Archeologia Viva n. 209 – settembre/ottobre 2021
p. 80
di Giuliano Volpe
Ancora una volta l’archeologia italiana si trova a un tragico bivio: essere rappresentata come la disciplina che blocca la “transizione ecologica” e le opere pubbliche di cui il Paese ha bisogno?
Oppure dimostrare di stare al passo e di non volersi sottrarre alle sfide dell’innovazione?
Sono convinto che gli archeologi italiani per la stragrande maggioranza – tranne forse piccole frange di irriducibili nostalgici “signor no” – appartengono alla categoria degli innovatori e non ci stanno a passare per “feticisti del coccio”, oppositori delle energie rinnovabili o dell’alta velocità.
Gli archeologi vorrebbero solo essere messi nelle condizioni di fare al meglio il loro mestiere. Semplificare nella pubblica amministrazione è assolutamente necessario, ma l’effetto si ottiene non eliminando le tutele bensì accrescendo la conoscenza e attuando misure preventive.