Gaza, Afghanistan, Yemen, Siria, Iraq. Aggiornamenti sul patrimonio culturale in guerra a cura di Paolo Brusasco

 26 gennaio 2024


Gaza: in fumo millenni di civiltà

Tutti ricordiamo il brutale attacco dei terroristi di Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023. Qualche giorno dopo quando sono iniziati i primi bombardamenti israeliani su Gaza, le conseguenze umanitarie determinate dalla morte di oltre 25.000 civili si sposano con un’altra sofferenza meno apparente ma non per questo priva di rilevanza: l’obliterazione sistematica dello straordinario retaggio artistico e archeologico della striscia di Gaza.
In un recente rapporto di Heritage for Peace e dell’International Council of Museums-Arab (ICOM-Arab), ripresi anche da Al Jazeera, si stima la probabile distruzione di oltre cento siti archeologici di grande importanza, tre dei quali – Tell Umm Amer, le zone umide costiere di Wadi Gaza e il porto di Antedone – risultano iscritti dall’Unesco nella Tentative List dei siti Patrimonio dell’Umanità.

Alcuni importanti siti colpiti dai bombardamenti israeliani (www.dailymail.co.uk, Heritage for Peace)

Una storia straordinaria 

Gaza ha una storia ricchissima, con la sua posizione strategica sul Mediterraneo tra Egitto e Levante è stata crocevia di rotte mercantili sin da tempi antichissimi: un ponte tra Africa e Asia, la Via Maris tra Eliopoli in Egitto e Damasco in Siria. Il suo nome ricorre già nei testi di Tell el-Amarna in Egitto del XIV secolo a.C., quando il faraone Amenofi IV la chiamava Gazata. Considerata una delle principali province della terra di Canaan, era anche soprannominata Iyy Gazat, “la Gaza”, potente e ricco centro commerciale sulla via asiatica. E i suoi resti egittizzanti del Tardo Bronzo, come il celebre cimitero di Deir al-Balah sul litorale costiero, ci riportano indietro nel tempo al 1500-1200 a.C. quando i cosiddetti “Re dei Palestinesi” ci hanno lasciato testimonianze eccezionali di riti funerari con sarcofagi antropomorfi e ricchi corredi di gioielli d’oro e sculture in stile egizio.
In questo periodo il popolo palestinese si sovrappone e si fonde al sostrato cananeo della regione. Le contaminazioni con l’Egitto però non sono le uniche, perché questo crocevia del mondo antico ha visto la dominazione assira di Tiglatpileser III che ha fortificato la città nel 734 a.C. chiamandola Hazatu, letteralmente “la forza”, mentre il suo governatore fuggiva in Egitto.
Nel 603 a.C. i Babilonesi di Nabucodonosor arrivarono a conquistarla, così poco dopo fecero i Persiani di Cambise, mentre lo storico greco Erodoto, che forse l’aveva visitata, non esitava a paragonarla per bellezza a Sardis, la capitale della Lidia.
Alessandro Magno nel 332 a.C. l’assedia per due mesi: Gaza si apre all’ellenismo greco-romano e poi alla cristianità professata in particolare da san Porfirio in età bizantina. La sua vocazione di emporio commerciale permane durante il periodo islamico, tanto che la tradizione riporta la morte nella città dello stesso nonno del profeta Muhammad, noto mercante, cui è dedicata l’omonima moschea di Sayed al-Hashim. Conquistata dalle armate musulmane nel 634, Gaza divenne un centro rinomato per agricoltura e commercio durante le dinastie omayyade, abbaside e ottomana e un centro di conio di primaria importanza. Dopo la prima guerra mondiale passò sotto il mandato inglese e dal 1948, con la Nakba, “la catastrofe”, ovvero l’esodo forzato di circa 700.000 arabi palestinesi dal nascente stato di Israele, vide l’arrivo di molti profughi.

Sarcofago in stile egizio dalla necropoli di Deir al-Balah (Heritage for Peace)

La sofferenza dei beni culturali: moschee, chiese e musei

In oltre tre mesi di bombardamenti israeliani circa cento siti di interesse storico-archeologico sarebbero stati colpiti e in alcuni casi distrutti, riferiscono vari rapporti tra cui quelli di Heritage for Peace. Sono le moschee e le abitazioni storiche a essere quelle più colpite. In particolare, è stata bombardata lo scorso ottobre la moschea di Sayed al-Hashim, una delle più belle e antiche di Gaza, situata nel quartiere storico di Daraj, che rimonta agli albori dell’Islam quando vi sarebbe stato sepolto Sayed Hashim bin Abd Manaf, nonno del Profeta. Fu ricostruita nel corso del tempo dal XII secolo all’età ottomana e ora ha subito danni ingenti.
Così come la Grande Moschea Omari simbolo di Gaza, che prende nome da Omar ibn al-Khattab, il secondo Califfo dell’Islam tra il 634 e il 644, quando venne edificata su una chiesa bizantina del 406 a sua volta costruita sul tempio pagano del dio cananeo della fertilità Dagan. Proprio il Saladino l’aveva ripristinata al culto islamico dopo che i crociati ne avevano fatto la chiesa di San Giovanni Battista.  Nella sua forma attuale, enorme, di ben 4000 metri quadrati, prima della distruzione si potevano ammirare il minareto, lo splendido cortile con una colonnata marmorea di spoglie bizantine e la sala da preghiera “a transetto” imitante le basiliche cristiane con ornamentazioni di età medievale, mammelucca e ottomana. La perdita è devastante perché è stata colpita anche la biblioteca della moschea, voluta dal Sultano Zahir Baybars nel 1277, che conteneva una collezione di preziosi manoscritti islamici: antiche copie del Corano, testi di filosofia, religione e medicina, le opere del poeta sufi Ibn-Zokaa e i libri di celebri giuristi come lo Sheikh Skaike, solo in parte digitalizzati.

Grande Moschea Omari prima e dopo il bombardamento israeliano (The Guardian, Getty Images)

Trattato scientifico del XVIII secolo dalla biblioteca della Grande Moschea Omari (Hill Museum and Manuscript Library, Al Jazeera)

Le chiese non sono state risparmiate dai raid aerei.  Fortemente danneggiato è il Monastero di sant’Ilarione (nella lista provvisoria Unesco) sulla collina archeologica di Tell Umm Amer presso il villaggio costiero di Nuseirat. Abbandonato fino agli inizi degli scavi palestinesi della fine degli anni novanta del Novecento, si data all’età romana nel 340 d.C. Con i suoi 10 ettari di estensione, era uno dei monasteri più vasti e importanti del Vicino Oriente: comprendeva cinque chiese, un cimitero, una sala battesimale e antichi bagni, tutti decorati da splendidi mosaici e rilievi lapidei che accoglievano i viaggiatori sulla via marittima dall’Egitto a Damasco. Lo aveva fondato sant’Ilarione, un monaco anacoreta rifugiatosi in quel luogo dove aveva costruito un piccolo riparo ingranditosi nel tempo per via dell’enorme afflusso di devoti e pellegrini.
L’attacco aereo israeliano del 19 ottobre scorso ha inoltre fortemente danneggiato un luogo di culto simbolo e rifugio della comunità cristiana di Gaza. E’ la chiesa greco-ortodossa di san Porfirio, una tra le più antiche del mondo, costruita nel 425 sui resti di un tempio pagano, che deve il suo nome al santo di età bizantina che lì venne sepolto. Trasformata in moschea dopo l’avvento dell’Islam, venne poi riconvertita in chiesa dai crociati e rinnovata in periodo ottomano, cui si deve l’attuale pianta a grande navata, con magnifiche volte ad arco incrociato e transetto.

Il Monastero di sant’Ilarione prima dei bombardamenti (Abdelhakim Abu Riash/Al Jazeera

La chiesa greco-ortodossa di san Porfirio prima e dopo il bombardamento israeliano (Al Jazeera, The Guardian, Getty Images)

Musei andati distrutti

Due dei quattro musei di Gaza sono stati recentemente rasi al suolo dai bombardamenti. Il Museo Rafah è caduto per primo: un trentennale lavoro di allestimento ne aveva fatto il principale museo di Gaza per la testimonianza della cultura palestinese, con le sue antiche monete, le sculture e vari manufatti che spaziano dall’età del Tardo Bronzo all’epoca romana e bizantina. Così come ridotto a pezzi, anche se sappiamo del preventivo avvertimento israeliano di evacuare, è il vicino Museo di Al Qarara, aperto solo dal 2016 dalla coppia di palestinesi Mohamed e Najla Abu Lahia, che ospitava 3000 manufatti della civiltà cananea del II millennio a.C.
Danneggiati in parte dalle bombe sono il Mathaf al-Funduq, un piccolo museo inaugurato una decina di anni fa nell’omonimo hotel, e anche il noto Qasr Al-Basha, conosciuto come il Palazzo del Pasha, un edificio storico costruito dal sultano mamelucco Zahir Baybars nel XIII secolo, successiva sede dei governatori ottomani e per un breve periodo occupato anche da Napoleone Bonaparte nella sua campagna d’Egitto. E’ stato trasformato in museo nel 2010 e ospitava una ricca collezione di reperti della storia palestinese.

Il museo di Qasr Al-Basha, il Palazzo del Pasha, prima e dopo i bombardamenti (The Guardian, Getty Images)

Sono state colpite strade e case storiche islamiche, hammam e zawiya, ovvero centri adibiti all’insegnamento della religione musulmana. Tra gli edifici più noti l’Hammam al-Sammara, situato nell’antico quartiere storico di Al-Zaytoun, nel centro di Gaza, è stato distrutto l’8 dicembre 2023. Probabilmente risaliva al periodo preislamico, al gruppo etnoreligioso palestinese dei samaritani d’identità israelita. Con le sue fantastiche grandi aule voltate decorate da mosaici marmorei e aperte a iwan su una grande corte interna; con le sale di riposo, la fontana per l’acqua fredda, un calidarium e un tepidarium riscaldati ancora in maniera tradizionale per mezzo di forni a legna e acquedotti, rappresentava un luogo di grande valenza curativa e sociale per gli abitanti di Gaza.

L’Hammam al-Sammara, il più noto di Gaza, prima e dopo i bombardamenti (The Guardian, Getty Images)

A causa dei bombardamenti israeliani, le strade di Gaza hanno perso molti dei caratteristici Asbata, passaggi voltati ad archi intersecanti con camere a volta sovrastanti, tipici dell’architettura tardo ottomana. Così come sono stati colpiti il mercato storico di Cesarea (conosciuto come il suq dell’oro), il tessuto di abitazioni storiche coeve e anche scuole islamiche come la celeberrima Ahmadia Zawiya situata nella città vecchia. La zawiya venne fondata dallo Sheikh Ahmad al-Badawi, cosiddetto per via del velo che gli copriva il volto, uno dei più importanti maestri sufi della Gaza medievale. Meravigliose aule a iwan si aprivano sulla corte principale, mentre la stanza di preghiera dalla caratteristica forma poligonale ad archi acuti presentava un pregiato mihrab (nicchia di preghiera) orientato verso la Mecca.

Il mercato storico di Cesarea, conosciuto come il suq dell’oro, dopo i bombardamenti (The Guardian, Getty Images)

Distrutti anche siti simbolici come il Rashad El Shawa Cultural Center, luogo che ha visto nascere negli anni Novanta i primi colloqui di pace tra il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) Yasser Arafat e il presidente americano Bill Clinton; e il Samir Mansour’s community bookshop, la celebre libreria recentemente restaurata dopo il precedente attacco israeliano del 2021.

Il Rashad El Shawa Cultural Center prima e dopo i bombardamenti (Al Jazeera, Abdelhakim Abu Riash/AJE, The Guardian, Getty Images)

Siti archeologici dall’età del ferro al periodo ellenistico-romano

Il destino di importanti siti archeologici non è stato migliore. Oltre al citato cimitero del Tardo Bronzo di Deir al-Balah, colpito duramente dai bombardamenti israeliani è anche il celebre antico porto di Antedone (nella lista provvisoria Unesco), attracco principale di Gaza, di ben 2 ettari, occupato dall’inizio dell’800 a.C. sino all’età ellenistico-romana e bizantina. Templi romani, abitazioni e bagni ornati da splendidi mosaici bizantini sono ora totalmente distrutti. Così come obliterato è Tell el-Ajjul, splendido centro commerciale costiero del II millennio a.C. tra il Mediterraneo e il wadi Gaza. Il grande egittologo inglese William Matthew Flinders Petrie, cui si deve la prima scansione cronologica della preistoria egizia, lo aveva esplorato negli anni trenta del Novecento dopo avere scavato le piramidi, rinvenendo un insediamento con monete e gioielli dell’età degli Hyksos, bottiglie e scarabei egizi e anche resti di età romana e bizantina che oggi sono in gran parte al British Museum.

Il celebre porto antico di Antedone prima del bombardamento (Al Jazeera, Mohammed Abed/AFP)

Duramente colpito anche il sito di Tell Rafah, situato nell’omonima città meridionale della striscia al confine con l’Egitto. Il valore storico è indiscutibile vista la sua estensione di almeno 15 ettari, la posizione strategica di snodo commerciale tra Africa e Asia e gli importanti resti di età ellenistica e romana. L’area archeologica era considerata potenzialmente ricchissima di reperti, almeno in parte portati alla luce nelle campagne di scavo del 2010 che hanno messo in evidenza i resti di un grande palazzo romano con colonnati marmorei, ricco di monete d’argento e ceramiche di vario tipo.

Le leggi internazionali sulla tutela dei siti storici

Come in tutti i contesti di guerra che vedono coinvolti paesi ricchi di storia come quelli del Vicino Oriente si può anche immaginare il saccheggio sistematico dei siti archeologici ormai senza protezione. La Convenzione Unesco del 1970 “sui mezzi per proibire e impedire l’illecita importazione, esportazione e passaggio di proprietà dei beni culturali” dovrebbe essere applicata dagli stati contraenti, ma come al solito le leggi non trovano una risposta effettiva sul campo.


 28 dicembre 2022

Ritorno a Babilonia
La porta di Ishtar: restauro del simbolo della capitale di Nabucodonosor

Babilonia, il sogno di tutti gli archeologi. Avevo scavato nella capitale biblica di Nabucodonosor II alla fine degli anni ottanta, appena laureato. Un’esperienza che avrebbe segnato la mia vita di archeologo.

In questa sede limito il racconto ai dati scientifici, al recupero della biblica Babele, meraviglia del mondo antico con i suoi giardini pensili, le mura citate da Erodoto e la celebre confusione delle lingue narrata nel mito della torre. La porta di Ishtar, che si apriva sul lato nord della Via delle Processioni, era uno dei principali ingressi cittadini dedicato alla dea dell’amore e della guerra: luogo di transito della processione durante la festa dell’akitu, il capodanno babilonese.

Storia di un recupero eccezionale

Dal 2009 il World Monument Fund (WMF), organizzazione statunitense di recupero di antichi monumenti, in sinergia con l’iracheno State Board of Antiquities and Heritage, sta compiendo uno straordinario intervento di recupero a Babilonia.

Dopo la stesura del Site Management Plan mirato alla tutela del sito e anni di lavoro sul campo, il progetto Future of Babylon ha portato il 5 luglio 2019 all’inserimento della capitale di Hammurabi e soprattutto di Nabucodonosor II nella lista Unesco di patrimonio dell’umanità.

Nelle parole del direttore del progetto Jeff Allen, una serie di eccezionali interventi mirati saranno in grado di salvare Babilonia e i suoi fragili resti in mattoni crudi dalla distruzione causata da anni di abbandono, mancanza di manutenzione e discutibili ricostruzioni. Soprattutto quelle non certo filologiche dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein che dal febbraio del 1978 iniziava per motivi propagandistici, lui che si considerava “il nuovo Nabucodonosor”, il grandioso e decennale progetto dell’ “Archaeological Revival of Babylon”. E dal 1987 promuoveva anche un festival internazionale per rimettere al centro del mondo il retaggio babilonese e l’Iraq quale nazione guida del mondo non solo arabo.

Parola d’ordine: salvataggio

In un recente convegno telematico, il direttore Jeff Allen, insieme ad Ammar al-Taee, responsabile iracheno dello State Board, e all’archeologa Helen Gries del Vorderasiatisches Museum di Berlino, hanno definito gli obiettivi e le linee guida del salvataggio di Babilonia. Problema principale era mantenere l’integrità di fragili monumenti fatti di mattoni crudi come la porta di Ishtar, deteriorati dal millenario sollevamento della falda freatica che, per via del vicino Eufrate, tende a salire allagandone le fondazioni.
Così si è deciso di intraprendere una serie di operazioni di ingegneria del territorio.

Vediamo in dettaglio. Smantellare la nociva pavimentazione in cemento del lungo passaggio interno (circa 40 m) della porta, allestita negli anni settanta del Novecento nell’ambito dell’ambizioso progetto di ricostruzione di Babilonia voluto dall’allora presidente iracheno Saddam Hussein. Sostituendo il cemento con mattoni e blocchi di pietra porosa si permette alle fondazioni della porta di respirare, evitando lo stagnare dell’acqua e l’inondamento delle strutture murarie magnificamente decorate con mattoni stampati a rilievo con esseri mitologici.

Recente rimozione del pavimento di cemento della porta di Ishtar a Babilonia (Foto WMF).

Argilla al posto del cemento

Altro decisivo intervento è stata la sostituzione della malta cementizia e dei mattoni cotti moderni impiegati nelle discutibili ricostruzioni della porta avvenute sin dalla fine degli anni cinquanta del Novecento.  Al loro posto sono stati inseriti materiali costruttivi molto simili a quelli originali impiegati da Nabucodonosor: malte di argilla e mattoni antichi prelevati dagli accumuli degli scavi tedeschi oppure appositamente commissionati nei forni del vicino villaggio di Borsippa, antico centro dedicato al dio della scrittura Nabu, dove tuttora sussiste un’industria laterizia di tradizione ancestrale.

La porta di Ishtar durante il restauro: la sostituzione con mattoni antichi dei mattoni moderni e del cemento delle ricostruzioni degli anni cinquanta e ottanta del Novecento (Foto WMF).

Alta ingegneria al servizio dell’archeologia

Imponente infine appare la ricostruzione sul lato nord della porta di un enorme muro di contenimento in sostituzione di quello in cemento fatto erigere da Saddam Hussein negli anni Settanta del secolo scorso. La struttura serve a contenere la pressione del terreno che altrimenti distruggerebbe la porta ubicata a un livello di circa 7 m di profondità.

Operai, archeologi e ingegneri iracheni lo stanno ultimando, con turni di lavoro anche notturni per via delle altissime temperature che in Iraq d’estate superano i 50 gradi. La griglia di metallo viene colmata da due tipi di pietre: all’interno, semplici ciottoli di fiume, all’esterno un rivestimento di un marmo color crema.

 Costruzione del grande muro di contenimento del terreno sul lato nord della porta di Ishtar a Babilonia (Foto WMF).

particolarmente poroso, prima della colata della malta argillosa fungente da cemento. La scelta dei materiali è dovuta alla loro permeabilità e resistenza all’acqua salata della falda freatica che se drenata in questo modo non arriva ad aggredire le fragili strutture in crudo della porta.

Un’icona su tutte: il famoso drago-serpente

In ultimo, si registra un minuzioso restauro dei mattoni stampati a rilievo con la figura del “drago-serpente” mushkhush, simbolo mitologico del sommo dio Marduk e dei tori del dio della tempesta Adad. Non solo sono stati distrutti dall’acqua ma anche dalla presenza del vicino eliporto della base americana e polacca Camp Alpha stanziata a Babilonia dal 2003 al 2004 dopo la seconda guerra del Golfo. Alcuni mattoni stampati sono anche stati saccheggiati durante questo periodo.

