Incontro con Fabrizio Paolucci La voce della storia

Archeologia Viva n. 161 – settembre/ottobre 2013
pp. 80-81

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Gli Uffizi sono la “grande madre” dei più importanti musei di Firenze»

«Per il Marchese de Sade la Venere dei Medici era la donna più bella del mondo»

«I granduchi di Toscana sentirono il richiamo degli Etruschi ma ben presto si proposero come eredi di Roma»

È un ottimo studioso di archeologia romana. Buona parte della sua attività l’ha riservata alla ricerca sulle arti minori tardoantiche, argomento che ha affrontato in tre monografie (Vetri incisi dall’Italia settentrionale e dalla Rezia). Ha collaborato alla realizzazione di numerose mostre relative ai vetri romani (Magiche trasparenze e Vitrum), al “verde” nell’antichità (Il giardino antico da Babilonia a Roma) e alla scultura greco-romana (Volti svelati), altro filone di ricerca al quale Paolucci ha dedicato svariate pubblicazioni.

Ma per noi che dobbiamo pubblicare una rivista, scientificamente seria e che tutti possano leggere, Fabrizio Paolucci ha una grande dote, ben più rara delle capacità di ricerca che in tanti esibiscono nelle accademie. Ha la dote del divulgatore, certamente coltivata in famiglia: il padre, Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, è una musica sentirlo parlare… Anche Fabrizio parla e scrive con “umiltà”, mettendosi sempre all’altezza – meglio sarebbe dire, al servizio – di chi lo deve capire. Molti avranno letto con piacere gli articoli che per anni ha pubblicato su Archeologia Viva. Per questo la sua nomina a responsabile della collezione di antichità classica della Galleria degli Uffizi è quasi una conquista del “palazzo” per quanti spesso si sono dovuti confrontare con il distacco paludato – e il linguaggio incomprensibile – di altri pur eccellenti specialisti.

A Firenze gli archeologi non sono profeti molto ascoltati. La città è sopraffatta da un turismo che a malapena, talvolta in poche ore di permanenza, ha il tempo di “mordere” i feticci del Rinascimento. E poi fugge. Anche i fiorentini sono fuggiti dal centro, non ci vanno più nemmeno a prendere un caffè, per non sentirsi spintonare in tutte le lingue del mondo. Forse chi amministra Palazzo Vecchio non si è ancora accorto che la città ha perso l’anima… Dunque, a chi volete che interessino la storia antica o le opere che non fanno cassa.

Paolucci ci fa capire la situazione con un semplice confronto all’interno degli Uffizi: la Venere dei Medici e la Venere del Botticelli, la prima, un capolavoro assoluto di arte classica, che se ne sta lì quasi dimenticata, la seconda un capolavoro assoluto di arte rinascimentale, che rientra fra i limitati obiettivi di visita di un milione e duecentomila visitatori all’anno.

Oltreoceano un solo pezzo della collezione di antichità della Galleria farebbe intasare il botteghino. Nella grande babele del turismo fiorentino di facile consumo, Fabrizio sorride e cerca soluzioni per richiamare l’attenzione sui “suoi” pezzi prestigiosi, gli stessi che un tempo i Medici esibivano come l’orgoglio della dinastia.

D: All’origine furono i Medici, con tutti i loro soldi, ma anche la loro profonda sensibilità culturale e l’amore per Firenze. Cos’erano gli Uffizi nella mente dei loro fondatori?

R: Gli Uffizi che vediamo oggi sono profondamente diversi da come furono pensati ed erano ancora visibili a metà Ottocento. In origine furono concepiti come “museo del mondo”, un luogo dove il visitatore poteva trovare testimonianze di culture, epoche e luoghi geografici più diversi. Visitando gli Uffizi ancora nel XVIII e XIX secolo si sarebbero ammirate maschere precolombiane insieme a strumenti scientifici di Galileo, porcellane giapponesi, vasi attici, grandi bronzi come la Chimera, sculture di Michelangelo e via dicendo. Era una caleidoscopica manifestazione della cultura mondiale in tutte le sue sfaccettature. Un’idea di museo nata nella visione della cultura rinascimentale, concepita sull’idea dell’intellettuale come uomo che sa tutto, come uomo poliedrico, secondo il grande Leonardo. Quindi la cultura non come settorialità o specializzazione estrema. […]