25 giugno 2021
Nuovi fossili in Israele: l’Oriente era così “Vicino” anche per i Neanderthal?
Il recente ritrovamento di resti fossili nel sito israeliano di Nesher Ramla, riconducibili a un possibile antenato dei Neanderthal, porta alla luce il ruolo di popolazioni del Vicino Oriente nell’evoluzione di questa forma umana estinta. Lo studio ha visto la partecipazione di ricercatori del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma e del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze.
I Neanderthal sono la specie umana estinta che conosciamo meglio. Si è sempre pensato che la loro evoluzione fosse del tutto endogena, avvenuta interamente in Europa a partire da popolazioni del Pleistocene Medio, e che solo in seguito abbia previsto ondate di diffusione verso l’Asia. Oggi un nuovo studio internazionale mostra come le cose potrebbero essere state, in realtà, molto più complesse.
Il recente ritrovamento di fossili umani nel sito del Paleolitico medio di Nesher Ramla, in Israele, suggerisce infatti che il processo evolutivo potrebbe essere avvenuto con il contributo di popolazioni umane vissute al di là del Mediterraneo e, nello specifico, che siano quelle del Vicino Oriente ad aver avuto un ruolo importante. Seppur frammentari, i fossili di Nesher Ramla – rappresentati da porzioni del cranio, da una mandibola e alcuni denti, tutti databili tra 140 e 120 mila anni fa – mostrano una combinazione unica di caratteristiche neandertaliane e tratti più arcaici.
«E’ questa la conferma – spiega Giorgio Manzi, paleoantropologo della Sapienza Università di Roma, che ha partecipato allo studio – che le popolazioni umane del Pleistocene Medio sono andate incontro a fenomeni evolutivi “a mosaico”, che hanno fatto emergere le caratteristiche tipiche dei Neanderthal, come anche quelle di noi Homo sapiens. È ciò che osserviamo anche in Italia con lo scheletro della grotta di Lamalunga, vicino Altamura, nel quale tutte le analisi che abbiamo potuto condurre finora mostrano una sorta di blend evolutivo».
Estinzione dei Neanderthal in Toscana: le prove a Cala dei Santi (Monte Argentario – GR)
Dopo un anno di fermo a causa della pandemia, sono riprese le indagini dell’Università di Siena nella Grotta di Cala dei Santi (Monte Arcgentario – GR), una cavità naturale che si apre in un suggestivo scenario a picco sul mare sulla costa del promontorio dell’Argentario e che costituisce uno dei siti preistorici più importanti della Toscana e d’Italia, conservando al suo interno tracce di frequentazione dell’uomo di Neanderthal.
Veduta dall’interno della Grotta di Cala dei Santi (© Stefano Ricci), foto vincitrice del premio Wiki Science Competition 2019
Scopo di questa missione, guidata dal geologo Ivan Martini e dall’archeologo e direttore dello scavo Vincenzo Spagnolo del Dipartimento di Scienze fisiche della Terra (Dsfta) dell’Ateneo senese, sarà quello di indagare gli aspetti geologici, stratigrafici e sedimentologici della cavità naturale e della successione sedimentaria presente al suo interno. La missione porterà nuovi dati utili per comprendere le probabili cause che hanno contribuito alla scomparsa dei Neandertaliani in Toscana ed in tutta la penisola italiana e alla successiva comparsa degli uomini moderni.
Lo studio si svolge all’interno di un progetto di ricerca finanziato dalla National Geographic Society ideato e guidato dal professor Ivan Martini che spiega: «Il progetto è iniziato nel settembre 2019 e nella prima fase ha riguardato lo studio di alcuni siti dell’Italia meridionale. In questi lavori, l’approccio geologico abbinato ai dati archeologici ha permesso di comprendere meglio le dinamiche di formazione e occupazione dei siti in questione, portando anche all’identificazione di fattori geoambientali ad alta risoluzione temporale che potrebbero aver contribuito ad alcuni cambiamenti nell’assetto degli accampamenti paleolitici».