Le stesse figure mitologiche di valore apotropaico campeggiano sulla porta di Ishtar ricostruita a Berlino dai frammenti smaltati di colore blu, rosso e giallo scavati a Babilonia da R. Koldewey a inizio del Novecento. Quella di Berlino però è per lo più una ricostruzione moderna, la vera porta di Ishtar potete ammirarla ancora in situ a Babilonia. La sua tecnica costruttiva è diversa. Nabucodonosor aveva costruito almeno tre porte, una sopra l’altra, per ovviare all’innalzamento delle acque sotterranee.

Restauro e stuccatura con il prima e il dopo dei mattoni stampati a rilievo con il mushkhush di Marduk (Foto WMF).

 Particolare del mushkhush di Marduk prima del restauro.

 Ricostruzione dell’ultima fase della porta di Ishtar al Vorderasiatisches Museum di Berlino.

 Particolare del mushkhush di Marduk in mattoni a rilievo smaltati (h 1,30 m) della porta di Ishtar di Babilonia al Vorderasiatisches Musem di Berlino.

Progetti e speranze

Della seconda fase non rimangono che pochi frammenti, mentre la più antica costruzione (quella oggetto di restauro) svetta ancora oggi tra le rovine di Babilonia con i suoi mattoni non colorati ma stampati a rilievo con gli stessi simboli divini del mushkhush e del toro.
Auspico che il progetto continui, ma che siano coinvolti anche gli archeologi italiani che come me hanno a cuore Babilonia avendo operato a lungo nel sito.

Si vedano: “Restoring the Legendary Ishtar Gate: A Journey to Babylon’s Iconic Site”
https://www.wmf.org/event/restoring-legendary-ishtar-gate-journey-babylon’s-iconic-site
Paolo Brusasco, Babilonia. All’origine del mito. Raffaello Cortina, Milano (2012).


4 febbraio 2022

MOSUL (IRAQ): RITROVATA
LA MOSCHEA MEDIEVALE
DI NORANDINO

Paolo Brusasco

La ricostruzione dei monumenti colpiti dall’iconoclastia dell’ISIS e dalla guerra di liberazione nei tre bui anni di controllo jihadista in Iraq dal 2014 al 2017 stenta a ripartire. Mosul ovest, il centro storico che fu il covo dei terroristi del sedicente Stato Islamico, è ancora un ammasso di rovine: troppe le macerie da rimuovere, e assai pericoloso il lavoro di ripulitura ostacolato com’è dall’insidiosa presenza di ordigni inesplosi disseminati dai miliziani prima della caduta finale.

Scoperta eccezionale

La ricostruzione della Grande Moschea Jama’ an-Nuri e del minareto pendente al Hadbā, simboli della città, non è nemmeno iniziata che poche settimane fa gli archeologi iracheni hanno fatto una sensazionale scoperta. In alcuni saggi di scavo sotto le macerie di quella distrutta dall’ISIS il 21 giugno 2017, è riemersa la prima e più antica moschea: la storica moschea medievale fatta erigere a Mosul nel 1172 dalla dinastia zenghide, con una corte centrale e una splendida sala di preghiera ipostila.  In seguito venne ricostruita da Safavidi (1511) e Ottomani (1864) alterandone la struttura originaria sino alla completa ristrutturazione moderna del 1944. Proprio qui il 29 giugno del 2014 venne annunciata la nascita del Califfato dell’ISIS con l’autoproclamazione del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

Grande Moschea Jama’ an-Nuri e (sullo sfondo) il minareto pendente al Hadbā, “il gobbo” cosiddetto per la sua pendenza, icona di Mosul

Grande Moschea Jama’ an-Nuri prima e dopo (sotto) la sua distruzione da parte dell’ISIS il 21 giugno 2017 durante la guerra di liberazione di Mosul

Resti medievali

Nella parte occidentale di quel che resta della sala di preghiera moderna distrutta, a ben sei metri di profondità nel terreno, sono riapparsi i resti medievali di quattro camere a volta, un’area dedicata alle abluzioni con alcune vasche d’acqua, delle monete e ceramiche datate all’età dei governatori (atabeg) zenghidi. Gli scavi dimostrano che la moschea più antica era molto più estesa di quelle successivamente ricostruite nei vari secoli: soprattutto dell’ultima moschea, l’edificio moderno fatto erigere nel 1944 dall’Iraq Awqaf  (la Fondazione  di carità islamica irachena) e dal governatore Mustafa Sabounchi.

 

Settore della moschea moderna interessato dagli scavi iracheni recenti (Foto da Ihsan Fethi) 

Profondità degli scavi: i resti della moschea medievale sono stati recentemente rinvenuti a 6 metri sotto il livello dell’edificio moderno (Foto da Ihsan Fethi) 

Monumento simbolo

La moschea medievale ha un significato religioso straordinario. Sebbene prendesse il nome dall’emiro zenghide Nūr al-Dīn, il Norandino vincitore delle crociate, la sua fondazione si deve a un capo tribale locale. Tale Mui’ynu-Din Omar Al-Mawsilli, conosciuto anche come Al-Malla’a Al-Mawsilli che ne decretò la costruzione con il semplice consenso del Norandino. Come scrivevo in un aggiornamento passato (si veda qui 25 aprile 2018), l’idea era di vincere una sfida: sfatare la leggenda popolare, che vedeva in quel sito abbandonato e colmo di rovine, ubicato nei pressi del suq, un segno tangibile di degrado e maledizione, rivitalizzandolo con la costruzione di un minareto e di una moschea. Sino all’Ottocento la moschea prendeva nome dal suo fondatore Sheikh Omar Al-Malla’a, e si distingueva per essere un luogo di fratellanza e aggregazione sociale tra i musulmani e i cristiani che vivevano a Mosul. La retorica jihadista in età moderna (ISIS incluso) ha enfatizzato e strumentalizzato la connessione con la dinastia zenghide, e con Norandino in particolare, al solo fine di promuovere la causa islamista dello scontro con i “crociati” e il cristianesimo.

Impalcatura e copertura dell’area di scavo della moschea medievale accanto all’area di preghiera semidistrutta di cui rimane ancora la cupola verde della moschea moderna (Foto da Ihsan Fethi) 

Un tassello storico-artistico fondamentale

La scoperta colmerebbe almeno in parte un grande vuoto nelle testimonianze dell’architettura medievale islamica di Mosul. Potrebbe compensare la perdita di molti eccezionali santuari e mausolei musulmani (distrutti dall’ISIS) del IX e XII secolo – frutto del genio creativo della “scuola d’architettura di Mosul”, secondo la definizione che ne aveva dato a inizio Novecento il grande archeologo tedesco Ernst Herzfeld.

Progetto da rivedere

In vista della straordinaria importanza del rinvenimento, sarebbe auspicabile la continuazione dello scavo e la riesumazione di tutti resti medievali. E ciò comporterebbe anche un radicale ripensamento del restauro della moschea moderna distrutta dall’ISIS, congelando quindi le recenti proposte ricostruttive ricevute dall’Unesco che non tengono conto di questo incredibile ritrovamento.

Le colonne litiche e il pavimento originale della moschea medievale del 1172 rinvenuti nel recente scavo iracheno (Foto Ihsan Fethi) 

La sala di preghiera voltata in pietra con le vasche per le abluzioni rituali di età medievale (Foto Ihsan Fethi) 

Pareri contrastanti

A questo riguardo le polemiche non mancano. La recente approvazione di un progetto di ricostruzione da parte di Unesco-Iraq come quello scelto dopo un bando di competizione internazionale, rischia di mettere a repentaglio l’integrità e il significato storico originario della moschea di an-Nuri. Lo ha denunciato Ihsan Fethi, direttore dell’Iraqi Architectural Heritage Preservation Society (IAHPS), che ha chiesto al primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi e all’Unesco di rifiutare il progetto “al fine di trovare soluzioni più adeguate a salvaguardare il contesto storico della moschea e del minareto nel centro storico di Mosul”.  A ragione, credo, dal momento che la ricostruzione digitale del progetto vincitore mostra un surreale spaccato di masse squadrate e cubiche, senza arcate e volte, che si allontanano dall’aspetto pristino della moschea. Inoltre l’impiego sistematico di mattoni contraddice l’usanza di utilizzare in buona parte la tipica pietra locale, conosciuta con il nome di al-faresh, o alabastro di Mosul.

Bando del concorso internazionale per il progetto di restauro e ricostruzione della moschea moderna di an-Nuri (Foto Ihsan Fethi) 

Progetto vincitore del bando internazionale Unesco-Iraq per la ricostruzione della moschea moderna di an-Nuri (Foto Ihsan Fethi) 

Un ponte tra passato e presente

Proprio la scoperta dell’antica moschea medievale, sotto quella moderna, dovrebbe invece stimolare soluzioni e progetti innovativi che, guardando anche a contesti analoghi in diversi ambiti internazionali, sappiano valorizzare al meglio la ricostruzione e il “dialogo” architettonico tra passato e presente. Come per esempio, si è fatto recentemente con successo in Turchia, all’Antakia Museum Hotel, in cui le stanze dell’albergo insistono direttamente su uno spaccato dell’antichissima Antiochia, con mosaici e antiche abitazioni godibili dai turisti, o ad Atene dove un quartiere abitativo della città classica e tardoantica si affaccia maestosamente sotto l’ingresso principale del Nuovo Museo dell’Acropoli.
Chiudiamo gli occhi, e immaginiamo allora come in un sogno di vedere la nuova moschea di Norandino che si specchia su pavimenti trasparenti che permettono di ammirare le bellezze della sua straordinaria antesignana medievale. Solo così distruzione, scoperta e ricostruzione possono vivere all’unisono nel futuro.

Possibili modelli di ricostruzione e valorizzazione di monumenti antichi applicabili alla Grande Moschea Jama’ an-Nuri a Mosul.

Sopra: Il Nuovo Museo Archeologico dell’Acropoli di Atene con uno spaccato su uno scavo di un quartiere dall’età classica al periodo tardoantico; Sotto: l’Antakia Museum Hotel in Turchia costruito sopra un sito archeologico (Foto Ihsan Fethi e Dezeen.com).


7 ottobre 2021

AFGHANISTAN
Il ritorno dei Talebani: la nuova morte del patrimonio culturale afghano?

 In oltre quarant’anni di guerre e insurrezioni civili, l’Afghanistan, snodo cruciale sulla via della seta dove culture diverse si sono fecondate dando vita a un sincretismo artistico d’eccezione, ha visto negli anni un progressivo deterioramento del suo inestimabile patrimonio culturale. Gli scavi hanno messo alla luce un patrimonio con siti dell’importanza di Bamiyan, Begram/Kapisa, Ghazni, Ai Khanoum, Surkh Kotal, Hadda  e Tillya Tepe, che si sviluppa dalle culture dei siti del Bronzo della Battriana all’impero persiano, da Alessandro Magno alle dinastie ellenistiche, dall’impero kushana al buddhismo sino alle dinastie islamiche di Ghaznavidi, Timuridi e Moghul.

Cartina geografica dell’Afghanistan con i siti archeologici principali (Foto Gil Stein).

Cronica instabilità

In un paese in cui ai primi scavi francesi degli anni venti del Novecento sono succeduti quelli degli archeologi sovietici, inglesi e italiani, i beni culturali hanno subito varie fasi di degrado: l’occupazione sovietica dal 1979 al 1989, la successiva guerra civile tra i diversi gruppi di mujahiddin sfociata dal 1996 in un quinquennio di durissimo governo dei talebani, gli studenti coranici fautori di un Islam estremistico e fanatico. E a partire dal 2001, come risposta all’attacco dell’11 settembre alle torri gemelle, l’invasione americana e la costituzione della Repubblica Islamica dell’Afghanistan. Sino poi all’estate scorsa quando il 15 agosto 2021 la presa di Kabul sanciva il fulmineo ritorno del nuovo regime talebano e la nascita dell’Emirato Islamico. La gente in fuga all’aeroporto, aggrappata alle ali degli arei in decollo, i morti, i feriti, le repressioni, la caccia alle donne senza marito per nutrire l’harem dei guerriglieri sono cronaca.

Contro l’arte pre-islamica

Gli stessi talebani che nel marzo del 2001, dopo avere apparentemente rassicurato il mondo intero sulla protezione del patrimonio culturale preislamico, hanno inscenato l’esplosione dei Buddha di Bamiyan, le gigantesche sculture scavate nella roccia alte rispettivamente 38 e 53 metri, icone del retaggio buddhista del paese. Con la prima rappresentazione mediatica della distruzione di immagini di esseri viventi, emulata più recentemente dall’iconoclastia del sedicente Stato Islamico (IS) in Iraq, il Mullah Omar, leader dei talebani, non voleva semplicemente colpire delle immagini di culto idolatre, simboli di una religione ormai non più praticata in quelle terre, quanto i feticci culturali cari all’orientalismo occidentale che aveva da tempo sacralizzato l’arte preislamica come simbolo dell’incontro culturale tra Oriente e Occidente. Si condannava in definitiva l’idolatria estetico-culturale che si era sostituita a quella religiosa.

Distruzione dei Buddha di Bamiyan nel marzo 2001 (Foto Gil Stein, Museo Nazionale dell’Afghanistan).

Sopra e sotto: distruzione intenzionale dei Buddha da parte dei talebani nel 2001nel Museo Nazionale dell’Afghanistan a Kabul (Foto BBC; sotto Oriental Institute, University of Chicago).

Alla demolizione di Bamiyan seguiva la distruzione intenzionale dei capolavori del Museo Nazionale dell’Afghanistan situato nella capitale Kabul: oltre 2500 sculture e figurine di terracotta tra le più antiche rappresentazioni del Buddha, esempi stupendi dell’arte del gandhara (greco-battriana) provenienti dal monastero buddhista di Hadda del II-IV sec. d.C.
Ma anche statue dell’imperatore Kanishka (II sec. d.C.) grande protettore del buddhismo che aveva esteso l’impero indoeuropeo dei Kushana dalla Battriana all’Asia orientale. I Buddha e le altre sculture del museo di Kabul sono oggi di nuovo in pericolo.

L’impegno internazionale

Negli ultimi anni di controllo americano i restauratori afghani e italiani avevano speso enormi energie per ricomporre migliaia di pezzi. Per merito loro il viso di Buddha ci guarda ancora, ieratico come è tipico dell’arte iranico-persiana e indiana, ma al tempo stesso con un’espressione naturalistica a noi famigliare, frutto dell’influenza dell’arte greca portata da Alessandro Magno e dai suoi diadochi che hanno nel tempo formato dinastie greco-battriane nell’Asia centrale.

Distruzione iconoclasta da parte dei talebani nel 2001 di una statua di Buddha dal monastero di Hadda (II-IV sec. d.C.) conservata nel Museo Nazionale dell’Afghanistan a Kabul (Foto Gil Stein e Museo Nazionale dell’Afghanistan).

Intere collezioni in pericolo

Il Museo Nazionale dell’Afghanistan vanta circa 80.000 reperti sia preistorici sia risalenti alle dinastie persiane, buddhiste e islamiche. Venne già gravemente saccheggiato e distrutto a partire dagli anni settanta del Novecento e soprattutto dopo il 1989 durante la guerra civile afghana, essendo ubicato in una zona centrale della città sul fronte di battaglia tra diversi gruppi combattenti.
La sua riapertura nel 2004 dopo i restauri finanziati dalla comunità internazionale faceva ben sperare.
Tuttavia, «Siamo molto preoccupati per la sicurezza del nostro personale e delle nostre collezioni», ha dichiarato il 15 agosto scorso subito dopo la resa di Kabul il direttore Mohammad Fahim Rahimi.
Lui che solo pochi mesi prima era riuscito a fare rientrare trentatré pregiate sculture trafugate dal paese e finite in mano al noto trafficante d’arte newyorkese Subhash Kapoor che stava per rivenderle per 3,8 milioni di dollari.

La piaga del mercato clandestino

Il mercato nero di reperti archeologici afghani è l’altro gravissimo problema che determina il forte degrado del patrimonio culturale nazionale. Ha origini trentennali. Uno dei migliaia di siti maggiormente saccheggiati è quello ellenistico, greco-battriano (III-II sec. a.C.) di Ai Khanoum situato sul fiume Oxus (il moderno Amu Darya)  nell’antica Battriana corrispondente all’attuale Afghanistan settentrionale.
Con 17.000 buche di scavo clandestino effettuate soprattutto prima del 2010 è uno dei siti archeologici più depredati al mondo, inferiore per distruzione solo alla città sumerica di Umma nel sud dell’Iraq.

Ai Khanoum: fotografia satellitare e monitoraggio dei saccheggi da parte dell’Oriental Institute dell’Università di Chicago (2010) (Foto Oriental Institute, University of Chicago).

Domande inquietanti

Con il recente ritorno al potere dei talebani che fine farà “l’oro della Battriana”, il tesoro delle sei tombe appartenenti a una nobile famiglia di nomadi dell’impero kushana formatosi tra I e III secolo d.C. dal Mar Caspio all’Afghanistan fino alla valle del Gange?
Senza dubbio una delle scoperte archeologiche più importanti del XX secolo effettuata dall’archeologo russo Viktor Sarianidi nel 1978 a Tillia Tepè nell’antica Battriana nel nord dell’Afghanistan, il tesoro è stato nascosto per lunghi anni nei caveau della Banca Centrale afghana; quindi dopo essere sfuggito ai talebani, veniva ultimamente sistemato nei caveau del palazzo presidenziale fino alla presa di Kabul di metà agosto 2021.
Le tombe risalenti al I sec. a.C. diedero alla luce i resti di capi di tribù parati a festa. Indossavano vesti ornate di piccole placchette d’oro e i corredi funebri comprendevano pezzi preziosi provenienti dalle razzie compiute: statuette d’oro di divinità in stile ellenistico, gioielli, bracciali e sandali di ascendenza scitica e persino una moneta dell’imperatore romano Tiberio.
Un tesoro di oltre 20.000 oggetti quasi tutti d’oro.
Si troverebbe ancora oggi nel palazzo occupato dai talebani?
Oppure il tesoro è stato preventivamente rimosso e messo in sicurezza?
Nessuno lo sa, e anche l’attuale direttore del museo, Mohammad Fahim Rahimi, non ha fornito per ora alcuna rassicurazione al riguardo.

Orecchino in oro e turchese con un uomo tra due dragoni dalle tombe di Tillia Tepe (Afghanistan).

Corona d’oro dalle tombe di Tillia Tepe (Afghanistan).

Con il ritorno dei talebani, favorito dall’accordo di Doha con gli americani, che futuro avrà il Museo Nazionale dell’Afghanistan e il patrimonio culturale afghano?  Sono in molti a chiederselo. La risposta è abbastanza scontata.
Che ci si possa aspettare il peggio è lecito pensarlo, perché i talebani sono noti per avere sempre disatteso le promesse fatte circa la tutela del patrimonio culturale afghano.

Buddha dell’arte gandharica (greco-buddista) dal Museo Nazionale dell’Afghanistan (IV sec. d.C.).

Come venti anni fa…

L’ICOM (International Council of Museum) ha espresso tutta la sua preoccupazione per l’attacco alla popolazione civile e la possibile distruzione dei beni culturali. La Direttrice dell’Unesco, Audrey Azoulay, sembra volere sollecitare (temo invano) i talebani sottolineando l’importanza strategica del rispetto del patrimonio artistico come premessa per ogni negoziato di pace e aiuti umanitari alla popolazione.
Ma i talebani di oggi non sono molto diversi da quegli assassini, distruttori di vite umane e di beni culturali, di vent’anni fa.
Parlano i fatti: quando nel febbraio 2020 era iniziato il ritiro delle truppe americane voluto dall’allora presidente Trump, i miliziani del gruppo avevano giurato di provvedere loro stessi alla tutela del patrimonio del paese.
Salvo poi vedere fiorire un’esponenziale numero di saccheggi di siti archeologici, come denunciava Noor Agha Noori, direttore dell’Istituto Archeologico dell’Afghanistan.

