultura materiale” – una concezione condivisa anche da altre scuole antichiste, come quella di Andrea Carandini –, e dell’archeometria come “produttrice” di nuove fonti. Temi fondanti, su cui si è “costruita” l’archeologia medievale europea, sono quindi un’archeologia urbana reinterpretata e che si dimostrava capace di aggiungere nuove, autentiche pagine di storia ad alcune delle maggiori città europee… sfruttando l’”occasione” delle distruzioni dell’ultima guerra per impostare indagini di ampio respiro.

In Italia possiamo citare l’opera pionieristica di Guglielmo Maetzke a Firenze: una figura molto più importante per la cultura archeologica italiana di quanto comunemente riconosciuto. Si può ricordare anche la straordinaria esperienza dell’archeologia dei “villaggi abbandonati”, un’autentica palestra comune a tutta l’archeologia medievale europea e che ha costituito il laboratorio dove storici e archeologi hanno costruito nel contempo alcuni dei principali presupposti di metodo e intere strategie di ricerca territoriale.

D: C’è un settore in cui questo binomio archeologia-storia medievale emerge con più forza?

R: Oramai è vasta la gamma di tematiche in cui apporti di storici (fonti scritte) e archeologi (fonti materiali) convergono. Direi comunque che senza dubbio il tema dell’incastellamento rappresenta bene il tipo di contributo che la fonte archeologica porta all’elaborazione di nuovi modelli d’interpretazione di fenomeni storici di ampio respiro… […]