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Il Colosso di Rodi? È a Civitavecchia

8 giugno 2021


Sorpresa dai magazzini

L’immagine di una delle sette meraviglie dell’antichità riaffiora dai depositi del Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia. La riapertura al pubblico del Museo è stata infatti l’occasione anche per una revisione generale degli allestimenti con il coordinamento della direttrice Lara Anniboletti e dell’archeologo Alessandro Mandolesi.

Pezzo da novanta

In particolare, la ricognizione nei magazzini ha permesso di riscoprire all’interno di una cassetta, confusa fra numerosi materiali in pietra, tre importanti frammenti in marmo greco, quasi dimenticati, appartenenti a una delle statue più belle e pregiate presenti nel Museo.

Magnifico (giovanissimo) Apollo

I ritrovamenti in questione gettano infatti nuova luce su uno dei protagonisti indiscussi dell’Archeologico di Civitavecchia: un dinamico Apollo alto circa due metri.

La statua, nella testa dai delicati tratti giovanili, nel movimento spiraliforme del busto e nell’esasperazione del rapporto chiastico degli arti, tradisce una chiara influenza dallo stile di Lisippo, l’artista prediletto da Alessandro Magno, uno dei maggiori scultori dell’antichità.

Metti un Apollo in Villa

L’opera, databile al I-II sec. d.C. come il più celebre e restaurato Apollo Belvedere dei Musei Vaticani – considerato replica di un bronzo dello scultore Leochares, a cui era stato a torto accostato anche l’Apollo di Civitavecchia, – è stata trovata nel 1957 all’interno di Villa Simonetti, nell’ambito della grande villa marittima del giureconsulto Ulpiano.

La statua si rinvenne mutila, con accanto i frammenti della gamba sinistra, della mano destra e della fiaccola impugnata, i quali, non reintegrati nel successivo restauro, “si persero” nei depositi del museo. Fino alla riscoperta di oggi.

Paolo Moreno sentenziò: «È la replica del Colosso di Rodi»

Su questa mirabile opera si sono concentrati in passato gli studi di Paolo Moreno, recentemente scomparso, specialista di scultura greca e autore di importanti saggi su Lisippo e sui Bronzi di Riace. Moreno, analizzando la combinazione tra fonti letterarie antiche e monumenti di collezioni archeologiche, ha evidenziato la grande qualità e l’importanza iconografica dell’Apollo di Civitavecchia, considerato niente meno che la replica del Colosso di Rodi.

L’originale era alto 32 metri

La grandiosa statua bronzea dedicata al Sole-Helios, massima divinità dell’isola, venne realizzata nel 293 a.C. da Carete di Lindo, fedele allievo di Lisippo. Era un’opera di inaudita altezza: raggiungeva infatti  i 32 metri.

Innalzata per festeggiare la liberazione dall’assedio di Rodi da parte di Demetrio Poliorcete, nell’ambito delle guerre combattute fra gli eredi di Alessandro Magno, le fonti antiche ricordano il dio con in mano una fiaccola rivestita d’oro, a simboleggiare Fosforo, ossia il pianeta Venere visibile all’aurora nel momento in cui precede il Sole.

Fine “catastrofica”

Il colosso nudo di Carete fu abbattuto dal disastroso terremoto che sconvolse Rodi nel 228 a.C.; i suoi frammenti rimasero a terra per molto tempo, ricordati da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia) per la grandiosità tanto che le dita erano più grandi di molte statue intere, e per le immense cavità che si aprivano fra le membra infrante.

Stesso carisma 

Nella slanciata e armonica torsione del busto verso sinistra, l’Apollo-Helios di Civitavecchia porta, appoggiata alla schiena, la faretra chiusa con la tracolla e, con la mano sinistra abbassata, regge l’arco, desinente a testa di cigno.

 

È presumibile che nell’originale in bronzo l’arma fosse tenuta lateralmente, in modo da poggiare a terra con un’estremità e creare equilibrio alla parte destra del corpo, eccessivamente sbilanciata dal piede sollevato in punta e dal braccio destro alzato sopra il capo, a reggere la fiaccola ardente. L’arco doveva anche essere funzionale a nascondere i tiranti in ferro ricordati dalle fonti per fissare a terra l’opera colossale.

Ecco com’era il Colosso

L’identificazione dell’Apollo di Civitavecchia con il Colosso è rafforzata ulteriormente, sempre secondo Moreno, dalla quasi identità del giovane volto – il moto del capo verso l’alto, la bocca semiaperta, le palpebre appena abbassate nello sforzo di guardare in alto e i dettagli della capigliatura con anastolé frontale – con una testa in terracotta conservata al Museo di Rodi (foto sotto) che, presentando i fori per il fissaggio della corona di raggi, è indiscutibilmente una replica del dio Helios.

La testa di Rodi, unitamente all’impostazione complessiva dell’Apollo di Civitavecchia con la fiaccola alzata, ci consegnano probabilmente l’immagine più completa e credibile del celebre Colosso dell’isola greca, che vediamo riprodotta nella ricostruzione grafica di Massimo Legni.

La ricostruzione del Colosso di Rodi di Paolo Moreno, ricavata dall’Apollo-Helios di Civitavecchia (con il posizionamente dei suoi frammenti) e dalla testa in terracotta di Rodi (disegno di Massimo Legni- Studio Architutto Designer‘s)

Doveva apparire così

La riscoperta dei frammenti marmorei nei magazzini del Museo di Civitavecchia, mai reintegrati poiché la statua è lacunosa di parte della gamba sinistra e del braccio che sosteneva la fiaccola, oggi esposti in Museo accanto all’opera, hanno permesso di modellare tridimensionalmente l’Apollo-Helios, e di comprendere appieno la maestosità del gesto e l’imponenza dell’assetto scultoreo.

Ispirò (anche) la Statua della Libertà

La gestualità solenne del Colosso è stata immortalata perfino dalla Statua della Libertà di New York, donata dalla Francia e inaugurata nel 1886, opera di F.A. Bartholdi ispirata proprio al celebre monumento di Rodi, sulla base dell’epigramma che sarebbe stato scolpito alla base dell’opera e conservato nell’Antologia Palatina.

La Statua della Libertà condivide infatti con l’Apollo-Helios di Civitavecchia, oltre al braccio sollevato con la fiaccola, l’enfasi del movimento della gamba destra portata all’indietro, espediente usato per aumentare la superficie di posa di un monumento enorme.

Cronaca dell’epoca

Filóne di Bisanzio, scrittore greco di argomenti tecnici del III sec. a.C., che aveva visto di persona la meraviglia di Carete, la ricordava così: «C’è ora al mondo un secondo Sole», che oggi possiamo rivedere nelle forme originali in un museo italiano.


Info. Tel.0766.23604