Volontà distruttrice

Pochi mesi fa, il 16 agosto 2021, il giorno dopo la presa di Kabul, in una dichiarazione sul quotidiano russo Moskovskij Komsomolets, i talebani assicuravano la tutela dei siti buddhisti e preislamici del paese. Ma secondo un consolidato copione, dietro le conferenze stampa concilianti e gli abiti eleganti esibiti in più occasioni, si nasconde la stessa brutale retorica e volontà distruttrice: i volti delle donne cancellati dai cartelloni pubblicitari per le strade di Kabul, la rimozione di statue di politici afghani e il clima di terrore ed epurazione perdurante ne sono testimonianza.
La sensazione è che stiamo per rivivere lo stesso scempio prodotto dall’IS in Iraq e in Siria, con la distruzione del museo di Mosul e con la devastazione e saccheggi di siti archeologici come Nimrud e Palmira. E la cancellazione delle differenze culturali, etniche e religiose che caratterizzano l’Afghanistan, il crocevia dell’Asia, la culla della via della seta, da millenni ponte tra Oriente e Occidente.


6 aprile 2021

IRAQ
Il futuro dell’Iraq: dalla distruzione al colonialismo della ricostruzione?

Sembra ieri. Invece sono già passati sei anni dalla tremenda devastazione del Museo di Mosul, esibita nel famoso video del sedicente Stato Islamico (IS) del 26 febbraio 2015, e degli altri siti archeologici dell’Iraq. Cosa si è fatto per cercare di rimediare al massacro della storia e della cultura della culla della civiltà?

Francamente poco. Certo non è facile raccapezzarsi in un territorio distrutto, tra scontri settari e corruzione, e in mezzo a tante macerie e morte. Tuttavia qualcosa si sta muovendo. E sono in primis guarda caso quegli stessi americani che non avevano mosso un dito per difendere siti e musei nelle ultime guerre, e nello specifico lo Smithsonian Institution che sin dal 2018 ha iniziato i primi timidi tentativi di riabilitazione e restauro del museo di Mosul. In collaborazione con il Museo del Louvre, il World Monuments Fund, con la sponsorizzazione di Aliph e il coordinamento del direttore del museo di Mosul  Zaid Ghazi, il conservatore Saad Ahmed, e il sovrintendente delle antichità Ali Hazim. Le foto mostrano la galleria Assira ripulita e divisa in una griglia rettangolare con le cassette di reperti distrutti catalogati e in ordine, pronti per un eventuale restauro.

La galleria assira del museo di Mosul oggi, dopo l’intervento dello Smithsonian.

Ma a che proposito?

Infatti, i colleghi del Louvre lamentano la mancanza di un catalogo della galleria Assiria per potere capire quali rilievi siano stati rubati, quali distrutti, quali messi in sicurezza sulla sponda opposta del Tigri poche ore prima dell’avvento del sedicente Stato Islamico. Ebbene non sanno i colleghi Brian Michael Lione  dello  Smithsonian e  il direttore del Louvre Jean Luc Martinez  che, per esempio, sono stati pubblicati dal sottoscritto due cataloghi aggiornati della galleria Assira del museo di Mosul e del museo della porta di Nergal? E non su riviste locali, ma su importanti serie scientifiche americane. E non sono a conoscenza del fatto che questi articoli erano stati consegnati all’allora ministro iracheno della Cultura Abdulameer AlHamdani proprio in vista di un’imminente ricostruzione delle gallerie?

Allora dovrebbero sapere i colleghi americani che quei miseri pezzi in frantumi che chiamano vagamente “lamassu” nella didascalia di una recente fotografia pubblicata sullo stesso Smithsonian Magazine (qui sotto) non sono altro che le spoglie di due leoni alati androcefali a guardia del portale esterno della stanza a/4 del tempio del dio Ninurta del re assiro Assurnasirpal II (883-859 a.C.) a Nimrud.

Museo di Mosul: team di archeologi iracheni e dello Smithsonian analizzano, accanto al cratere causato dall’esplosione della galleria Assira, le rovine dei due leoni alati a testa umana dal tempio di Ninurta a Nimrud.

Questo fatto è illuminante. Svela la totale mancanza di collaborazione tra archeologi ed istituzioni di nazioni diverse. Un limite enorme per il recupero dei beni culturali distrutti. Ma anche un indice di mancanza etica: ricostruire, non come senso di condivisione e collaborazione internazionale, ma solo per essere i primi in una corsa affannosa al fine di vantare la propria abilità e cercare di riabilitare le proprie istituzioni che nulla hanno fatto per impedire i disastri. Vi ricordate l’occhio assente delle truppe americane di fronte all’Iraq Museum di Baghdad, mentre migliaia di reperti venivano impunemente saccheggiati e distrutti durante la seconda guerra del Golfo nell’aprile 2003?

Museo di Mosul: i leoni alati a testa umana dal tempio di Ninurta a Nimrud prima dell’esplosione nel febbraio 2015. (Foto Suzanne Bott)

La galleria Assira prima della distruzione e saccheggio dell’IS nel febbraio 2015. (Foto Suzanne Bott)

Comunque è un bene che il museo non abbia subito danni strutturali a causa dell’esplosione della galleria Assira, e che si sia poi provveduto a consolidarne le murature, a ripristinare luce, acqua e sistema di sicurezza, insieme ai magazzini e al laboratorio. Lo scorso novembre 2020, l’artista iracheno Omer Qais ha tenuto una mostra di arte contemporanea nella vecchia sezione del museo, accendendo forse una timida speranza di un completo ripristino delle collezioni in pochi anni.

La mostra d’arte contemporanea di Omer Qais nel vecchio edificio hashemita del 1952 del museo di Mosul.

Nella capitale assira di Nimrud (a parte la recinzione del sito fatta erigere dall’Unesco), sempre gli americani dello Smithsonian sono intervenuti in questi ultimi due o tre anni nell’immenso lavoro di catalogazione dei danni, di recupero delle lastre degli enormi tori alati e dei rilievi rituali e storici sbriciolati dall’esplosione e della loro messa in sicurezza in un laboratorio improvvisato sul sito stesso. Ma a quale titolo? Nessuna missione archeologica statunitense aveva mai effettuato scavi nella capitale biblica, casomai inglesi e italiani avrebbero dovuto essere stati designati o almeno consultati a riabilitare le strutture del palazzo nordovest di Assurnasirpal II fatto esplodere dall’IS.

La capitale assira di Nimrud: rimozione dei rilievi distrutti dei tori alati a protezione del portale del palazzo nordovest (IX sec. a.C.).  

Gli altri progetti in corso sono quello, sempre americano, dell’università di Pennsylvania che sta cercando di ricostruire la porta di Mashki (“porta dell’abbeveraggio”) distrutta sempre dall’IS a Ninive nel 2016; e il ripristino di una dimora storica tardo-ottomana (1808-1817) del centro storico di Mosul, la cosiddetta Beit al-Tutunji (usata dall’IS come fabbrica di esplosivo), classica casa a corte centrale con pregiati fregi decorativi in alabastro scuro che caratterizzano la città.

La capitale assira di Nimrud: rimozione dei rilievi distrutti dei tori alati a protezione del portale del palazzo nordovest (IX sec. a.C.).  

Mosul, centro storico: lavori di ricostruzione e restauro della casa tardo-ottomana Beit al-Tutunji.

Mosul, centro storico: ricostruzione e restauro della casa tardo-ottomana Beit al-Tutunji.

Ricostruire il passato è importante, e tenui passi in avanti sono stati fatti anche se frenati dalla recente pandemia del covid. Ma condividere le ricostruzioni per cercare di ottenere i risultati migliori è la via da seguire. Soprattutto per dare un senso di “democrazia delle ricostruzioni”. Al di là di una ennesima e nefasta appropriazione del passato, seppur per scopi benefici, che porta con sé i germi di un rinnovato colonialismo.

Fotografie da:
https://www.smithsonianmag.com/smithsonian-institution/iraqs-mosul-cultural-museum-road-recovery-180977027/
https://news.artnet.com/art-world/iraq-mosul-museum-destruction-restoration-efforts-1948306
https://web.sas.upenn.edu/ihsp-program/projects/restoration/beit-al-tutunji/


1 dicembre 2020

TRAFFICO DI REPERTI IN SIRIA E IRAQ: PARLA L’ISIS  

 A metà maggio del 2020 le forze di sicurezza irachene hanno annunciato la sensazionale cattura di uno dei massimi esponenti del sedicente Stato Islamico, che per tre lunghi anni dal 2014 al 2017 ha terrorizzato il mondo e conquistato un vasto territorio a cavallo tra la Siria nordorientale e l’Iraq del nord, con epicentro nelle città di Raqqa in Siria e di Mosul in Iraq.

Vita e “carriera” di un terrorista

Nato nel 1967 nel nord dell’Iraq a Tell Afar, Hajji Abdul Nasser Qardash, detto Abu Muhammad dai terroristi di Daesh (ISIS), viveva in quell’area ovest di Mosul, il quartiere di Musharafah, che da anni avevo sentito chiamare “Kandahar” dalla popolazione locale per via della presenza di cellule terroristiche prima di AlQaeda in Iraq (AQI) e poi dell’ISIS stesso. Già parte del gruppo terroristico di Ansar al-Islam, nel 2011 Qardash entra nell’ISIS dell’allora leader Abu Bakr al-Baghdadi che il 29 giugno 2014 si proclamerà Califfo proprio a Mosul nella grande moschea di al-Nuri. È di Qardash l’idea di unire i due rami di Daesh presenti in Siria e in Iraq in una sola forza terroristica centralizzando il controllo da Mosul.
Già Wali, governatore del distretto di al Barakah, come l’ISIS chiamava la provincia siriana nordorientale di Hasakah, Qardash riesce a scalare velocemente le vette del potere e a diventare emiro del Comitato Delegato, la branca esecutiva e amministrativa dell’ISIS che prendeva gli ordini dal califfo e dal suo circolo ristretto di collaboratori. Quindi diventa il vice di al-Baghdadi sino al 2019 quando il Califfo veniva ucciso.

 

Il militante dell’Isis Abdul Nasser Qardash, detto Abu Muhammad in una foto del Center for global Policy. Considerato il successore di fatto di al-Baghdadi è stato  arrestato nel maggio  scorso dalle forze di polizia irachene. 

Per Qardash il successo dei gruppi terroristici in Siria e in Iraq sarebbe in gran parte dovuto alle condizioni di povertà e indigenza in cui viveva gran parte della popolazione locale. Che di conseguenza avversava i governi nazionali e simpatizzava per la causa jihadista. Questo fatto, ovviamente, ha favorito e stimolato i saccheggi del patrimonio archeologico, visto come qualcosa di “altro”, un simbolo del regime da distruggere e rivendere illegalmente.

«Non li vendi? Allora distruggili…»

Dice però Qardash in una recente intervista rilasciata a Husham Al- Hashimi per il Center for Global Policy:
«Non avevamo bisogno di coltivare l’hashish, la cocaina, la cannabis. Avevamo a disposizione infatti un’incredibile abbondanza di antichità. Abbiamo cercato di muovere i reperti in Europa per venderli, ma abbiamo fallito in quattro diversi tentativi. Ciò è vero soprattutto per quei reperti siriani che erano ben conosciuti e documentati come patrimonio mondiale dell’umanità. Quindi abbiamo iniziato a distruggerli e a punire quelli che li contrabbandavano».

La religione non c’entra niente

Sono affermazioni interessanti sotto vari aspetti. Per prima cosa Qardash in fondo ammette che l’ISIS distruggeva i beni archeologici per meri motivi di propaganda politica dato che i terroristi si sono limitati ad accanirsi contro quegli oggetti che per indiscussa fama e notorietà non avevano mercato a livello mondiale. Altro che annientamento degli “idoli pagani” per l’affermazione del tawhid, il monoteismo assoluto, come sostenevano le campagne mediatiche dei terroristi sulla rivista telematica di punta Dābiq! Lo scopo di distruggere statue e beni artistici era di reclutare adepti, l’ISIS sapeva bene che non sono idoli quelli che appartengono a religioni morte senza un culto attivo.  La distruzione quindi aveva ben poco di teologico, piuttosto era una mossa propagandistica e politica contro l’idea di nazionalismo e colonialismo che quei reperti rappresentavano, dato che erano stati scavati perlopiù da missioni archeologiche occidentali e risultavano esposti in musei locali ed europei.

Reperti archeologici trafugati dall’ISIS in Iraq e sequestrati nel 2016.  Foto The Conversation.com

Come è normale, tuttavia Qardash non dice tutta la verità, cercando di minimizzare i traffici illeciti di antichità. Dalle sue parole è chiaro tuttavia che i reperti comuni avevano invece un ottimo mercato; e venivano quindi contrabbandati dal momento che non erano conosciuti né si poteva tracciare la loro provenienza. Moltissimi beni archeologici sono confluiti in Europa e negli Stati Uniti durante il mandato triennale dei terroristi a dimostrazione del fatto che quando si potevano esportare e rivendere lo si faceva. Una politica quindi legata alle opportunità del mercato. Del resto l’emiro lo dice apertamente: non serviva smerciare droga, la “droga” dell’ISIS era l’infinita quantità di reperti archeologici.

Tanti i pezzi che mancano all’appello

In questi ultimi anni, molti ne sono stati sequestrati in Europa e negli Stati Uniti, altri venivano intercettati ai confini di Giordania ed Emirati Arabi. Altri ancora sono stati rinvenuti nei covi di AlQaeda in Iraq sin dal 2005 e recentemente in diversi nascondigli dell’ISIS vicino a Mosul e nella steppa siriana. Nel museo di Mosul mancano all’appello diversi straordinari pezzi assiri e partici di Hatra. Per esempio, tra gli altri, la stele del banchetto di Assurnasirpal II (883-859 a.C.) proveniente dal palazzo nordovest della capitale assira di Nimrud (antica Kalkhu). Della stele è stata asportata la parte superiore con la scena di adorazione del sovrano di fronte ai simboli divini. Lo stesso è avvenuto per i rilievi di Nimrud. Non tutti sono stati fatti esplodere con il palazzo, perché tra i pezzi di sculture rimasti in situ ne mancano diversi (di geni alati, teste di tori alati ecc.).

La sezione razziata dall’Isis della stele del Banchetto da Nimrud (1,28 x 1,04x 0,57 m); museo di Mosul

Dai peggiori covi jihadisti ai salotti buoni

Come da sempre accade, i reperti più importanti, di maggior valore economico, rimangono nascosti per anni nei covi jihadisti e non si trovano apertamente sul mercato internazionale di beni artistici, ma piuttosto saranno acquistati con trattative riservate sul web e tramite faccendieri legati a mafie di vario tipo. I capolavori e i reperti di particolare pregio finiranno in questo modo nei salotti di questo o quel facoltoso collezionista accompagnati da certificati falsi.

È compito degli archeologi, in sinergia con la polizia postale e l’Interpol, redigere un catalogo aggiornato dei pezzi mancanti e cercare di arrestare la rete di traffici illegali a livello internazionali monitorando soprattutto il web. Io ho cercato di farlo pubblicando un catalogo illustrato e aggiornato della galleria assira del museo di Mosul. Speriamo che altre iniziative del genere vengano portate a termine quanto prima.


18 settembre 2020

IRAQ LA PIAGA DEI SACCHEGGI

E le vendite on line in tempo di covid s’impennano

In Iraq, a diciassette anni dalla seconda guerra del Golfo (marzo-aprile 2003), i saccheggi di reperti archeologici non si arrestano. Anzi le autorità irachene e gli esperti del settore sostengono che la pandemia del Covid-19 abbia addirittura fatto incrementare le vendite online che già erano assai diffuse. I musei, le case d’asta e gli antiquari sono stati fermi per il lockdown. Ma non il mercato nero di beni archeologici. Che in Iraq, soprattutto nei siti sumerico-babilonesi del sud del paese,  vengono scavati illegalmente da bande locali direttamente collegate a ricettatori, case d’asta e negozi online. Si registrano incrementi di traffici sospetti su Facebook e ebay, almeno l’80% delle vendite di antichità non avrebbero una documentazione attendibile e si tratterebbe probabilmente di reperti rubati o di falsi. Alcuni sono stati trafugati dai musei regionali durante la prima guerra del Golfo del 1990-91; altri sono parte di quei 15.000 oggetti razziati all’Iraq Museum di Baghdad nel corso della seconda guerra del Golfo del 2003, sotto l’occhio assente delle forze americane. Altri ancora sono stati messi in commercio dopo l’avvento dell’ISIS a Mosul nel giugno 2014.

Sigilli cilindrici recentemente sequestrati dalla polizia doganale statunitense, dopo essere stati trafugati da musei e da siti archeologici e dell’Iraq.

Ma decine di migliaia di reperti sono stati sottratti in questi anni dagli stessi siti archeologici iracheni. Sono almeno trentamila i siti censiti. La polizia e le guardie archeologiche non bastano.
Lamenta Hosham Dawood, consigliere del premier iracheno Mustafa al-Kadhimi:«Ci sono solo 4,800 unità di sorveglianza. Attraverso trafficanti del Golfo Persico, da Dubai, Beirut o anche dall’Asia, i reperti ricompaiono in importanti case d’asta come Christie’s e in una pletora di siti di antichità telematici».

Un sistema basato su escamotages e documenti falsi

Come è possibile venderli anche se sono sospetti? La risposta è semplice. Le case d’asta esibiscono documenti falsi che attestano la provenienza da vecchie collezioni europee del periodo precedente la convezione Unesco 1970. Quando in teoria era possibile acquisire beni archeologici iracheni. Solo in teoria però, perché la legge irachena del 1936 nazionalizzava il patrimonio archeologico e bandiva ogni esportazione non monitorata dal governo centrale.
L’archeologo McGuire Gibson, dell’Oriental Institute dell’Università di Chicago, sta setacciando a tappeto ebay. E’ convinto di potere ritrovare un preziosissimo sigillo cilindrico rinvenuto nei suoi scavi degli anni Settanta a Nippur. Nella capitale sumerica dedicata al dio celeste Enlil, Gibson ha trovato il sigillo casualmente, con un semplice tocco di piccone. Sulla pregiata agata era raffigurata una stupenda scena di introduzione con l’attendente Shar-Kali-Sharri  (2217-2193 a.C.), poi divenuto re dell’impero accadico, di fronte a una divinità in trono. Il sigillo era al sicuro all’Iraq Museum di Baghdad prima delle guerra del 2003. E fa parte della straordinaria collezione di circa 5,000 cilindri trafugati da un nascondiglio segreto del museo.

Dalle aste ai musei più prestigiosi

Recentemente si è scoperto che la cosiddetta tavoletta del sogno di Gilgamesh, parte dell’epopea omonima, è di provenienza illegale.
E’ stata venduta da Christie’s al museo della Bibbia di Hobby Lobby a Washington D.C.  nel 2014 per la cifra record di 1,6 milioni di dollari. I documenti relativi alla sua provenienza sono stati falsificati anche se Christie’s asserisce di non esserne a conoscenza. Nonostante la tavoletta sia stata contrabbandata, tuttavia Christie’s potrebbe venderla privatamente, ma non ad un’asta pubblica. Il testo è molto importante. Racconta del famoso sogno del mitico re di Uruk, Gilgamesh. Nel sogno, la sua anima, al cospetto degli dèi, veniva informata del suo destino mortale, cioè di non potere ottenere la tanto agognata immortalità nonostante le sue imprese eroiche.

