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Iran: notizie da “La Città Bruciata”

1 Marzo 2021


L’eldorado che non ti aspetti

Shahr-i Sokhta, in farsi la ‘Città Bruciata’, è uno dei più importanti siti protostorici dell’intero plateau iraniano.
Patrimonio mondiale dell’Unesco, qui, o meglio laggiù, dal 2016 il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento ha avviato il progetto multidisciplinare MAIPS – Multidisciplinary Archaeological Italian Project at Shahr-i Soktha, diretto da Enrico Ascalone dell’Università di Göttingen e da Seyyed Sajjadi dell’Iranian Center for Archaeological Research, responsabile del progetto archeologico di Shahr-i Sokhta dal 1997.

Risultati e progetti

Dichiara ad Archeologia Viva il professor Giuseppe Ceraudo dell’ateneo salentino: «I risultati sono davvero sorprendenti. Siamo nella parte sud orientale del Paese, nella regione del Sistan-Baluchistan, a breve distanza dal confine con l’Afghanistan, un territorio di frontiera in cui forte è la presenza militare iraniana, lì dislocata per preservare l’integrità territoriale e regionale di una regione particolarmente turbolenta dal punto di vista geo-politico».

Un territorio difficile e… bellissimo

Shahr-i Sokhta, la cui estensione è di circa 200 ettari, da una parte ha mostrato processi di crescita locale ben radicati nel tessuto culturale del Sistan iraniano e, dall’altra, tra il secondo quarto del III e l’inizio del II millennio a.C. ha restituito straordinarie evidenze di un ‘long-distance trade’ tra i principali centri del Vicino Oriente.

In particolare, le evidenze di attività manifatturiere nell’insediamento e la scoperta di ingenti quantitativi di pietre non lavorate semi-preziose come lapislazzuli, turchese, alabastro e altro hanno permesso di riconoscere, nel centro del Sistan, un’area di approdo, stoccaggio, lavorazione e redistribuzione del materiale destinato per un fabbisogno interno e per un domanda esterna da riconoscersi nelle oasi dell’Oxus, nelle fertili valli dello Halil (Jiroft), nelle pianure della valle dell’Indo e nelle aree alluvionali mesopotamiche, le cui evidenze archeologiche provenienti dai maggiori centri del sud (Ur), della Diyala (Khafaja), del medio corso dell’Eufrate (Mari) e dell’Alta Mesopotamia (Tepe Gawra).

Tali realtà, assieme a quelle della Siria Interna (Ebla), risultano decisive per confermare la presenza di due maggiori itinerari commerciali che sfruttarono, a nord, la via del Khorasan (ben conosciuta dai più tardi testi dei geografi arabi) e, a sud, la via marittima del Golfo Persico che, a partire dalla seconda metà del III millennio a.C., gradualmente sostituirà l’arteria settentrionale.

La fine forse per colpa del clima

Con la fine del III millennio a.C. la floridità del maggiore centro del Sistan dovette scomparire improvvisamente, per cause perlopiù misteriose che coinvolsero i maggiori centri di tutta l’Asia Media. Shahr-i Sokhta cesserà la propria esistenza colpita da una crisi che la ricerca archeologica tende a spiegare, non senza incertezza, con un radicale e repentino cambiamento climatico che avrebbe colpito quei centri, la cui sussistenza risiedeva principalmente nelle risorse idriche della regione.

(Ancora) più indietro nel tempo

«Oggi – conclude il professor Ceraudo –i  nostri  recenti studi hanno permesso di raccogliere dati che cambiano la cronologia del centro di Shahr-i Sokhta, restituendogli una nuova sequenza stratigrafica e cronologica che ‘alza’ la vita dell’abitato di circa 3-4 secoli.
Significative evidenze fanno pensare che il sito si comportasse come un centro dalla struttura eterarchica: gruppi di origini tribali diversi convissero in uno stato di equilibrio sociale in cui gli aspetti gerarchici furono destinati solo all’interno di ogni singolo gruppo, in un regime di equilibrio economico dettato verosimilmente dalla prosperità che il centro dovette avere durante la prima metà del III millennio a.C.».

Il Potere? Di tutti e di nessuno

Questa eterogeneità, basata su un complessivo equilibrio sociale interno al clan e tra gruppi, impedì la centralizzazione delle risorse dell’insediamento e con esse il sorgere di una classe dominante sul sito e nella sua regione; un passaggio mancato che non produsse una centralizzazione amministrativa e la standardizzazione degli strumenti generalmente usati per il controllo delle realtà economiche su larga scala.

Contabilità e tavolette d’argilla

Tra le scoperte recenti più straordinarie ,centinaia di proto-tavolette in argilla, usate per la registrazione contabile all’interno di singoli edifici. Reperti devono essere considerati forme di contabilità amministrativa di matrice famigliare ovvero destinate al calcolo e alla gestione del surplus economico prodotto.


Il progetto MAIPS, finanziato dall’Università del Salento, dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e da enti e istituzioni private, vede coinvolti quattro laboratori del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento: il Laboratorio di Topografia antica e fotogrammetria (Giuseppe Ceraudo), il Laboratorio Antropologia fisica (Pier Francesco Fabbri), il Laboratorio Paleobotanica e paleoecologia (Girolamo Fiorentino) e il Laboratorio Archeozoologia (Claudia Minniti).Si tratta quindi di un progetto che vanta un approccio pienamente multidisciplinare, che è stato possibile avviare proprio grazie alla presenza integrata di tutte queste competenze specialistiche, tutte concentrate in un’unica struttura di ricerca, fenomeno assai raro nel panorama universitario italiano.