Incontro con Sergio Rinaldi Tufi La voce della storia

Incontro con Sergio Rinaldi Tufi

Archeologia Viva n. 158 – marzo/aprile 2013
pp. 74-76

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Del mondo romano colpiscono quei diecimila chilometri di confini ma anche le tante realtà che troviamo al suo interno»

«Il caso del centurione Marco Celio che morì a Teutoburgo»
«Roma impose i propri modelli spesso con la collaborazione delle classi dirigenti locali»
«Il destino dell’Impero si giocò nelle province»

Un volto mite. Il modo di parlare pacato. La saggezza – e la tolleranza – di chi ha già percorso buona parte della vita cercando di capire se stesso, gli altri e la Storia. Con l’aiuto fondamentale dei suoi studi e, perché no, con l’immagine di quell’impero, l’Impero romano, scoperto “per caso” durante gli anni universitari, fissa davanti agli occhi della mente come un’immensa parabola esistenziale, dove scavando si trova tutto quello che riguarda l’umanità: grandezza e miseria, corruzione e probità, miopia e lungimiranza, eroismo e grettezza, ambizioni sfrenate e genialità effettive, bassezze e slanci… E poi quel turbinio di popoli che Roma seppe combattere ma anche coinvolgere in un sistema globale formidabile. E, infine il lunghissimo dramma della crisi dell’impero durata qualche secolo, con i generali in continua rivolta, i nemici che sfondano il Limes, gli imperatori in balia delle truppe… Il cristianesimo che rimette tutto in discussione…

Per decenni Sergio Rinaldi Tufi, docente di Archeologia delle province romane a Siena e a Trieste, e poi di Archeologia classica a Urbino, si è immerso nell’analisi di questa realtà storica come in un corpo vivo da riportare alla luce attraverso gli strumenti della ricerca, dell’insegnamento e della divulgazione. Accanto alle tante pubblicazioni scientifiche e alla cura di prestigiose collane editoriali, vanno infatti messe in evidenza le sue collaborazioni con quotidiani e riviste dove le vicende dell’impero romano diventano un racconto capace di coinvolgere un pubblico vastissimo di lettori. Non è vera cultura quella che rimane nelle aule universitarie o, peggio, nel chiuso delle accademie. Rinaldi Tufi è fra quelli che lo hanno capito.

D: Sei noto ormai come uno dei massimi esperti delle province romane. Com’è nato un interesse di studio così specifico?

R: In maniera un po’ particolare, come la mia stessa carriera. Non sono fra coloro che da giovanissimi si appassionarono al celebre Civiltà sepolte di C.W. Ceram (uscito in originale nel 1949 e in italiano nel 1952 – ndr) sviluppando un’irrefrenabile passione per l’archeologia. Mi ero semplicemente iscritto a Lettere perché “da grande” volevo insegnare latino e greco, come il mio amato professore al Liceo “Manara” di Roma, Antonio Selem.

Gli esami di archeologia li avevo messi alla fine del mio piano di studio, dando la precedenza ad altri, fra cui Letteratura cristiana antica, su cui avevo anche chiesto la tesi. Una tesi però che… non quagliava. Il problema fu superato da una svolta inaspettata. Era il 1965 e seguivo le lezioni di Ranuccio Bianchi Bandinelli e di Antonio Giuliano.

Quelle di Bianchi Bandinelli – le ultime, perché subito dopo il professore avrebbe lasciato l’Università per dedicarsi alla Enciclopedia dell’Arte Antica – furono una splendida cavalcata attraverso il mondo romano: nel suo stile elegante e misurato, il Maestro illustrò una serie di casi-limite, quelli in cui si rivelava più complesso il rapporto fra la civiltà romana e le civiltà preesistenti, dalla città greco-celtica di Glanum in Provenza al grande centro carovaniero di Palmira nel deserto siriano, opulento “porto franco” fra mondo classico e mondo orientale.

Invece, le lezioni di Giuliano, un corso di Archeologia delle province romane, illustravano l’urbanistica e l’architettura di età imperiale in Asia Minore, e i raffinati progetti con cui nuovi monumenti s’inserivano nelle città ereditate dall’età classica ed ellenistica. Ricordo l’impatto stupefacente con Pergamo… Decisi di cambiare tesi, chiedendola proprio a Giuliano, che mi assegnò il catalogo delle stele funerarie di età romana al Museo di Spalato: un azzardo, perché fino ad allora non avevo sostenuto alcun esame di archeologia! […]