Tavoletta cuneiforme esportata illegalmente negli Stati Uniti e sequestrata a Hobby Lobby.  

Intanto anche Hobby Lobby deve restituire all’Iraq un nutrito numero di tavolette cuneiformi frutto di contrabbando. Tra di esse ve ne ne sono alcune straordinarie che testimoniano dell’esistenza di una città sinora sconosciuta, Irisagrig. Che conosciamo solo dall’evidenza testuale e non archeologica.

Si veda:

https://www.npr.org/sections/thetwo-way/2018/05/01/607582135/hobby-lobbys-smuggled-artifacts-will-be-returned-to-iraq


19 maggio 2020

HATRA
La “città del Sole” a tre anni dall’ISIS

 Dopo i tre lunghi anni di occupazione da parte dei terroristi dell’ISIS dal 2014 al 2017, che ne avevano fatto un campo militare e di prigionia, Hatra riemerge oggi in tutto il suo splendore nella recente ricognizione italiana dell’ISMEO, Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente, in sinergia con lo State Board of Antiquities and Heritage di Ninive.

Hatra: santuario del Sole (II-III sec. d.C.) con i grandi iwan (in basso). Foto Suzanne Bott.

Come avevo già evidenziato in precedenti aggiornamenti, i nuovi dati confermano che la capitale di età ellenistica non ha subito esplosioni come, per esempio, nel sito assiro di Nimrud, ma deturpazioni e atti vandalici contro alcune sculture di sovrani, dignitari e divinità apposti a decorazione delle mura di pietra del santuario del Sole situato nel temenos della città.  La città è stata scavata  da missioni archeologiche irachene e italiane negli ultimi quarant’anni, e, divenuta patrimonio Unesco dal 1985, è stata dichiarata sito in pericolo nel 2015. Stato cuscinetto di età ellenistica tra Romani e Parti governato da una dinastia araba locale, Hatra, situata nella Jazira a cento chilometri a sud di Mosul, diviene capitale del regno di Arabaya nel II-III secolo d.C. con una dinastia locale di sovrani arabi. Il santuario del dio mesopotamico Maran/Shamash, il Sole, è formato dal complesso sacro dei grandi iwan, enormi cappelle voltate in pietra completamente aperte sul lato frontale.

La missione dell’ISMEO ha verificato che fortunatamente alcune sculture colpite con mazze e  kalashnikov dall’ISIS si potranno ricostruire. Per esempio, come si vede nel video dei terroristi, della testa di Gorgone spaccata in due si conservano ancora in situ i pezzi mancanti.

Hatra: scultura di Gorgone e distruzione da parte dell’ISIS nel 2015. Foto in alto Suzanne Bott.

 

Hatra: recente ricostruzione dei pezzi della Gorgone

Sulla missione si veda Hatra – Iraq – Damage assessment after daesh occupation https://www.youtube.com/watch?v=elB957N0Lww.

Altrettanto degno di nota è il lavoro della Missione Archeologica Italiana a Hatra. Il progetto HaSSP (Hatra Statuary Salvage Project) del CAMNES, Centro Studi di Firenze, iniziato nel gennaio 2020 nell’Iraq Museum di Baghdad e interrotto momentaneamente per le condizioni di insicurezza in Iraq e la recente crisi sanitaria del Covid-19, ha permesso di inventariare un lotto di ben 107 sculture di sovrani, dignitari, divinità e fregi architettonici molto simili a quelli distrutti dall’ISIS nel Museo di Mosul.

Iraq Museum Baghdad: statua di Eracle assimilato al dio mesopotamico Nergal, divinità dell’oltretomba di valore apotropaico.  Foto progetto HaSSP.

Le finalità sono quelle di fornire una catalogazione e uno studio completo del materiale scultoreo di Hatra, permettendo anche la ricostruzione in 3D delle sculture e la ricomposizione di parti mancanti delle statue. A questo proposito, sono già state individuate nei magazzini del museo le teste di due sculture acefale attualmente in esposizione nella galleria di Hatra dell’Iraq Museum di Baghdad. E la missione italiana conta di ricostruirne almeno un’altra decina, così da arricchire ulteriormente la già straordinaria collezione del museo iracheno. Un modo anche per cercare di supplire alle terribili distruzioni delle sculture di Hatra del museo di Mosul.

 Iraq Museum Baghdad: ricomposizione della statua acefala di sacerdote da Hatra, con piattino e situla nella mano sinistra.  Foto progetto HaSSP.

Iraq Museum  Baghdad: galleria di Hatra. Foto Artribune.com.


20 febbraio 2020

IRAN
Trump minaccia di distruggere il patrimonio culturale dell’Iran

In un tweet del 4 gennaio scorso il presidente statunitense manifesta l’intenzione di distruggere 52 siti iraniani:

…targeted 52 Iranian sites (representing the 52 American hostages taken by Iran many years ago), some at a very high level; important to Iran; the Iranian culture, and those targets, and Iran itself, WILL BE HIT VERY FAST AND VERY HARD. The USA wants no more threats! Donald J. Trump (@realDonaldTrump)

nel caso l’Iran intendesse vendicarsi dell’uccisione da parte degli USA del generale Suleimani avvenuta lo scorso 3 gennaio davanti all’aeroporto di Bagdad. Dalla preistoria sino ai gioielli dell’arte e dell’architettura persiano-achemenide, partico-sasanide e islamica, l’Iran è ricchissimo di storia e archeologia: vanta infatti ben ventiquattro siti patrimonio Unesco.

Un’aperta condanna delle sconsiderate e ottuse minacce del presidente arriva anche dall’Archaeological Institute of America, una delle più prestigiose e antiche istituzioni culturali americane. Ricorda in particolare a Trump la Convenzione dell’Aja del 1954 «per la protezione dei Beni Culturali in caso di conflitto armato», che vieta ogni azione militare contro paesi terzi se non in casi eccezionali di difesa militare.

Resti del palazzo di Dario I  (550-486 a.C.) a Persepoli, uno dei siti minacciati di distruzione da Trump.

 

Ma Trump reitera che:

“They’re allowed to kill our people. They’re allowed to torture and maim our people. They’re allowed to use roadside bombs and blow up our people”, the president said. “And we’re not allowed to touch their cultural site? It doesn’t work that way”.

Siccome gli iraniani “torturano  e mutilano” con “ordigni esplosivi disseminati lungo le strade” le forze americane presenti in Iraq, allora che volete che sia “toccare i loro siti culturali?”.

Il New York Times pubblica un articolo del 6 gennaio 2020 di  Brian I. Daniels e Patty Gerstenblith, rispettivamente vicepresidente dell’Archaeological Institute of America e membro del comitato Usa del Blue Shield, in cui si sostiene che la storia degli Stati Uniti è sempre stata contrassegnata dal rispetto per il patrimonio culturale dell’umanità, almeno sin dai tempi del Lieber Code, codice giuridico di guerra, emanato dal presidente Abraham Lincoln.

Su questo punto avrei qualche obiezione: forse che la basa statunitense installata nel cuore dell’importantissimo sito archeologico di Babilonia (Iraq) dopo la seconda guerra del Golfo del 2003 non è una violazione del patrimonio culturale e delle leggi internazionali? Oltre che del buon senso? Per tacere dei bombardamenti a tappeto che hanno fatto tabula rasa dei monumenti storici di Mosul; certo per liberala dai terroristi dell’ISIS, ma a quale prezzo?

Sembra che nelle guerra reale e diplomatica tra USA e Iran sia in realtà l’Iraq a pagare il prezzo maggiore: lo scontro in atto avviene sul suolo iracheno, ormai divenuto uno stato cuscinetto di contesa tra Iran e Stati Uniti.

Immagine e riferimenti: https://www.nytimes.com/2020/01/06/opinion/letters/iran-culture-war-crime.html


30 novembre 2019

IRAQ
La rinascita del museo di Bassora, nel giardino dell’Eden culla della civiltà della Mesopotamia

Dopo circa trent’anni di chiusura a causa dei saccheggi nel 1991 e nel 2003, rispettivamente nella prima e nella seconda guerra del Golfo, il 27 settembre 2016 ha riaperto il nuovo museo di Bassora, oggi ospitato nel suggestivo palazzo che si apre sullo Shaṭṭ alʿArab, un tempo reggia dorata del leader iracheno Saddam Hussein.

A una prima galleria ellenistica con reperti del IV-III secolo a.C., nel marzo 2019 si sono aggiunte tre nuove sale espositive ricche di circa 2200 straordinari reperti archeologici che spaziano dalla preistoria della Mesopotamia al periodo protourbano di Uruk, con eccezionali testimonianze dell’invenzione della scrittura su tavolette cuneiformi d’argilla, dalle civiltà dei Sumeri ai Babilonesi agli Assiri sino alle testimonianze dell’ellenismo e della Bassora medievale e ottomana, snodo commerciale sul Golfo Persico da dove presero le mosse le avventure di Sindbad il marinaio cantate ne Le mille e una notte.

L’ex palazzo di Saddam Hussein a Bassora, sede del museo. (Foto United Nations Iraq)

Una delle gallerie del museo con reperti ceramici del III-I millennio a.C. (Foto Al-Monitor)

La maggior parte dei reperti sono giunti dall’Iraq Museum di Baghdad dove erano stati messi in sicurezza durante le guerre; oltre cento manufatti sono frutto dei recenti sequestri nel contrabbando archeologico. Tutto in una cornice di grande bellezza: i visitatori possono ammirare i capolavori dell’arte Mesopotamica in un enorme palazzo dai soffitti voltati, dalle marmoree pareti decorate da incrostazioni lignee e impreziosite da stucchi colorati, come era la norma nelle fastose residenze dell’ex rais iracheno. E in un contesto scenografico di laghi e canneti echeggianti il biblico giardino dell’Eden sumerico.

Le spettacolari volte a costolature del museo. (Foto United Nations Iraq)

Con un finanziamento iniziale di 686.000 dollari da parte della statunitense BP Foundation e di altre organizzazioni culturali e umanitarie, gli Amici del Museo di Bassora, tra cui gli archeologi John Curtis e la compianta Lamia AlGailani Werr, il Ministero iracheno della Cultura e lo SBAH (Dipartimento di Antichità dell’Iraq) sono riusciti a realizzare il sogno di Qahtan al-Abeedil, il direttore della antichità di Bassora che sin dal 2008 aveva fortemente caldeggiato la rinascita di un museo provinciale cittadino.

Nel 2003, dopo l’ultima guerra del Golfo, il palazzo saddamiano era stato occupato dalla British Army e aveva subito attacchi e attentati da parte delle resistenza locale. La stessa British Army, guidata dal maggiore-generale Sir Barney White-Spunner e da Neil MacGregor e Major Hugo Clark, aveva sin da subito condiviso il desiderio di trasformare il palazzo in un museo dell’antica Mesopotamia.

Unguentari in vetro di età islamica (c. IX sec). (Foto United Nations Iraq)

Ulteriori fondi già stanziati permetteranno l’allestimento di un’enorme biblioteca di circa 10.000 volumi storico-archeologici e il trasferimento dell’archivio del British Institute for the Study of Iraq, che attualmente si trova a Baghdad. Il progetto è molto importante perché per dirla con il direttore del museo:
«Questo luogo è punto di partenza per raccontare al mondo, e non solo agli Iracheni, la grandezza e la storia del patrimonio culturale della Mesopotamia, e come si debba proteggere i siti archeologici».

Galleria con sarcofagi di età ellenistica e partica (III sec a.C. – II sec. d.C.). (Foto United Nations Iraq)

Un museo quindi non congelato nelle pieghe della sua esistenza, non semplicemente aperto al pubblico, a studenti e a comuni iracheni che desiderino riscoprire il loro passato, bensì un luogo pieno di speranza, di iniziative locali e internazionali che restituiscano la consapevolezza di una grande umanità senza divisioni, di una cultura che travalichi il limite di confini e barriere.

Si veda:
https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2019/10/basra-museum-keeping-iraqs-heritage-in-iraq.html


31 ottobre 2019

SIRIA
Le milizie iraniane saccheggiano Aleppo e Palmira?

Lo denuncia in un articolo del giugno scorso The Syrian Observer, riprendendo fonti anonime di attivisti siriani e media dell’opposizione al regime siriano. L’accusa è gravissima:

L’Organizzazione umanitaria iraniana al-Mehdi ha ottenuto il permesso dal generale Javad al-Ghaffari, capo delle forze iraniane ad Aleppo, di scavare aree della città vecchia di Aleppo…controllate dalla Guardia Rivoluzionaria iraniana (IRGC) – scrive Zaman Al Wasl sul The Syrian Observer.

Il giornale continua affermando che:

L’Organizzazione ha firmato dei contratti con la Direzione delle Fondazioni Islamiche di Carità e la Direzione dei Musei e dell’Archeologia di Aleppo finalizzati al restauro e alla riabilitazione degli edifici pubblici danneggiati dalla guerra civile, per assicurare protezione contro ogni attività illegale nella città ….

Aleppo era stata riconquistata nell’inverno del 2016 dalle forze del regime siriano supportato da milizie russe e iraniane.

Aleppo distrutta dalla guerra civile siriana (Foto The Syrian Observer)

L’articolo quindi denuncia le forze della Guardia Rivoluzionaria iraniana (IRGG) e indirettamente anche gli alleati russi e siriani per i saccheggi dei siti archeologici del settore orientale di Aleppo che avverrebbero impunemente utilizzando addirittura i camion della municipalità cittadina. Le operazioni avverrebbero sotto la copertura di contratti legali stipulati al fine di ricostruire la città.

Nell’altro sito patrimonio Unesco di Palmira non è chiaro cosa stia avvenendo: le ostentate ricostruzioni del tempio di Bell e di Baalshamin distrutti dall’ISIS nell’estate del 2015 non si sono ancora viste.

Tuttavia bisogna sottolineare che a oggi mancano per Aleppo e Palmira immagini e prove dirette che possano confermare le infamanti accuse.

Palmira: rilevamento della porta del tempio di Bel dopo la distruzione dell’ISIS (Foto DGAM e Sawa company)

Si veda The Syrian Observer:
https://syrianobserver.com/EN/news/51344/pro-iran-militants-loot-aleppos-antiquities.html


17 settembre 2019

SIRIA
L’archeologia dell’Afrin distrutta dalla Turchia
Raccogliamo l’appello del Dipartimento di Antichità siriano

Mentre si combatte ancora nell’area di Idlib, nella vicina regione di Afrin, nel nord della Siria, oltre alla campagna di epurazione dei curdi e delle altre minoranze della regione, le forze di occupazione turche stanno saccheggiando e distruggendo con le ruspe interi siti archeologici di età neoittita-aramaica (primi secoli del I millennio a.C.), romani e bizantini.

Le fotografie che qui vi ripropongo, scattate dagli attivisti del gruppo Heritage & Culture of Syria e postate dal DGAM, il Dipartimento di Antichità siriano, mostrano inequivocabilmente l’azione invasiva delle ruspe e l’affiorare degli straordinari rilievi di leoni e divinità che decoravano le pareti di templi e palazzi neoittiti. Secondo il DGAM, appaiono obliterati e decontestualizzati dall’intervento illegale delle forze turche. Si tratta, tra gli altri, dei siti archeologici di Tell Burj A’bdallo, Tell Ain Dara, Tell Jendyres e il sito del profeta Hori.

L’archeologia dell’Aafrin distrutta dalla Turchia

L’archeologia dell’Aafrin distrutta dalla Turchia L’archeologia dell’Aafrin distrutta dalla Turchia

Il DGAM siriano accusa la Turchia di tali saccheggi e distruzioni, ricordando anche il bombardamento turco del tempio neoittita di Ayn Dara già avvenuto nel gennaio 2018. E lancia il seguente appello “alla coscienza del mondo” per la tutela del patrimonio culturale siriano:

The Ministry of Culture-Directorate General of Antiquities and Museums – appeals to the conscience of the world and all concerned international organizations, as well as international legal and academic figures, and all those interested and keen on the human civilization, to intervene to protect the Syrian cultural heritage and put an end to the unjust aggression on these archaeological sites, whose lost represents a great lose for all humanity. It is a flagrant violation of the international covenants and conventions preventing the occupying States from attacking the resources of peoples they occupied their land.

Si veda il sito del DGAM siriano: http://www.dgam.gov.sy/index.php?d=314&id=2495


15 luglio 2019

IRAQ
Babilonia nominata Patrimonio Unesco

Lo scorso 5 luglio 2019, nella riunione di Baku in Azerbagian, finalmente l’Unesco ha nominato Babilonia tra i siti patrimonio mondiale dell’umanità.

È una notizia importante, tanto attesa, dopo le decennali pressioni del governo iracheno che spera così di riuscire a tutelare e valorizzare al meglio la capitale dell’impero paleobabilonese, cassita e neobabilonese (II-I millennio a.C.).

La città si aggiunge agli altri cinque siti iracheni patrimonio Unesco, metà dei quali però in codice rosso, di emergenza, per il degrado in cui versano: Hatra (nominata nel 1985, in codice rosso), Assur (nel 2003, in codice rosso), Samarra (nel 2007, in codice rosso), la cittadella di Erbil (nel 2014) e gli Ahwar del sud dell’Iraq, noti anche come le paludi del sud dell’Iraq.


Il palazzo sud di Nabucodonosor II (604-562 a.C.) come appare oggi nella ricostruzione del periodo saddamiano e, a destra, la base militare alleata (americana e polacca) Camp Alfa del 2003-2004.


Entrata del palazzo sud di Nabucodonosor II.

Sono particolarmente felice della nomina di Babilonia perché essa riveste un significato speciale, affettivo e personale: è il sito dove mi sono formato come archeologo, dove ho avuto la fortuna di scavare già nel lontano 1989 appena laureato all’Università di Torino.

È un sito difficile, intendiamoci, quasi impossibile da indagare e da decifrare, per via degli enormi accumuli di mattoni crudi, e degli scavi passati. Nel 2012 ho pubblicato anche un libro su questa esperienza e sulla storia e l’archeologia della città dal titolo Babilonia. All’origine del mito, nel quale spiegavo l’urgenza di inserire il sito nella lista Unesco per ottenere i finanziamenti necessari alla manutenzione e al restauro. C’è infatti il grave problema della falda acquifera che tende a salire progressivamente e a distruggere le fondazioni degli antichi edifici in crudo.


Meraviglie del mondo antico: le mura interne di Babilonia, ricostruite sui mattoni crudi originali (h. 10 m; larghezza 6,5 m). Si noti l’erosione dell’acqua alla base delle murature.

Babilonia è la città di Hammurabi, delle prime leggi della storia umana, dei giardini pensili e delle mura, meraviglie del mondo antico, della cattività degli Ebrei deportati da Nabucodonosor II nel corso del VI sec. a.C. È la città biblica della torre di Babele, dei profeti, di Daniele, e dei re persiani, Ciro il Grande su tutti.

I resti monumentali vennero ricostruiti in maniera non esattamente filologica dal leader iracheno Saddam Hussein negli anni Ottanta, e un festival di cultura e spettacolo accendeva le serate d’agosto di quegli anni.


Fase più antica della porta di Ishtar a Babilonia, decorata con draghi e tori in mattoni cotti a rilievo (h. 12 m) sulla via delle Processioni Aiburshabu.


Particolare del mushkhush, il drago, animale attributo del dio Marduk.

