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Grotta Loubens: giallo risolto!

4 marzo 2021


Un cold case lungo 5000 anni

Un cranio umano risalente a oltre 5000 anni fa venne ritrovato nel 2015 a ventisei metri di profondità nella grotta “Marcel Loubens” all’interno del Parco dei Gessi, a San Lazzaro di Savena, vicino a Bologna. Il reperto si trovava in cima a un pozzo verticale alto dodici metri non comunicante con l’esterno. A chi apparteneva? Come aveva fatto ad arrivare fin lì? Cosa significano quei tagli in diversi punti del reperto?

A rispondere sono gli studiosi dell’Università di Bologna alle prese con l’analisi di questo insolito reperto su cui hanno avviato svariate analisi multidisciplinari.

Colpo di scena! Era una donna

Così oggi finalmente sappiamo che la protagonista è una giovane donna vissuta nell’età del Rame (Eneolitico), il cui cadavere doveva essere stato manipolato con operazioni di pulizia dei tessuti molli, forse nell’ambito di un rituale funerario.

Il corpo doveva trovarsi sul bordo di una dolina: da lì il cranio, spinto dall’acqua e dal fango, deve essere rotolato all’interno della grotta, fino al punto e in cui è stato ritrovato.

Notizie “solo” dalle ossa

Maria Giovanna Belcastro, professoressa del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, ha coordinato lo studio e afferma: «Questa è la prima chiara evidenza di manipolazioni peri mortem di un cranio in epoca eneolitica in Italia documentata solo dallo studio osteologico, considerando che il contesto in cui è stato trovato il cranio è privo di qualunque altra evidenza antropologica e archeologica. Si tratta di una scoperta che offre importanti indizi per ricostruire le pratiche funerarie delle popolazioni eneolitiche che vivevano nel territorio emiliano-romagnolo».

Dinamica della scoperta

Il cranio, che ora sappiamo essere femminile, fu rinvenuto durante l’esplorazione di un nuovo ramo della Grotta “Marcel Loubens”: una cavità che si trova all’interno del Parco regionale dei Gessi bolognesi e calanchi dell’Abbadessa (a San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna), nell’area centrale di una grande depressione carsica chiamata Dolina dell’Inferno.

Due anni dopo la scoperta, ovvero nel 2017, è stato possibile recuperare il cranio, grazie a una squadra del Gruppo Speleologico Bolognese. L’analisi al radiocarbonio ha permesso di datare il reperto in un periodo compreso tra il 3.630 e il 3.380 a.C., ovvero nella prima fase dell’età del Rame in Italia settentrionale.

Giovane ma debole e malata

Il cranio si è scoperto apparteneva a una giovane donna, tra i 24 e i 35 anni.

Non si conosce la causa della sua morte, ma doveva aver subito prolungati stress metabolici durante l’infanzia. Le carie presenti in alcuni molari suggeriscono una dieta ricca di carboidrati: un tratto ricorrente a partire dal Neolitico, quando furono introdotte le prime tecniche agricole.

Segni di rituali e operazioni “chirurgiche”

Lo studio delle lesioni peri mortem sulla superficie del cranio ha invece suggerito che il cadavere (o forse solo la testa) doveva essere stato oggetto di manipolazioni intenzionali, effettuate probabilmente nell’ambito di un rituale funerario. C’è inoltre un elemento in più: tra le lesioni individuate dagli studiosi, una sembra legata a un intervento (forse chirurgico) intra vitam di cui rimane una piccola traccia attorno alla quale c’è un alone rossastro, forse dovuto all’applicazione di ocra, pigmento usato in ambito funerario già nel Paleolitico.

L’ultimo viaggio… fino alla grotta

Una volta tracciato – per quanto possibile – il ritratto della protagonista di questa vicenda, restava però una domanda: come ha fatto il suo cranio a finire nella grotta, a una profondità di 26 metri?  Analizzando i sedimenti all’interno del cranio, le incrostazioni, le pigmentazioni e le lesioni post mortem presenti sulla sua superficie, gli studiosi hanno dedotto che il cadavere della donna fosse stato inizialmente posto sul bordo della dolina.

Da qui, nel corso del tempo, le intemperie e i movimenti di acqua e fango avrebbero disperso i resti e fatto rotolare il cranio fino al fondo della dolina, dove è precipitato nella grotta, oggi nota come Grotta “Marcel Loubens”, da un antico ingresso di cui oggi non c’è più traccia.