Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 159 – maggio/giugno 2013

di Piero Pruneti

La sensazionale scoperta della stipe votiva di Pantanacci, nel territorio dei Colli Albani, se da un lato segna parecchi punti a favore di chi si oppone, in questo caso la Guardia di Finanza, all’attività dei “ladri del passato”, dall’altro ci avverte di quanto i nostri beni culturali continuino a essere a rischio, soprattutto in una situazione generale di ripiegamento dello Stato nella politica di protezione del paesaggio nel suo complesso.

Certo la crisi economica non aiuta. Non è facile parlare delle necessità urgenti del patrimonio a una nazione dove ogni giorno che passa aumenta il numero dei disoccupati e dei poveri.

Eppure, non è retorica riaffermare che la difesa del patrimonio è una priorità, un investimento che non possiamo rimandare, perché stiamo parlando del nostro “tesoro di famiglia”.

Il traffico clandestino dei beni culturali è come la mafia: quando non se ne parla vuol dire che le organizzazioni operano nel silenzio.

A Pantanacci i tombaroli avevano individuato una vera e propria miniera di reperti: centinaia e centinaia di ex voto in terracotta, perfettamente conservati nel fango, che gli antichi pellegrini laziali lasciavano alla divinità delle acque sorgive e curative del luogo.

Un accumulo durato qualche secolo.

Al termine di un paziente lavoro d’indagine gli uomini della GdF sono riusciti a fermare gli scavatori che poi hanno consegnato l’intero magazzino dei pezzi pronti per la vendita ai “grossisti”.

A questo punto la Soprintendenza del Lazio è intervenuta con un primo scavo archeologico. È stata un’operazione molto impegnativa per tutti, espressione, questa volta, dell’Italia che funziona, per cui siamo onorati di ospitare l’articolo speciale curato dagli stessi protagonisti di questa storia a lieto fine. Per festeggiare l’evento, insieme al Museo Lanuvino abbiamo organizzato una giornata particolare a Lanuvio (vedi p. 79), con una serie di visite da cui emergerà il contesto storico dello straordinario ritrovamento: quel contesto che gli scavi clandestini sanno solo distruggere.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”