Avevo scavato la reggia-arsenale posta nel settore a sud dell’Esagila di Marduk, denominato Shuanna, dove, dalla porta di Urash, transitava la via processionale dedicata al dio della sapienza Nabu (figlio del grande Marduk), la cosiddetta Nabu-dayyan-nishishu (“Nabu è il giudice della sua gente”) che li si congiungeva con la via delle Processioni principale Aiburshabu.

La speranza è che la nomina dell’Unesco sia seguita da un intervento concreto di restauro, manutenzione e valorizzazione di uno dei siti archeologici più grandi e più importanti del mondo.


Ricostruzione della Porta di Ishtar al Vorderasiatisches Museum di Berlino. Rappresenta la fase tarda di Nabucondonosor II, decorata a mattoni smaltati a rilievo con l’alternanza dei tori di Adad e del drago di Marduk.


Particolare del drago mushkhush di Marduk (in mattoni a rilievo smaltati) a decorazione della porta di Ishtar di Babilonia (h. 1,30 m, Vorderasiatisches Museum, Berlino).


28 giugno 2019

IRAQ
Mosul/Ninive: il fallimento della ricostruzione

Ecco in sintesi lo scioccante post di Mosul Eye, alias Omar Mohammed, lo storico di Mosul che sin dai tempi dell’ISIS tiene un blog aggiornatissimo sulla situazione di Mosul e sulle ricostruzioni.

I principali problemi di Mosul sono:

  • SICUREZZA: il controllo dell’area di Mosul è in mano alle sole Forze di Mobilitazione Popolare composte dalle varie milizie sciite che hanno vinto l’ISIS nel luglio 2017 e che agiscono per conto delle forze iraniane.
  • SPECULAZIONE EDILIZIA: la bellissima città vecchia medievale e ottomana di Mosul, sulla riva occidentale del Tigri di fronte alla capitale assira di Ninive, è in condizioni di devastazione, negletto e purtroppo anche vittima di speculazione edilizia incontrollata.

Le voci che avevo raccolto mesi fa vengono confermate: spinti dalle autorità locali, ogni giorno i cittadini di Mosul ovest svendono le loro abitazioni a misteriosi speculatori che intendono costruire enormi centri commerciali.

I dati sono allarmanti: ogni settimana vengono vendute 30 abitazioni storiche del centro, alcune volte addirittura 20 case in un solo giorno. Gli abitanti lasciano la città per mettersi al sicuro nel Kurdistan iracheno, perché mancano sicurezza e servizi di base, luce e acqua, ospedali e così via. Migliaia di giovani sono senza lavoro, e a scuola ci sono sino a 80 bambini per classe.

  • MANCANZA DI INTERVENTI: Il governo iracheno non interviene, Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) non ha fatto nulla per ricostruire le infrastrutture e per incentivare il ritorno delle gente nella martoriata città. Anche le autorità locali, il governatore di Mosul in testa, non hanno nessuna intenzione di intervenire a ricostruire le case distrutte. Questo il devastante scenario nelle parole di Mosul Eye – Omar Mahammed.


Mosul distrutta dall’ISIS e dai bombardamenti iracheni e americani nel 2017.

Voglio ricordare che la stessa situazione di degrado e distruzione si attaglia all’antica capitale assira di Ninive, senza progetti di recupero né interventi sul campo.

La scorsa estate 2018 avevo chiesto all’Unesco-Iraq di intervenire per mettere in sicurezza a un costo molto basso il bellissimo campanile dedicato dall’imperatrice Eugenia nella celeberrima chiesa di Nostra Signora dell’Ora, monumentale basilica fatta edificare nel 1870 dai padri domenicani e colpita duramente nel 2017 durante i bombardamenti iracheni e americani. Mi risulta che nulla sia ancora stato fatto.

E mentre speculazione e abbandono regnano sovrani, l’Unesco si riunisce nel Château de Chambord, uno dei più bei castelli della Loira, con l’ennesima conferenza internazionale per il rilancio di Mosul, il Revive the Spirit of Mosul.

Si vedano:
https://mosul-eye.org/2019/06/24/demographic-change-in-mosul-and-new-conflict-hotspot/

https://en.unesco.org/news/unesco-rallies-experts-and-artists-chateau-chambord-solidarity-mosul?fbclid=IwAR3J6ZqN0bNWehX4Iw-ZTzG1gvSVCIlWAw0dZjMVNHu7s_oZ0lxQriyYnDo


27 giugno 2019

IRAQ
L’Iraq Museum di Baghdad: rinascita e progetti futuri

Qualche settimana fa mi chiamava al telefono la celebre giornalista del New York Times Alissa Rubin, premio Pulitzer 2016 per i reportage sulle guerre che sconvolgono il Medio Oriente, dall’Afghanistan all’Iraq alla Siria allo Yemen. Sono ancora vive le immagini dell’incidente aereo che la vedeva coinvolta sul Jebel Sinjar in Iraq quando nell’agosto del 2014 precipitava l’elicottero su cui si trovava per documentare la fuga degli Yazidi perseguitati dall’ISIS e per la distribuzione di cibo stoccato sul velivolo. La Rubin si era seriamente ferita, per essere messa in salvo solo da un provvidenziale intervento di soccorso avvenuto poche ore dopo.


Baghdad: la galleria assira dell’Iraq Museum oggi.

Alissa mi chiamava da Baghdad per farmi delle domande sull’Iraq Museum, la più importante istituzione museale irachena e uno dei principali musei del mondo. Mi chiedeva perché fosse tanto unico. Ricordava di averlo visto in preda a furti e anarchia nell’aprile 2003 in piena guerra del Golfo, con le folle baghdadene che si davano ai saccheggi. E di averlo rivisto dopo sedici anni, poche settimana fa, come rinato dal torpore della distruzione, con gli oggetti in bella mostra nelle vetrine espositive. Quasi una promessa di tempi migliori.


Restauro di una colonna sasanide.

Tuttavia, nonostante la riapertura ufficiale del marzo 2015, in risposta alle devastazioni dell’ISIS nel nord dell’Iraq, adesso il museo appariva deserto, senza visitatori. Soprattutto, il collega archeologo e ministro della cultura al-Hamdani ricorda come, sebbene l’ingresso sia oggi gratuito per scuole e università, l’Iraq Museum sia poco visitato dai giovani iracheni, che lo sentono estraneo, poco appartenente alla loro cultura più profonda.


La galleria assira di Khorsabad: età di Sargon II VIII sec. a.C.


Particolare dei rilievi storici della galleria assira di Khorsabad.

E questo nonostante sia stato completamente riallestito tra il 2004 e il 2011 con il contributo italiano nelle belle sale dai grandi tori alati e dai bassorilievi con le scene di corte della galleria assira, o le magnifiche sculture partico-sasanidi della galleria di Hatra o la nuova galleria medioassira in cui svettano due monumentali lamassu da Nimrud che sfidano il visitatore con il loro sguardo penetrante; e nonostante siano stati recuperati oltre 5000 reperti dei 15000 rubati nel 2003, e restaurati pezzi pregiati come la lira di Ur, la dama di Uruk e il vaso cultuale di Uruk, capolavori assoluti dell’arte sumerica che nessun altro museo al mondo potrebbe vantare.


La lira sumerica di Ur (metà del III millennio a.C.), di nuovo in mostra dopo l’attacco del 2003.

Come raccontavo alla Rubin, il museo nasceva nel 1923 in pieno clima mandatario da una geniale idea dell’esploratrice britannica e Oriental Secretary Gertrude Bell e del re Feisal dell’Iraq, per essere ricollocato nel 1966 in una nuova sede su progetto di Werner March, quindi ingrandito nel 1986 sino all’attuale enorme area espositiva di 12000 metri quadrati.

La legge sulle antichità del 1924 metteva un primo freno all’esportazione di reperti archeologici ma solo nel 1936 l’archeologia dell’Iraq veniva completamente nazionalizzata.

Vanto del museo, almeno per come lo conosco io, è l’assoluta ampiezza cronologica delle collezioni che spaziano dalla preistoria sino all’età ottomana, un unicum nel suo genere.


Il vaso cultuale di Uruk: periodo protourbano, ca. 3100 a.C.

Il museo oggi appare senza pubblico ma ricchissimo di reperti. L’instabilità politica e la mancanza di sicurezza giocano un ruolo decisivo, perché l’edificio insiste proprio in un’area di Baghdad di grande importanza strategica, uno snodo vitale della città.

L’auspicio è che possa tornare a essere il vanto e l’orgoglio di tutto il popolo iracheno. Ma perché ciò accada è necessaria una rimodulazione dei curricula scolastici e universitari in linea con una nuova e più aperta valorizzazione dell’incredibile storia e archeologia del paese.


Monna Lisa da Nimrud: avorio fenicio dell’VIII sec. a.C.

L’intervista del New York Times, con alcune delle immagini qui riprese, è su:
https://www.nytimes.com/2019/06/09/world/middleeast/iraq-museum-baghdad.html


22 aprile 2019

SIRIA
La rinascita di Bosra: un esempio da seguire

Va lodata l’iniziativa del Dipartimento di Antichità siriano (DGAM), sotto il patrocinio dell’Unesco, che rappresenta la prima fase del nuovo progetto “Recovery of the Ancient city of Bosra”, volto al “Recupero dell’Antica città di Bosra”, patrimonio mondiale dell’umanità. Di concerto con la comunità locale, i responsabili del Dipartimento hanno pianificato un accurato programma di valutazione sul terreno dei danni causati dalla guerra civile: i bombardamenti sulla cittadella e il centro storico romano occorsi durante gli scontri tra i gruppi ribelli e le forze governative. Si è iniziato da una mappatura dei monumenti colpiti e da una ricognizione delle aree soggette agli scavi clandestini. In particolare, è stato eseguito il rilievo fotogrammetrico della cosiddetta kalybe, un santuario aperto a colonnato per l’esposizione di statue del II sec. d.C., molto simile a un ninfeo romano, ubicato sull’asse del decumano.

Bosra, aprile 2019: censimento dei danni nella città storica
Bosra, aprile 2019: censimento dei danni della città storica


Bosra, aprile 2019: ricognizione delle aree saccheggiate durante la guerra civile

Nella seconda fase del progetto verranno ridefiniti i limiti dell’area archeologica cittadina, creando delle zone cuscinetto rispetto allo stanziamento moderno, in modo da proteggere il sito da un potenziale sviluppo urbano incontrollato, e allo stesso tempo venire incontro alle esigenze della comunità locale. Questa si è battuta strenuamente per la difesa del patrimonio archeologico durante la guerra civile, cercando di mediare tra i belligeranti per tutelare gli splendidi monumenti di Bosra. La comunità ha recentemente sottoscritto un documento di impegno formale, esteso a tutte le parti coinvolte nella riqualificazione dell’area, mirato a preservare il patrimonio culturale cittadino.

Bosra, aprile 2019: ricognizione del decumano e della kalybe
Bosra, aprile 2019: ricognizione del decumano e della kalybe

Ben posizionata sull’altopiano basaltico dell’Hawran, a circa 150 km a sud di Damasco, Bosra, risalente al periodo pre- e protostorico, presenta uno stanziamento del Tardo Bronzo di cui resta una cinta muraria in pietra. Rinomato centro carovaniero sulla via desertica dell’ Hejaz durante la dinastia seleucide, il sito entrò a fare parte del regno arabo dei Nabatei di cui divenne capitale dal 70 al 106 d.C.

È di questo periodo il tracciato urbano ellenistico a griglia regolare, che si sviluppa poi con la conquista romana nel 106 d.C., sotto l’imperatore Traiano, quando la città diviene capitale della provincia imperiale d’Arabia con il nome di Nova Traiana Bosra. Fu nominata Colonia Bosra da Alessandro Severo, ed ebbe uno sviluppo straordinario in età tardoantica e bizantina, con la costruzione di splendide chiese e basiliche, e in età omayyade e ayyubide, quando sorse la bellissima cittadella per la difesa della città dai Crociati.

La fortificazione ayyubide (XIII sec.), formata da nove torri, con fossato e ponte levatoio, ingloba in modo suggestivo il bellissimo teatro romano del I sec. d.C., edificato in pietra basaltica e contenente 6000 spettatori con una cavea ottimamente conservata di ben 102 m di diametro.

Bosra: teatro romano (I sec. d.C.) e cittadella ayyubide in alto
Bosra: teatro romano (I sec. d.C.) e cittadella ayyubide in alto

Si veda: http://dgam.gov.sy/index.php?d=314&id=2462

 

IRAQ
La ricostruzione che non parte: Nimrud e Ninive oggi

A circa due anni dalla liberazione della piana di Ninive e di Mosul purtroppo non si vedono ancora segnali tangibili di ripresa. Non si vede l’ombra di un progetto, né soprattutto la realizzazione delle tanto sbandierate promesse di ricostruzione fatte dall’Unesco, dall’Unione Europea, e dal Dipartimento di Stato Americano, per tacere del disinteresse del governo iracheno.

Come ho più volte sottolineato, quello che manca è, in primis, un intervento coordinato di censimento dei danni, e quindi di ricostruzione dei beni culturali e delle infrastrutture civili distrutte dall’ISIS e dalla guerra.

Sappiamo che nella città vecchia di Mosul i lavori di ricostruzione della grande moschea zenghide Jama’ an-Nuri e del minareto pendente al-Hadbā, icona cittadina, non sono mai iniziati, nonostante la cerimonia dello scorso 17 dicembre 2018 della posa della prima pietra (di cui avevo dato conto), …la prima e ultima pietra?

Guardatevi le immagini del video di Al Jazeera, pubblicato solo due mesi fa (il 16 febbraio 2019), sulle devastanti condizioni in cui versa oggi Nimrud, l’antica capitale assira di Kalkhu del IX sec. a.C., fatta esplodere dall’ISIS nell’aprile 2015 che poi aveva postato in rete il famoso video della distruzione: https://www.aljazeera.com/news/2019/02/struggle-save-iraq-archaeological-sites-isil-battles-190216141614668.html


Nimrud 2008: lamassu (tori alati androcefali) di guardia all’ingresso della sala del trono del palazzo di Assurnasirpal II prima della distruzione dell’ISIS

Il sito appare oggi nello stesso pietoso stato di due anni e mezzo fa, quel lontano novembre 2016 quando venne liberato dai militari iracheni. Sculture distrutte, accatastate, grandi tori alati androcefali ancora spezzati a terra, abbandonati a se stessi senza protezione né copertura….macerie ovunque. Quando sarà fatto un rilievo del palazzo distrutto (si potrebbe effettuare in poche ore con un drone e l’aerofotogrammetria), e un censimento dei danni? Quando si schederanno i pezzi distrutti, li si metterà al sicuro, per restaurarli? Intanto, in queste condizioni, i furti delle sculture della reggia di Assurnasirpal II (883-859 a.C.) continuano.

Nimrud febbraio2019: lamassu (tori alati androcefali) distrutti dall’ISIS nel 2015
Nimrud febbraio 2019: lamassu (tori alati androcefali) distrutti dall’ISIS nel 2015

Nimrud è l’immagine dell’Iraq che non riparte.

Lo stesso vale per la capitale assira di Ninive, in particolare per l’acropoli principale, il noto tell Kuyunjik dov’era il palazzo sudovest di Sennacherib (704-681), “il palazzo senza eguali”, la reggia assira più grande e monumentale di tutte, trasformata negli anni Sessanta in un enorme parco archeologico. Nessuna ricognizione, nessuna stima dei danni, né rilievi del sito dopo la distruzione. Peccato.

L’abbandono dell’arte equivale all’abbandono delle popolazioni locali, senza acqua, elettricità e beni di prima necessità. Speriamo che qualcosa cambi, che anche in Iraq si emuli il modello di ricostruzione di Bosra. Prima che sia troppo tardi.


4 marzo 2019

Tributo a Lamia al-Gailani Werr
La grande archeologa irachena che si è battuta per salvare l’arte della Mesopotamia

Cara Lamia,

Eri una delle prime donne archeologhe dell’Iraq quando nel 1961, dopo il master all’Università di Baghdad, iniziavi a lavorare come curatrice dell’Iraq Museum. Discendevi dalla illustre famiglia irachena di ʿAbd al-Qādir Gīlānī, fondatore dell’ordine sufi conosciuto come Qadiriyya, nel cui mausoleo sei stata sepolta dopo la tua morte avvenuta, all’età di ottant’anni, il 18 gennaio scorso ad Amman, in Giordania, mentre infondevi il tuo sapere alle giovani generazioni di siriani e iracheni in un workshop sulla tutela del patrimonio culturale della Mesopotamia.

Le nostre vite si sono incrociate solo negli ultimi anni quando mi raccontavi, preoccupata, quello che stava succedendo a Mosul e in Iraq in generale, mi suggerivi letture stimolanti sulla influenza delle tribù sunnite nella società irachena, apprezzavi il mio sforzo di tutela del patrimonio dell’Iraq, e valutavi così tanto i miei due contributi sul Museo di Mosul, distrutto da Daesh, da consegnarli personalmente al direttore dell’Iraq Museum di Baghdad Qais Rasheed.

Ci siamo sentiti qualche settimana prima che tu te ne andassi: appoggiavi il mio progetto di scavo nella piana di Ninive, rendendo le procedure assai più semplici. Sei sempre stata una splendida mediatrice e ambasciatrice di pace e cultura tra l’Iraq e il mondo occidentale, favorendo le ricerche internazionali in Mesopotamia. La tua tesi di dottorato all’Istituto di Archeologia di Londra sui sigilli paleobabilonesi è una pietra miliare nella disciplina, un lavoro splendido e ineguagliabile. E il tuo enorme sforzo nella valorizzazione dei beni culturali del paese dopo la seconda guerra del Golfo e le distruzioni di Daesh ti hanno valso il conferimento della Gertrude Bell Memorial Gold Medal. Sì, proprio un riconoscimento in ricordo della stessa Bell. la celebre fondatrice nel 1923 dell’Iraq Museum di Bagdad, che il tuo avo, il naqib Gailani, massima autorità sunnita irachena, apprezzava così tanto..

Un tuo consiglio è vivo: “non curarti del tempo che passa, ricerca sempre con l’animo di un giovane di vent’anni, l’entusiasmo deve essere quello di un bambino. La scienza e la conoscenza sono giovani, non invecchiano mai”.

Ci mancherai Lamia…


https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2019/02/iraqs-young-archaeologists-follow-footsteps-of-gailani.html#ixzz5fTKhZxkC


12 febbraio 2019

IRAQ
Dalla breve riapertura del Museo di Mosul al sequestro di preziosi reperti

Lo abbiamo lasciato distrutto, saccheggiato e fatto esplodere dai miliziani dell’ISIS, lo ritroviamo ancora in rovina a ben due anni dalla liberazione, senza un censimento dei danni, senza un progetto di riabilitazione…

Sono lieto però di dirvi che nella vecchia sezione del museo, meno colpita dai jihadisti, quella che negli anni quaranta del Novecento era nata come reggia estiva di Faisal II, re dell’Iraq, dal 29 gennaio al 2 febbraio 2019 si è tenuta una mostra di arte contemporanea intitolata “Ritorno a Mosul”. Dipinti, sculture e opere di artigianato di artistici iracheni e internazionali hanno coronato la suggestiva sede espositiva, inducendo i numerosi visitatori a una seria riflessione sul tema della guerra, del ritorno dopo l’apocalisse, e di un possibile futuro per gli abitanti di Mosul.

A questa buona notizia, si aggiunge il recente sequestro da parte delle autorità di frontiera irachene di oltre 1300 straordinari reperti mesopotamici che stavano per essere contrabbandati alla frontiera con la Giordania. Statuette sumeriche, terrecotte, sigilli cilindrici, tavolette cuneiformi babilonesi, vetri e ceramica, molti addirittura rubati all’Iraq Museum di Baghdad nel famoso saccheggio dell’aprile 2003 durante la seconda guerra del Golfo.

Una dimostrazione di come i reperti più preziosi vengano occultati per anni prima di essere rivenduti in tutta sicurezza sul mercato mondiale. All’Iraq Museum di Baghdad, il collega    Abdulameerr al-Hamadani, nuovo Ministro del Turismo e della Antichità, ha fatto esporre i pezzi sequestrati in una mostra temporanea, lanciano un appello alla comunità internazionale per aiutare l’Iraq a recuperare il suo inestimabile patrimonio culturale, violato e trafugato negli ultimi venti anni e oggetto di un collezionismo sfrenato a livello globale.

Il video della mostra “Ritorno a Mosul”:
https://www.bbc.com/news/av/world-middle-east-47050606/mosul-museum-partially-reopens-in-iraq-after-is-destruction


Febbraio 2019: il Museo di Mosul (l’edificio degli anni settanta) ancora in stato di distruzione e abbandono: si noti la mancanza di porte e finestre.

 


Febbraio 2019: entrata alla mostra “Ritorno a Mosul” nella vecchia sezione espositiva del museo nella reggia di Faisal II.


Febbraio 2019: la mostra “Ritorno a Mosul”.


Iraq Museum di Baghdad, febbraio 2019: reperti mesopotamici sequestrati alla frontiera con la Giordania.


27 dicembre 2018

SIRIA E IRAQ
Mosul, Aleppo e Palmira
Quando la ricostruzione diventa propaganda

Lo scorso 17 dicembre 2018 è avvenuta la cerimonia della posa della prima pietra della Grande Moschea zenghide Jama’ an-Nuri e del minareto pendente al-Hadbā, icona di Mosul e simbolo cittadino, fatti esplodere dallo Stato Islamico nel giugno 2017. Alla presenza di dignitari iracheni e occidentali, rappresentanti dell’ONU, membri dell’Unesco e agenzie di stampa internazionali, si plaudeva alla lodevole iniziativa diretta dall’Unesco con i fondi di 50 milioni di dollari stanziati la scorsa primavera dagli Emirati Arabi Uniti. Ancora una volta tuttavia sono i cittadini di Mosul a essere i grandi assenti.

Un vuoto che pesa. La città vecchia sulla sponda occidentale del Tigri, dove si trova la moschea, è abbandonata. Senza case, infrastrutture, ospedali, scuole e beni di consumo primari (acqua, elettricità), la vita dei moslawi è sospesa in un limbo di annichilimento e smarrimento che aleggia su una città fantasma, annullando la dimensione sociale e una possibile rinascita.

Le Nazioni Unite hanno stimato che circa 9000 edifici storici, perlopiù abitazioni, sono stati irreparabilmente obliterati dalla guerra. Il governo iracheno sostiene di non avere i fondi per ricostruire il tessuto urbano di Mosul, ma in realtà sembra quasi volere lasciare la città in rovine come punizione per avere “ospitato” il terrorismo…., e i denari dei donatori privati permetteranno la ricostruzione di sole 250 case. Ciò significa che il 95% dei residenti dovranno riedificare le loro abitazioni a proprie spese.

Archeologia e beni culturali minacciati guerra ISIS

Mosul, 17 dicembre 2018: la cerimonia della posa della prima pietra della Grande Moschea zenghide Jama’ an-Nuri e del minareto pendente al-Hadbā.

In questo scenario, un domanda si pone con urgenza: Cui prodest? A chi servono le ricostruzioni dei monumenti storici nelle città violate dalla guerra? A chi giova una moschea rinata, a Mosul come ad Aleppo, se gli abitanti locali non possono più vivere, né hanno la prospettiva di farlo, nei quartieri cittadini completamente distrutti? Chi fruirà di quei monumenti divenuti ora cattedrali nel deserto? Improbabili turisti che avranno la ventura o il coraggio di recarvisi?

La risposta è semplice: l’ansia da ricostruzione che privilegia il patrimonio culturale rispetto alle infrastrutture civili ha una valenza simbolica, politica e propagandistica. Sotto il velo di maya della liberazione della cultura dal terrorismo, della ricostruzione della bellezza a tutti i costi, si cela il desiderio di legittimazione degli stati nazionali di Iraq e Siria, rinvigoriti dalla retorica della cultura che vince la barbarie, ma si dipanano anche le spinte neoimperialiste delle istituzioni occidentali (ONU, Unesco, ecc.), di Russia ed Emirati Arabi, che a vario titolo riabilitano la propria immagine in un progetto di rinascita culturale dopo il terribile imbarazzo di fronte alle devastazioni terroristiche.

Aleppo, soprattutto il centro storico patrimonio Unesco, è un altro caso emblematico di riabilitazione del patrimonio – non di tutto, intendiamoci, ma solo di quello più di spicco, che richiama le prime pagine dei giornali e l’opinione pubblica mondiale – non accompagnata dalla riqualificazione civile del tessuto urbanistico. Un recentissimo rapporto, con eloquenti immagini satellitari, pubblicato questo mese da UNITAR, l’agenzia satellitare delle Nazioni Unite, dimostra la totale devastazione del centro storico con circa il 90% degli edifici crollati (ne parlerò in un prossimo aggiornamento). Non si da conto invece delle disastrose condizioni in cui versano le infrastrutture civili.

Anche in questo caso la riedificazione della Grande moschea omayyade e del minareto selgiuchide da parte della Aga Khan Foundation, di per sé lodevole, non viene integrata da altrettanto importanti interventi di ripristino della case dei residenti, con il risultato che la moschea riaprirà i suoi sacri portali in un deserto di devastazione e senza la presenza degli abitanti locali. Come può lo studio di UNITAR “facilitare le speranze di rinascita”, nelle parole degli stessi promotori, se a oggi milizie di ogni tipo saccheggiano le abitazioni abbandonate (come anche a Mosul), mentre i residenti, divenuti profughi, stanno svendendo le loro stesse case per pochi dollari a speculatori e sciacalli?

A Palmira, come già detto, la promessa del governo siriano e dei suoi alleati russi e occidentali di riqualificare i templi distrutti dallo Stato Islamico entro l’estate del 2019 non si sposa con un serio impegno a risanare i danni della devastata città moderna, Tadmor, dove gran parte dei suoi 50.000 abitanti non hanno potuto fare ritorno per la mancanza delle infrastrutture di base.

Se ci preoccuperemo solo di monumenti e turisti (occidentali) non salveremo mai veramente i beni culturali, perché la cultura fa parte della vita stessa di un popolo, né è essenza e motore di sviluppo. Senza la vita non vi è cultura. Solo propaganda.

Si veda: https://hyperallergic.com/477122/let-them-eat-heritage/


20 dicembre 2018

SIRIA
Riaperto il Museo Nazionale di Damasco

Sabato 28 ottobre 2018 è stato finalmente riaperto il Museo nazionale siriano di Damasco. La decisione, presa dal ministro della cultura Mohammed Al-Ahmad, dopo la chiusura nel 2012 a causa della guerra civile, sottende uno scenario di riabilitazione del patrimonio culturale siriano, martoriato da sette anni di scontri. Ora, dopo la tregua in atto nell’area di Idlib, e la riappropriazione da parte del regime di Bashar alAssad delle regioni rurali del Ghouta e delle enclavi ribelli, si sarebbero create le condizioni di sicurezza per aprire al pubblico il museo, che è tra i più importanti del Medio Oriente.

Intendiamoci, si tratta di una riapertura parziale, in un settore limitato dove si possono però ammirare una serie di capolavori che vanno dalla preistoria all’età islamica-ottomana, passando per le splendide culture protosiriane, amorree, neoittite, ellenistiche, romane e bizantine.

Gran parte delle collezioni erano state evacuate durante gli anni di guerra e messe al sicuro in luoghi segreti, insieme a quelle degli altri musei regionali. Negli ultimi tempi erano già state esposte alcune sculture nei giardini museali, come quella gigantesca del leone della dea preislamica Allat, originaria di Palmira, che l’ISIS aveva in parte distrutto.

Sempre nel mese di ottobre diversi reperti archeologici sequestrati dalle autorità siriane nelle aree ribelli e all’estero, frutto degli scavi clandestini di questi anni, sono stati esposti in una mostra alla Damascus Opera House. Segni tangibili di ripresa della valorizzazione della cultura e della bellezza del paese, anche se il lavoro di censimento dei danni e di ricostruzione delle aree colpite sarà immenso.

Si veda: http://www.dgam.gov.sy/?d=314&id=2435

Foto del Museo Nazionale di Damasco

Ingresso del Museo nazionale siriano di Damasco: ricostruzione della facciata di Qasr el-Heir al-Gharbi, castello omayyade del 727 d.C. del califfo Hisham.

Foto del Museo Nazionale di Damasco

Visitatori alla riapertura del Museo nazionale siriano di Damasco: scena di banchetto funebre, ipogeo di Yarhai, da Palmira.


9 dicembre 2018

IRAQ
l’ISIS distrugge il patrimonio iracheno e Christie’s lo sta vendendo

Mercoledì 31 ottobre 2018, a New York, uno straordinario rilievo assiro, raffigurante un genio alato con situla e pigna in un rituale di purificazione di fronte all’albero sacro. è stato venduto all’asta da Christie’s per la somma record di $27,250,000.

Christie’s ha mantenuto il segreto sull’identità dell’acquirente, mentre sappiamo che il proprietario, la fondazione americana The Virginia Theological Seminary, l’aveva legalmente ricevuto in dono nel 1859 dal missionario Dr. Henri Haskell a cui fu verosimilmente consegnato dall’archeologo inglese Austen Henry Layard. Egli era solito vendere o donare bassorilievi ad amici e viaggiatori che incontrava a Mosul e in Mesopotamia in genere.

Il rilievo ha un valore storico eccezionale, proviene dalla sala S del celeberrimo palazzo nordovest di Nimrud, l’antica capitale Kalkhu, rifondata dal re assiro Assurnasirpal II (883-859 a.C.). L’inaugurazione della reggia avvenne nell’878 a.C. al cospetto di 69.574 invitati.

L’operazione di Christie’s è del tutto legale, intendiamoci. Si tratta di beni culturali pervenuti negli USA a metà dell’Ottocento, ben prima della Convenzione Unesco 1970 che impediva la vendita di reperti archeologici scavati nei paesi interessati. È anche precedente alla legge nazionale irachena sulle antichità del 1936 che nazionalizzava il patrimonio del paese. Tuttavia, come ravvisato dai colleghi iracheni, tra cui Abdulamir Hamdani, il problema è di natura etica, e ha una valenza più generale.

È eticamente corretto fare cassa con la vendita sul mercato, a un prezzo record, di un genere di scultura, i.e. i geni alati da Nimrud, che l’ISIS ha completamente distrutto e razziato? I proprietari e Christie’s lo sapevano bene, hanno colto al balzo l’occasione, sfruttando la crescente domanda sul mercato antiquario di beni archeologici ormai in estinzione. E non è certo un caso che il Virginia Theological Seminary abbia realizzato l’affare proprio adesso, anche se con il nobile motivo di “costituire con i proventi una scholarship di ricerca teologica”. Un agente di Christie’s, intervistato dalla rivista Medium, ha ammesso che “il valore del reperto è cresciuto in maniera esponenziale a seguito delle distruzioni dell’ISIS”. Mai un rilievo assiro aveva incassato tanto, persino nell’ultima vendita del 1994 in cui si era realizzato meno della metà.

Il punto allora è il seguente: in quanto parte integrante e insostituibile del retaggio dell’Iraq, il genio alato doveva essere venduto allo stato iracheno, che dovrebbe avere la precedenza di opzionare il pezzo. Ricordiamo che la vendita all’asta di reperti di valore eccezionale incentiva direttamente il fenomeno del saccheggio dei siti archeologici perché favorisce la possibilità di lauti guadagni.

Il paradigma dell’Occidente neocolonialista che controlla gran parte del patrimonio culturale di nazioni altre viene seriamente messo in discussione: almeno sessanta musei in tutto il mondo ospitano i rilievi assiri di Nimrud. Il governo iracheno certo è latitante, ma il diritto internazionale, come ci ricorda la giurista Patty Gerstenblith, si sta orientando sulla restituzione di beni che non ci appartengono, che abbiamo “legalmente rubato” a culture straordinarie fiorite lontano da noi.

Immagini e riferimenti da: https://medium.com/@FourCM/iraqs-cultural-history-on-the-auction-block-a1ebddf37764

il rilievo assiro del genio alato da Nimrud prima della vendita di Christie’s il 30 ottobre scorso a New York.
Sopra e sotto: il rilievo assiro del genio alato da Nimrud prima della vendita di Christie’s il 30 ottobre scorso a New York.

Sopra: distruzione dei geni alati di Nimrud da parte dell’ISIS nel marzo-aprile 2015.


12 ottobre 2018

IRAQ
Mosul: il minareto pendente al-Hadbā e la Grande Moschea Jama’ an-Nuri trasformati in una discarica

Ancora la denuncia di Omar Mohammed, con la pubblicazione su Mosul Eye di altre sconcertanti fotografie scattate poche ore fa a Mosul che mostrano lo stato di scempio dell’icona cittadina: il minareto medievale pendente al-Hadbā e la Grande Moschea Jama’ an-Nuri trasformati in una discarica di rifiuti e macerie senza l’intervento delle autorità del Dipartimento di Antichità iracheno e la messa in sicurezza dell’Unesco a oltre uno anno dalla liberazione di Mosul.



Nelle foto sopra: immagini di poche ore fa del cortile del minareto pendente al-Hadbā e della Grande Moschea Jama’ an-Nuri trasformati in una discarica di spazzatura e macerie.

https://www.facebook.com/MosulEyee


11 ottobre 2018

IRAQ
Appello di Omar Mohammed (Mosul Eye) per proteggere il centro storico di Mosul

Concordo pienamente con l’appello appena lanciato su fb dallo storico iracheno Omar Mohammed, che a rischio della propria vita aveva documentato sul blog Mosul Eye e denunciato da Mosul le distruzioni e le atrocità commesse dallo Stato Islamico.

La dura accusa per la mancata tutela del patrimonio storico-archeologico di Mosul è rivolta al Dipartimento di Antichità iracheno, al Consiglio Provinciale di Ninive e alla dotazione religiosa Awqaf della città:

بعد مرور اكثر من عام على انتهاء الحرب والخلاص من داعش لم نرى لافتة واحدة في محيط الحدباء او اي سياج يمنع العبث ببقاياها
على العكس هي مباحة لكل من هب ودب.
هل هكذا تعامل المناطق الاثرية؟
هل يرضيكم هذا يا مفتشية اثار نينوى؟
ومجلس محافظة نينوى و دائرة الاوقاف هل انتم مرتاحون و تشعرون بالاطمئنان الان؟…
جهلكم بهذه المدينة وبما تعتز به سيهلكها.

A più di un anno dalla fine della guerra di liberazione contro lo Stato Islamico non abbiamo visto nessun cartello segnaletico né una benché minima recinzione che impedisca ai malintenzionati di interferire con i resti della struttura del “gobbo” al-Hadbā. E’ così che trattate le aree archeologiche? Siete soddisfatti di ciò, Ispettorato della Antichità di Ninive? Vi sentite a vostro agio e rassicurati Consiglio Provinciale di Ninive e dotazione Awqaf? La vostra ignoranza di questa città e di ciò che dovreste amare periranno!

Parole che non si può non condividere.



Nelle due foto sopra: il minareto pendente al-Hadbā in una fotografia di questi giorni


 La Grande Moschea Jama’ an-Nuri in una fotografia di questi giorni

Ma non aveva l’Unesco messo in piedi il piano di ricostruzione Revive the Spirit of Mosul di concerto con le autorità internazionali e irachene? Prima di prevedere un piano di ricostruzione sarebbe stato molto più saggio mettere in sicurezza il centro storico di Mosul con i suoi monumenti più splendidi, come per esempio la Grande Moschea medievale Jama’ an-Nuri e il minareto pendente al-Hadbā, icone cittadine che da oltre un anno sono abbandonati in macerie e senza protezione.

https://www.facebook.com/MosulEyee/photos/a.671843999603772/1806053386182822/?type=3&theater


2 ottobre 2018

IRAQ
Ninive: le mura assire di nuovo sotto attacco

Alcune immagini postate dalla collega irachena Layla Salih e riprese da Omar Mohammed (Mosul Eye) mostrano una nuova e recentissima distruzione delle fortificazioni di Ninive edificate dal sovrano Sennacherib nell’VIII-VII sec. a.C. Si vedono le ruspe dei contractors che in pieno giorno affondano le loro pale negli strati archeologici delle mura urbiche già spianati dallo Stato Islamico nel 2015 e nel 2016. È probabile che l’azione invasiva sia mirata a recuperare terra di riporto per le ricostruzioni che stanno avvenendo nell’area limitrofa di Mosul. Il Dipartimento di Antichità di Ninive nega l’evidenza sostenendo che si tratta di un area non archeologica. Ma le foto parlano chiaro.


Foto: https://www.facebook.com/MosulEyee/

Come potevamo criticare l’IS per l’efferatezza delle devastazioni se oggi la speculazione edilizia e l’ignoranza portano a emulare le azioni dei terroristi? Si deve fermare lo scempio al più presto!


20 settembre 2018

“Revive the spirit of Mosul”
Conferenza Unesco a Parigi sulle ricostruzioni in Iraq

Dopo la recente conferenza del 10 settembre a Parigi nel quartier generale dell’Unesco potremmo forse guardare con maggiore speranza e trepidazione all’inizio delle tante agognate ricostruzioni del tessuto culturale e sociale di Mosul, la seconda città irachena, e delle aree del nord dell’Iraq occupate dallo Stato Islamico dal 2014 al 2017. Il Rivive the Spiriti of Mosul, l’iniziativa lanciata dall’Iraq e dall’Unesco lo scorso febbraio, dovrebbe concretizzarsi in azioni sul campo, pur nella difficoltà di operare in un’area di forti tensioni etniche e confessionali, senza un governo centrale e con una lenta ma continua rinascita di cellule jihadiste.

La nuova direttrice dell’Unesco Audrey Azoulay, citando l’endemico strazio del paese cantato sin dall’inizio del Novecento da Badr Shakir Al-Sayyab (1926-1964) uno dei massimi poeti iracheni, si impegna nel progetto di ricostruzione della Grande Moschea Jama’ an-Nuri e del minareto pendente al-Hadbā (sponsorizzato con 50,4 milioni di dollari dagli Emirati Arabi Uniti) e contestualmente parla di una “ricostruzione del principale suq cittadino, della biblioteca universitaria bruciata dall’ISIS, di due chiese cristiane e un tempio yazida”.

Gli altri donatori citati sono: “L’Unione Europea, Giappone, Ungheria, Corea, Kuwait, Spagna, e altre nazioni, così come l’Arab League Educational, Cultural and Scientific Organization (ALECSO), l’Islamic Educational Scientific and Cultural Organization (ISESCO) e l’Alliance for the Protection of Heritage in Conflict Areas (Aliph) che ha annunciato un progetto di riabilitazione del Museo di Mosul”.


Foto Unesco

Al di là delle buone e lodevoli intenzioni, non mancano ombre e contraddizioni. L’iniziativa parte certamente in grave ritardo essendo stata annunciata sin dallo scorso febbraio 2018. Inoltre non vengono indicate le somme in denaro messe a disposizione dai vari stati membri, solo l’Italia ha specificato di volere investire due milioni di dollari per le ricostruzioni.

Meritoriamente si parla di investire su educazione e cultura, ricostruendo anche il sistema scolastico e universitario scardinato dai tre anni del Califfato, ma non vengono specificate modalità e tempi di intervento. Interessante l’idea del ripristino del Museo di Mosul, il secondo per importanza dell’Iraq dopo quello di Baghdad, ma per quale motivo non si è ancora contattato gli archeologi e gli specialisti che hanno redatto le stime dei danni e l’inventario delle gallerie distrutte (si veda, tra gli altri, il catalogo della galleria assira stilato dal sottoscritto nel 2016)?

Più grave: manca a oggi una stima generale dei danni, nessuna ricognizione sistematica è stata eseguita per valutare la situazione di musei e siti archeologici colpiti. Si vedano le capitali assire: dell’acropoli principale di Ninive, il tell Kuyunjik, non si sa nulla dopo le distruzioni dei palazzi sud-ovest e nord edificati nell’VIII-VII secolo a.C. rispettivamente da Sennacherib e Assurbanipal; per tacere di Assur e di Khorsabad o dell’ellenistica Hatra di cui non si hanno notizie da mesi. Inoltre non sono stati messi in sicurezza edifici storici come la Chiesa dell’Orologio (Kanisat al Sa’a) rimasta per oltre un anno in stato di crollo nel centro di Mosul, quando con poche migliaia di dollari si sarebbe potuto intervenire.

La deontologia professionale suggerirebbe di procedere prima con tali valutazioni e solo in seconda battuta mettere in atto un Master Plan globale di recupero del patrimonio. Manca una visione d’insieme e un progetto guida che coordini i vari interventi. Si ha piuttosto l’impressione che si raccolgano fondi ad hoc per risanare questo o quel monumento a seconda delle preferenze dei vari stati donatori.

Come ammesso dalla stessa nuova direttrice: “La ricostruzione di una città della rilevanza di Mosul è un modo per riaffermare la credibilità dell’Unesco e dimostrare come un consenso multilaterale può essere ristabilito”. L’allusione è agli scontri tra gli stati membri in seno all’ente delle Nazioni Unite per ragioni geopolitiche, che hanno portato Israele e gli Stati Uniti a revocare l’adesione all’Unesco considerata come “anti-israeliana”. Una credibilità che comunque è stata messa in discussione dall’impossibilità di difendere e tutelare il patrimonio culturale nel caso delle distruzioni terroristiche di Siria e Iraq e soprattutto dalla scarsa visione nelle ricostruzioni.


30 agosto 2018

Siria e Iraq: tra ricostruzione e distruzione

SIRIA
Da Palmira ad Afrin

Nei due paesi sconvolti dalle distruzioni dello Stato Islamico e dalla guerra le ricostruzioni stentano a partire e le stime dei danni sono disastrose.

In Siria, la notizia trionfalistica di questi giorni è la “riapertura ai turisti del sito di Palmira entro l’estate 2019”. Lo ha riferito Talal Barazi, il governatore provinciale di Homs (regione dove è ubicato il sito patrimonio Unesco) riferendo che “il governo siriano ha varato un piano di ricostruzione del sito” distrutto intenzionalmente dallo Stato Islamico (IS) tra il maggio 2015 e il marzo 2017.

Con la direzione dell’Unesco e sotto l’egida del Palmyra Fund coordinato dagli alleati russi, il progetto, che si avvale anche degli esperti italiani dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, utilizzerà le tecnologie digitali e le stampanti 3D, come dimostra il recente rilevamento con laser scanner del portico del tempio di Bel, miracolosamente rimasto in piedi dopo l’esplosione del 30 agosto 2015 e ora in stato di urgente consolidamento (il costo è di 150.000 dollari).


Distruzione del tempio di Bel a Palmira, con il portico ancora in piedi.

A circa 2 miliardi di dollari ammonterebbe l’intervento di rispristino del centro storico di Homs, in particolare il suq con il tessuto urbano ellenistico-romano, distrutto dalla guerra e dall’IS, dov’era l’antica città di Emesa, fiorente centro carovaniero collegato a Palmira.

Nell’area di Afrin, nel nord della Siria, continua intanto la campagna di epurazione dei curdi e delle altre minoranze della regione da parte del governo di Ankara. Vanno segnalate le distruzioni dei santuari funerari yazidi di Sheikh Zaid e di Sheikh Junayd da parte della Free Syrian Army supportata da milizie turche che avrebbero anche distrutto la tomba del rivoluzionario curdo Nuri Dersimi, morto nel 1973 e seppellito nel cimitero della moschea di Henan, noto luogo di pellegrinaggio interreligioso perché considerato il cenotafio di un fratello del biblico re Davide.


Distruzione della tomba di Sheikh Zaid.


Nelle foto sopra e sotto: distruzione della tomba di Sheikh Junayd.

IRAQ
Ricostruzione della Moschea al-Juwayjati a Mosul

La situazione in Iraq è decisamente più grave. Mancano piani di ricostruzione effettuati dallo stato, ma sono solo le iniziative della società civile a portare avanti la ricostruzione. Per esempio, l’ennesima sfida vinta dagli abitanti di Mosul è il restauro della storica Moschea al-Juwayjati fatta edificare nel 1625 da Haj Abdullah al-Jweiji, contenente una delle più antiche biblioteche irachene. Anche l’area dei suq del settore ovest della città, quasi completamente distrutto dai bombardamenti alleati, è stata in parte ricostruita dai proprietari che tornano ad aprire i ricchi mercati cittadini.


Restauro della storica Moschea al-Juwayjati.

L’Unesco, come avevo riferito, lavora alla riabilitazione della Moschea Jama’ an-Nuri al-Kabir e del minareto pendente al-Hadbā. Sotto mia sollecitazione era stato promesso un intervento urgente per mettere in sicurezza il campanile ottocentesco della Chiesa dell’Orologio, icona della cristianità di Mosul, in stato di crollo ormai da più di un anno, A oggi non abbiamo più avuto notizie sulla messa in sicurezza del monumento.

 

Conclusioni

Nonostante la guerra nell’area settentrionale del paese, le ricostruzioni in Siria sono decisamente più efficaci perché gestite e pianificate dal governo centrale.

Tuttavia permane la preoccupazione di vedere la propagandistica rinascita di Palmira o di altri siti storici come Aleppo riedificati proprio da chi ha contribuito a distruggerli (per esempio, edificando basi militari come quelle siriane e russe a Palmira), e per di più senza un piano di riabilitazione dei tessuti urbani che permetta alle popolazioni di tornare a vivere nella vicinanza dei siti archeologici.

A che serve rimettere a nuovo Palmira nell’assenza dei suoi abitanti fuggiti ormai da tempo in Turchia e che non possono farvi ritorno perché le case, le scuole, gli ospedali e le infrastrutture sono distrutte? Palmira è rivestita a nuovo ad uso e consumo dei turisti occidentali.

Nel nord dell’Iraq la situazione è critica. Non esiste un progetto globale di restauro e manca un censimento dei danni non solo per quanto riguarda Mosul ma anche per i numerosi siti archeologici della regione, dalle capitali assire a Hatra, la splendida città ellenistico-partica della Jazira dove gli ispettori dell’Unesco non sono ancora nemmeno riusciti a entrare.

L’Iraq è oggi in presenza di laceranti tensioni etnico-confessionali, con le varie minoranze divise tra di loro e senza un intervento da parte dello stato finalizzato a creare un tessuto sociale coeso. Una situazione di eventi assai fluida che favorisce la rinascita di cellule terroristiche dell’IS in varie aree della piana di Ninive. L’Iraq diviso non potrà uscire dal terrorismo!

Si vedano https://news.artnet.com/art-world/syria-isis-palmyra-restoration-1338257, e ASOR, May 2018 Monthly Report


7 luglio 2018

IRAQ
Salviamo la chiesa dell’Orologio a Mosul!

Prima di delineare alcune linee guida e considerazioni per una ricostruzione dei luoghi distrutti dallo Stato Islamico in Siria e Iraq, una ricostruzione che sia socialmente utile e onnicomprensiva, e non miri semplicemente al “restauro commerciale” e decontestualizzato di questo o quel gioiello culturale, mi preme denunciare quanto segue.

Mi pare ovvio, e di buon senso, che la messa in sicurezza di strutture e monumenti storici in stato di crollo debba essere prioritaria rispetto ai seppur utili interventi di ricostruzione e restauro che starebbero per partire in questi mesi. Eppure non sembra essere così.

Esempio emblematico è la celeberrima chiesa cattolica Kanisat al-Sa’a, conosciuta come la chiesa dell’Orologio, o la chiesa di Nostra Signora dell’Ora, nel quartiere omonimo del centro storico di Mosul. Edificata dai padri domenicani nel 1862-1873, presenta una struttura a due navate su cui si impostano due splendide cupole e decorazioni di marmi pregiati e vetrate colorate. Nel 1882 l’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, fece dono alla chiesa del campanile dell’Orologio, come riconoscimento all’infaticabile opera missionaria svolta dai domenicani durante un’epidemia tifoidea a Mosul. Negli stessi anni veniva anche donata una replica della grotta di Lourdes con la statua della Madonna dei Miracoli.

Questo monumento straordinario, poco conosciuto in Occidente, ma estremamente significativo per i cristiani di Mesopotamia, sta crollando. La chiesa e la Torre dell’Orologio hanno patito i colpi inferti dai terroristi di al-Qaida nel 2006 e nel 2008, prima che l’ISIS nel 2015 li trasformasse in una base militare e nel campo di addestramento Saad al-Ansari, come mostrano i graffiti e gli oggetti trovati nel seminterrato dell’edificio. I bombardamenti americani e iracheni hanno creato ulteriori danni.

Come mostrano le immagini tratte dai media   al-Mosuliya e da al-Aan Arabic Television nell’agosto 2017, danni rilevanti e strutturali si registrano nella corte colonnata e nell’area dell’altare, mentre il bellissimo campanile di 27 metri di altezza presenta uno squarcio nella parte basale che potrebbe determinarne il crollo da un momento all’altro.

Archeologia e beni culturali minacciati guerra ISIS
La chiesa dell’Orologio: il cortile interno distrutto dai bombardamenti americani

Ingresso della chiesa con segni di colpi di mortaio
Ingresso della chiesa con segni di colpi di mortaio

Archeologia e beni culturali minacciati guerra ISIS
Archeologia e beni culturali minacciati guerra ISIS
Nelle due foto sopra:
L’interno della chiesa in stato di devastazione, con la cupola ancora in piedi

La chiesa dell’Orologio: l’altare distrutto dall’ISIS
La chiesa dell’Orologio: l’altare distrutto dall’ISIS

Il mio appello si aggiunge a quello dell’amico Omar Mohammed, il celebre storico e blogger “Mosul Eye”, che recentemente ha postato la foto del campanile in stato di crollo:

appello di Omar Mohammed

Latin Church’s Tower is about to collapse, it requires an immediate action or we will lose it forever. Save the Heritage of Mosul.

https://www.facebook.com/MosulEyee/photos/a.552572524864254.1073741828.552514844870022/1642606269194202/?type=3&theater

Il campanile dell’Orologio in stato di crollo in una foto da Mosul Eye
Il campanile dell’Orologio in stato di crollo in una foto da Mosul Eye

Una breve conversazione con alcuni ingegneri italiani, mi ha confermato quanto pensavo: non è difficile né particolarmente dispendioso affittare un semplice ponteggio (alcune decine di migliaia di dollari) per ingabbiare il campanile e impedirne il crollo in attesa di un intervento di restauro. Si tratta di un intervento urgente e assolutamente necessario che ci permetterebbe di salvare con poche spese un altro monumento simbolo di Mosul, pari per importanza ad al Hadba, il minareto pendente distrutto dai jihadisti.

I restauri possono aspettare, prima salviamo quello che sarà perso per sempre!

Si veda anche: http://www.asor-syrianheritage.org/incident-report-feature-al-saa-clock-church/


4 giugno 2018

SIRIA e IRAQ
Ricostruzione: l’altra faccia della distruzione senza visioni del futuro

A poco meno di un anno dalla liberazione di Siria e Iraq dalle maglie del terrorismo, i progetti di ricostruzione stentano a partire, indubbiamente a causa della mancanza di fondi e finanziamenti adeguati e per la portata apocalittica delle devastazioni.

Tuttavia, il vero problema è un altro. Osservando il quadro generale dei primi timidi interventi, una dato è ancora più allarmante: la mancanza di un piano unitario, di una visione globale, o, per dirla con l’antropologo Marc Augé, di “un’utopia della cultura”, che ci permetta di uscire dal buio di singoli, decontestualizzati e spesso propagandistici tentativi, al fine di progettare un futuro di ricostruzioni che sia di rigore filologico e in armonia con le aspettative delle comunità locali. Dalla disamina di alcuni casi di ricostruzione, si avverte subito la mancanza di un Master Plan.

Prendiamo la Siria. Vanno lodate, per esempio, le iniziative finanziate dall’Aga Khan Trust for Culture di riparare i danni occorsi nel 2013 alla Grande Moschea ommayade di Aleppo, gioiello dell’architettura islamica dell’inizio dell’VIII sec., e di riedificare il minareto selgiuchide del 1094, patrimonio mondiale dell’umanità. Si veda l’intervista con i responsabili dei lavori:

https://www.raiplayradio.it/audio/2018/02/RADIO3–MONDO-5153ead2-051e-4c42-ade7-f3f06bcb616c.html

Sempre ad Aleppo, la società civile si è mobilitata per l’iniziale ripristino del Khan Uch Khan, uno dei principali caravanserragli di età mamelucca (1500), il restauro della moschea ottomana di Bahramiya, e di alcuni suq storici, come il Suq Wara al-Jame vicino alla cittadella.


Aleppo (2017-2018): inziali lavori di ripristino nella Grande Moschea ommayade. (Foto Aleppo Glory, 2017)


Nelle due foto sopra
Aleppo (2017-2018): restauro della facciata con iscrizioni del Khan Uch Khan di età mamelucca (c. 1500).
(Foto Private Facebook Account, 2017)


Aleppo (2017-2018): restauro della moschea ottomana di Bahramiya (1583).
(Foto Private Facebook Account, 2017)


Aleppo (2017-2018): iniziale recupero del Suq Wara al-Jame in prossimità della cittadella.
(Aleppo Glory, 2017)

Inoltre, il DGAM (Dipartimento di Antichità siriano), di concerto con l’Unesco, ha iniziato i lavori di ripristino del poderoso ingresso fortificato della cittadella medievale di Aleppo impiegando maestranze locali, e ha già restaurato (come riferito in un precedente aggiornamento) la mastodontica statua del leone guardiano attributo della dea panaraba Allat distrutto dall’IS a Palmira. A Palmira si è effettuato il rilevamento con laser scanner della porta del tempio di Bel per il suo consolidamento.


Aleppo (2017-2018): intervento di restauro della scalinata di ingresso della cittadella (Foto DGAM 2017)

 

In Iraq, le iniziative della società civile sono importanti, anche se il governo iracheno non ha per ora pianificato nessuna ricostruzione. Nella piana di Ninive i cristiani hanno riedificato, tra gli altri, la chiesa moderna di al-Tahira a Qaraqosh e il monastero medievale di Mar Gorgis nei pressi di Mosul; mentre avevamo già riferito dei restauri dei templi yazidi.

Nelle tre foto sopra
2017-2018: riabilitazione, con l’aiuto degli abitanti musulmani, del Monastero di Mar Gorgis a Mosul. Fondato nel X sec. dalla Chiesa Assira e ricostruito nel 1846 dalla Chiesa cattolica caldea.

A Mosul, studenti e docenti hanno iniziato a riabilitare la prestigiosa Università cittadina fondata nel 1967 e hanno messo in salvo 86 mila volumi della Biblioteca Universitaria bruciata dai jihadisti.

Conclusioni

Come si evince da questo breve e incompleto elenco, si tratta di iniziative sporadiche e individuali, tendenzialmente mirate a restaurare specifici monumenti, generalmente assai noti al pubblico internazionale. Raramente si riscontra un intervento diretto statale e un coordinamento generale da parte dell’Unesco (…da lodare per Aleppo) che avrebbe il compito di redigere, in sinergia con le autorità locali, le liste di priorità, le modalità di intervento e definire le linee guida nei singoli scenari. È chiara dunque la mancanza di una visione globale di recupero e restauro che si occupi del ripristino del tessuto urbano nel suo complesso.

Non solo, a dimostrazione delle ingerenze politiche sugli interventi culturali e sulla nuova “competizione della ricostruzione”, nel marzo 2018 il Dipartimento di Antichità siriano ha siglato con gli alleati russi l’accordo sulla ricostruzione di Palmira (il Palmyra Fund) e degli altri siti siriani.

Nel prossimo aggiornamento, qualche idea e visione di possibili ricostruzioni.

Si veda ASOR Cultural Heritage Initiatives per le immagini e per le informazioni fornite sui restauri.


25 aprile 2018

IRAQ
Mosul: la ricostruzione della Grande Moschea Jama’ an-Nuri e del minareto pendente al-Hadbā

Sfide e problemi

Gli Emirati Arabi Uniti hanno sponsorizzato la ricostruzione della celebre moschea, tristemente nota per avere ospitato la proclamazione della nascita del Califfato dell’IS da parte di Abu Bakr alBaghdadi il 29 giugno 2014.
Era stata distrutta insieme al minareto pendente dai jihadisti il 21 giugno 2017, pochi giorni prima che le forze irachene liberassero il centro storico di Mosul dalle maglie del terrorismo.

Dopo la recente visita ufficiale a Baghdad e l’intesa con il governo iracheno da parte del ministro della Cultura degli Emirati Noura Al Kaabi, sono stati donati all’Unesco 50.4 milioni di dollari per ricostruire integralmente sia la moschea sia il minareto. La Grande Moschea, edificata dalla dinastia zenghide nel 1172 con una corte centrale e una splendida sala di preghiera ipostila, venne in seguito ricostruita da Safavidi (1511) e Ottomani (1864) alterandone la struttura originaria sino alla completa ristrutturazione moderna del 1942.

Sebbene prendesse il nome dall’emiro zenghide Nūr al-Dīn, il Norandino vincitore delle crociate, fu un capo tribale locale, tale Mui’ynu-Din Omar Al-Mawsilli, conosciuto anche come Al-Malla’a Al-Mawsilli, che ne decretò la costruzione con il semplice consenso del primo. L’idea era di sfatare la leggenda popolare, che vedeva in quel sito abbandonato e colmo di rovine, ubicato nei pressi del mercato, un segno inequivocabile di maledizione, costruendo una moschea e un minareto. La moschea venne chiamata sino all’800 Sheikh Omar Al-Malla’a dal nome del suo fondatore.

È stata quindi la retorica jihadista che in età moderna ha reinventato la connessione con la dinastia zenghide, e con Norandino in particolare, al solo fine di promuovere la causa islamista dello scontro con i “crociati” e il cristianesimo. Una retorica ripresa oggi dallo Stato Islamico.

Il minareto pendente, di 48 metri di altezza, manteneva la sua struttura medievale originaria e il bellissimo intreccio di mattoni arabescati. Ancora più della moschea, il minareto era un’icona di Mosul, amata da tutti i suoi cittadini. Figurava sulle banconote irachene da 10.000 dinari, ed era oggetto di leggende popolari che ravvisavano nell’inclinazione un atto di ossequio al miracoloso viaggio celeste del Profeta Muhammad narrato nel Corano. La sua inclinazione, dovuta in realtà all’effetto di plasticizzazione della malta gessosa di legante dei mattoni, sottoposta all’urto dei venti, venne parzialmente contenuta con l’inserimento di “pali-radice” nel 1974 su progetto del Centro Scavi di Torino.


Nelle due foto: Mosul, la Grande Moschea Jama’ an-Nuri e il minareto “gobbo” al-Hadbā prima e dopo la distruzione il 21 giugno 2017.

Il significato storico

Contrariamente a quanto viene scritto da giornalisti e studiosi occidentali, che favoriscono inconsapevolmente la retorica jihadista, la Grande Moschea con il suo minareto, situati nel cuore storico dell’area dei mercati di Mosul, non rappresentano simboli di scontro tra fedi diverse. Sono diventati invece l’emblema della rinascita della città, dove nei secoli si sono patrocinate le arti, la letteratura e le scienze, luoghi in cui assistenza sociale e opere caritatevoli venivano elargite a tutte le sette religiose ed etnie senza discriminazione alcuna.

Lo storico e architetto locale Ahmad Qasim Juma ci suggerisce che “Mosul senza al-Hadbā è come un corpo senza il cuore”, esso rappresenta il senso di appartenenza e perseveranza nella storia di tutti gli abitanti di Mosul, non solo musulmani ma anche cristiani, yazidi, turcomanni, ecc. Solo pensando a Mosul in termini di unità culturale si può iniziare a ricostruire in maniera veramente filologica.

Come ricostruire? Non come vorrebbe l’Unesco!

Ahmad Qasim Juma è in possesso dei progetti e delle planimetrie originali e delle loro copie cianografiche che sono state depositate presso l’Unesco Iraq dall’ingegnere Mohammad Taib Al-Laila. Si potrebbe ricostruire anche in un anno. Tuttavia, l’intervento di ricostruzione (pianificato in cinque anni) deve essere valutato attentamente, si tratta di una sfida ma al tempo stesso di un segnale che viene dato alle popolazioni locali e al mondo perché è un patrimonio che appartiene all’intera umanità.

Mi sembra corretto e ragionevole il seguente protocollo, aderente al significato originario del monumento:

  • i primi mesi di lavoro devono essere dedicati al censimento dei danni;
  • quindi alla raccolta e schedatura dei materiali lapidei e laterizi recuperabili;
  • alla loro messa in sicurezza per evitare lo sciacallaggio che sta già colpendo il centro storico cittadino;
  • quindi si deve ricostruire integrando i materiali originali con nuovi materiali fabbricati appositamente da maestranze specializzate, impiegando cave e fornaci locali compatibili con la struttura di base.

Purtroppo, Giovanni Antonelli, consulente dell’Unesco, ha recentemente annunciato che l’intenzione è quella di “costruire una copia attigua al minareto” (con un museo della memoria nelle vicinanze), anziché riedificarlo partendo dalle fondazioni e dai resti dell’elevato che sono ancora in situ. Né risulta chiaro se si voglia mantenerne l’inclinazione strutturale di 2,4 metri, che rappresenta la quintessenza del significato storico del monumento.

Un errore gravissimo, ritengo, dal momento che di tutto abbiamo bisogno meno che di un’altra disneyficazione di un sito emblematico dell’Iraq. Auspichiamo che al-Hadbā non diventi un altro sconcertante modello come, per esempio, la riedificazione saddamiana della Porta di Ishtar a Babilonia. Sarebbe tradire per l’ennesima volta i cittadini di Mosul, che sognano di potere ammirare di nuovo l’imperfetta inclinazione di un gioiello dell’arte islamica. Lasciamoli sognare!


Particolare della distruzione di al-Hadbā

Si veda Mosul Eye e anche:
https://www.thenational.ae/world/mena/uae-funds-rebuilding-of-mosul-s-al-nuri-mosque-and-historic-minaret-1.724106


25 marzo 2018

SIRIA
La Turchia bombarda Brad, sito patrimonio UNESCO nel nord della Siria

Con questo allarmante titolo si apre il rapporto del nuovo direttore del Dipartimento di Antichità siriano Mahmoud Hamoud, pubblicato sulla pagina ufficiale del Dipartimento (DGAM). Se confermata da immagini la notizia è gravissima.

Il sito romano e bizantino è l’antica Kaprobarada, a circa quindici chilometri a sud di Afrin, l’enclave curda della federazione del Rojava conquistata il 17 marzo scorso dalle armate turche nell’operazione “Ramo d’Ulivo”, che in realtà è mirata ad eliminare la presenza delle forze democratiche curde (conosciute anche come Forze Democratiche Siriane), quelle stesse che avevano liberato Kobane e Raqqa dai terroristi dell’ISIS. Forse ce lo siamo dimenticati?

Secondo il comunicato, i bombardamenti avrebbero colpito la celeberrima cattedrale di Julianos (dal nome dell’architetto che la progettò), una delle più antiche e imponenti chiese cristiane della Siria del IV secolo, con tre navate (36 x 22 m) e un bema; nonché la vicina tomba di San Marone, il monaco ed eremita siriaco padre della congregazione che ha dato origine alla formazione della Chiesa maronita.


La Cattedrale di Brad vista dall’interno (IV sec.).

Il sito fa parte degli otto parchi archeologici che compongono gli antichi villaggi del nord della Siria dichiarati patrimonio mondiale dell’Umanità nel 2011 “per la rimarchevole testimonianza della vita rurale durante la tarda antichità e il periodo bizantino, dal I al VII secolo dell’era cristiana”. Brad comprende anche altri eccezionali chiese e monasteri del VI secolo di cui non conosciamo la sorte, come la Chiesa Nord, la Chiesa Sud-Ovest e il Convento, ma anche rilevanti resti di età romana, come bagni, residenze private e tombe romane del II-III sec. d.C.

Tuttavia, una nota dell’arcivescovo maronita di Aleppo Joseph Tobji smentisce la distruzione della tomba di San Marone, ma non si pronuncia sulle condizioni degli altri monumenti, ammettendo il bombardamento di alcune aree residenziali.


La cappella della tomba di San Marone (IV-V sec.), scoperta nel 2002 da una missione archeologica francese, centro di pellegrinaggio dei cristiani maroniti.

Se nella mancanza di immagini non possiamo fornire giudizi conclusivi, rimane evidente che la devastante campagna militare della Turchia nell’Afrin in Siria, che ha già visto gli attacchi al tempio neoittita di Ayn Dara, ai monumenti ellenistico-romani e bizantini di Cyrrhus e islamici a Jindaris, violi il diritto internazionale e la Convenzione dell’Aja del 1954 «per la protezione dei Beni Culturali in caso di conflitto armato».


La Chiesa nord con decorazione curvilinea sopra le finestre (VI sec.).

A questo riguardo, il Dipartimento di Antichità siriano stigmatizza la mancata presa di posizione dell’Unesco e lo invita “ad espletare il suo compito etico e umanitario di condanna di fronte al mondo della continua aggressione turca dei siti del patrimonio archeologico siriano”. Un’ aggressione mirata che vorrebbe annientare la memoria storica del paese. Ma nell’ennesima mancata risposta dell’Unesco, che appare oggi del tutto inadeguato nel difficile compito di difendere il patrimonio dell’umanità, sembrano potersi leggere emergenti conflitti di interesse con gli stati membri.

Fonti di riferimento:

DGAM http://www.dgam.gov.sy/?d=314&id=2384
Asianews.it http://www.asianews.it/news-en/Saint-Maron%26rsquo%3Bs-tomb-has-not-been-destroyed%2C-Aleppo-bishop-says-43445.html
Romeartlover.tripod.com   http://romeartlover.tripod.com/Brat.html


2 marzo 2018

IRAQ
Mosul e Ninive: Tell Nebi Yunus ancora in pericolo

Abbiamo preoccupanti informazioni del perdurante stato di degrado e mancanza di protezione dei principali siti archeologici e monumenti storici di Mosul e della piana di Ninive che, a oltre sette mesi dalla liberazione, non sono ancora stati messi in sicurezza.

In particolare, un nuovo filmato mostra l’attuale stato di devastazione del Tell Nebi Yunus: si vedono le macerie della moschea di Giona (XIV sec. – età moderna) fatta esplodere dai jihadisti dell’IS nell’estate 2014 sull’acropoli dell’antica capitale assira di Ninive, e le rovine del palazzo assiro di Sennacherib ed Esarhaddon (VIII-VII sec. a.C.) – situato sotto i resti della moschea distrutta – saccheggiato dagli islamisti prima della liberazione di Mosul.
Il filmato indugia sui cunicoli scavati dall’IS all’interno della reggia assira e sulle spettacolari sculture dei tori alati androcefali e i pregevoli rilievi di divinità femminili che per pura fortuna i jihadisti non sono riusciti a trafugare.

Inoltre, nella città vecchia di Mosul, mentre marmi scolpiti, intonaci e stucchi arabescati vengono costantemente depredati dalle macerie del centro storico, speculatori senza scrupoli stanno distruggendo con bulldozer quel poco che resta del tessuto urbano medievale e ottomano (già pesantemente bombardato dalle forze americane nella guerra di liberazione) al fine di edificare centri commerciali, grattacieli e strutture alberghiere.

Mi unisco quindi agli appelli del collega iracheno Ihsan Fethi e di Omar Mohammed (Mosul Eye) all’Unesco, e in particolare alle forze irachene e americane, affinché si ponga fine a questo scempio e si intervenga a difendere i monumenti e i siti di importanza storica.

Video e immagini da:
https://www.facebook.com/MosulEyee/videos/vb.552514844870022/1528110573977106/?type=3&theater


Le macerie della moschea del profeta Giona (Nebi Yunus) fatta esplodere dall’IS nel luglio 2014 come appaiono oggi a oltre sette mesi dalla liberazione di Mosul e Ninive.


Lastra con divinità femminili scavate dall’IS nei tunnel sotto la moschea di Giona distrutta dove si trova la reggia assira.


28 gennaio 2018

SIRIA
Distrutto il tempio di Ayn Dara

È giunta notizia, confermata da eloquenti immagini, della distruzione del celebre tempio neo-ittita dell’età del Ferro di Ayn Dara, un sito di incredibile rilevanza archeologica ubicato nella valle del fiume Afrin a una sessantina di chilometri a nordovest di Aleppo.

Sembra che il sito sia stato bombardato e parzialmente distrutto dalle recenti operazioni militari della Turchia sul suolo siriano contro le forze curde dell’YPG (alleate delle Forze Democratiche Siriane), considerate da Ankara milizie terroristiche. Le immagini mostrano ingenti macerie, anche se molti pezzi della decorazione scultorea sono ancora in situ.

Ubicato nell’antica città di Kinalwa, capitale dello stato di Pattina, il tempio si trovava sull’acropoli principale, il cui ingresso era protetto da due grandi leoni di basalto con funzione apotropaica, il rinvenimento di uno dei quali permise la scoperta del sito nel 1955.

Le rovine del tempio, che si sviluppano in tre fasi dal XIII all’VIII sec. a.C., sono eccezionali: la struttura colonnata a bit hilani, con portico d’entrata, antecella e cella, con vaghe assonanze al tempio salomonico, si arricchisce di una decorazione scultorea di ortostati a doppia treccia e di monumentali leoni e sfingi alate posti a guardia dei principali passaggi e ambienti.

Gigantesche impronte di piedi (97 x 31 cm) sono scolpite sul pavimento dell’ingresso, forse a simboleggiare processioni di dèi o esseri sovrumani. La presenza dei leoni – animale attributo della dea dell’amore e della guerra Ishtar – sembra connessa al culto di questa divinità assai popolare in tutto il Vicino Oriente antico.

Il video della distruzione è pubblicato da Ajansa Hawar: https://youtu.be/reflajK9Cjk


Foto sopra: leone guardiano in basalto rinvenuto nel 1955.
Foto sotto: due leoni in posizione araldica sulla parete esterna del tempio prima della distruzione.
(Fotografie: Verity Cridland derivative work: Materialscientist at en. Wikipedia)



Il tempio di Ayn Dara prima e dopo la distruzione del 20-22 gennaio 2018.
(Foto Joanne Farchakh Bajjaly e Syrian Observatory for Human Rights)


Le immagini della distruzione del tempio di Ishtar ad Ayn Dara: particolare degli ortostati a doppia treccia dell’antecella.
(Foto resa disponibile da Joanne Farchakh Bajjaly)


23 gennaio 2018

IRAQ
Sarà Mosul. La sfida della ricostruzione che non parte

A sette mesi dalla liberazione di Mosul dalle milizie islamiste dell’IS la città vecchia medievale e tardo ottomana, sulla sponda occidentale del fiume Tigri, appare ancora come un ammasso di rovine, un involucro informe di macerie e cadaveri. Si sta ancora scavando per liberare i corpi delle povere vittime civili, oltre 10.000 secondo stime dell’Osservatorio dei Diritti Umani, contrariamente alle “poche centinaia” contate dalle forze militari alleate.

In uno scioccante video della BBC, di cui forniamo qui il link, si vede solo desolazione e rovina. Ma in un video pubblicato da Mosul Eye appare anche l’intervento di giovani volontari che, per esempio, hanno ripulito la scuola cristiana caldea di Shamoon Al-Safa attigua alla chiesa omonima edificata nel 1880.

È assolutamente necessario un urgente intervento a livello internazionale per coordinare un progetto di sgombro delle macerie e di ricostruzione delle principali infrastrutture, altrimenti nessuno ritornerà in una città fantasma senza luce, acqua, gas, assistenza sanitaria ecc.

Sul versante orientale di Mosul, l’area in cui si trova l’antica Ninive, la situazione è decisamente migliore: centinaia di giovani volontari hanno liberato le macerie dalle strade, dalle piazze e dalle scuole, hanno collaborato a ricostruire i ponti, e soprattutto hanno riabilitato la prestigiosa università cittadina dove le lezioni sono regolarmente iniziate e si sono tenuti gli esami di fine semestre. I quartieri sono brulicanti di vita, con attività commerciali, ristoranti aperti e servizi. Tuttavia nel quartiere del mercato di Sumer è saltata la rete delle tubature dell’acqua senza che le autorità locali intervenissero.

Alle lodevoli iniziative della società civile non corrisponde purtroppo un concreto e tangibile intervento dello stato e del governo centrale di Baghdad che non ha ancora pianificato nessuna ricostruzione.

Ecco il video della BBC e di Mosul Eye:
https://www.facebook.com/MosulEyee/videos/vb.552514844870022/1488871931234304/?type=2&theater

https://www.facebook.com/MosulEyee/videos/vb.552514844870022/1492515330869964/?type=2&theater


Nella foto sopra vediamo alcuni giovani volontari che ripuliscono la scuola della chiesa caldea di Shamoon Al-Safa. nel centro storico di Mosul.


1 gennaio 2018

IRAQ
Mosul festeggia il nuovo anno: un segno di rinascita dopo l’ISIS

Su quelle stesse strade, su quei vicoli tortuosi del centro storico di Mosul dove solo pochi mesi fa l’ISIS uccideva brutalmente la popolazione, decapitava e stuprava chi osava sfidare il califfato, oggi si festeggia il Nuovo Anno sperando in un futuro migliore e in una rinascita. La vita che prevale sulla morte.

L’auspicio è che la gioia di Mosul liberata sia foriera di Pace e Felicità in tutta l’area del Medio Oriente segnata da guerre e lotte intestine.

Auguri Mosul!

Ecco il video dei festeggiamenti pubblicato da Mosul Eye:
https://www.facebook.com/MosulEyee/videos/vb.552514844870022/1470715506383280/?type=2&theater
http://www.dailymail.co.uk/news/article-5226081/New-Years-Eve-fireworks-Mosul-ISIS-defeat.html


28 dicembre 2017

SIRIA
Ebla ancora colpita dai bombardamenti siriani e russi

Il regime siriano sta continuando la guerra per la liberazione finale dell’area nord-occidentale della Siria in mano a gruppi dell’opposizione e in particolare alle milizie jihadiste guidate da Hay’at Tahrir al-Sham (già Fronte al-Nuṣra).

Nei precedenti attacchi nell’area di Idlib sono emersi alcuni video e immagini del Syrian Civil Defense-Idlib Governorate e del gruppo Aleppo Archaeology che mostrano i devastanti effetti dei raid aerei dell’aviazione russa e siriana sull’importantissimo sito archeologico di Ebla (Tell Mardikh).
Le immagini (del 23 e 25 settembre 2017) mostrano un cratere e danni alle strutture architettoniche di alcuni palazzi. In alcuni casi si tratta di murature in crudo in parte ricostruite dagli archeologi.

Il sito di Ebla riveste un significato speciale, non solo per il rinvenimento nel 1975 degli archivi reali con oltre sedicimila tavolette cuneiformi. Della città protosiriana e amorrea del III-II millennio a.C. – scavata dall’archeologo Paolo Matthiae dell’Università di Roma “La Sapienza” – sono note rilevanti aree palaziali e templari stanziate in un insediamento subcircolare di circa sessanta ettari, munito di fortificazioni turrite e di un’acropoli che purtroppo si prestano a essere utilizzate come basi dai jihadisti.

Si veda: https://www.youtube.com/watch?v=KpiSIoZwaMs
https://www.facebook.com/aleppoarchaeology/posts/1550010391724143
ASOR September 2017 Monthly Report


Foto sopra: crateri causati dai bombardamenti aerei russi e siriani nel settembre 2017 su Ebla.


Foto sopra: distruzione delle murature in crudo di strutture architettoniche a Ebla.


16 novembre 2017

IRAQ
Pena di morte per aver distrutto il Museo di Mosul

IraqiNews.com ha dato la notizia della sentenza appena emessa dalla Corte Criminale Centrale di Baghdad che prevede la pena di morte per un jihadista dell’IS reo di “avere partecipato attivamente a diversi atti criminali terroristici inclusa la distruzione intenzionale dei monumenti di Mosul”.

In particolare, ha aggiunto Abdul Sattar Bir Qadar, portavoce dell’alta Corte, “l’uomo ha contributo alla distruzione e al trafugamento di molti capolavori del Museo di Mosul”, colpito, come si ricorderà dalle terribili immagini pubblicate sulle rete dai terroristi, nel febbraio 2015.

Secondo il tribunale “le prove sono sufficienti per decretare la pena di morte in ottemperanza all’articolo 4 delle legge sull’antiterrorismo”. La condanna a morte per un crimine contro il patrimonio culturale è una misura senza precedenti nella storia del diritto internazionale, dettata da leggi speciali che sono frutto della situazione drammatica del caso iracheno.

Tuttavia, se il governo iracheno applica la pena capitale in aperto contrasto con la “moratoria universale della pena di morte” ratificata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2007, non sembra altrettanto solerte nel preoccuparsi di pianificare le ricostruzioni postbelliche nelle aree liberate dall’IS, né tantomeno di tutelare efficacemente il patrimonio culturale del paese, con la conseguenza di esacerbare le tensioni interne e rallentare il difficile processo di pace.

Si veda Iraqi News:
https://www.iraqinews.com/iraq-war/islamic-state-militant-sentenced-death-smashing-monuments-mosul/

La distruzione della galleria di Hatra nel video dell’IS del 26 febbraio 2015
La distruzione della galleria di Hatra nel video dell’IS del 26 febbraio 2015.


5 novembre 2017

IRAQ
La rinascita dei santuari yazidi nella piana di Ninive

Diversi video Youtube e un rapporto di ASOR (American Schools of Oriental Research) documentano la ricostruzione in tempi record, e con materiali in parte originari, di ben diciassette santuari funerari yazidi che si trovano nei villaggi di Bashiqa e di Behzane nella provincia di Ninive. Il tutto senza attendere improbabili aiuti dal governo iracheno, fortemente disinteressato alle ricostruzioni dei monumenti distrutti dall’IS.

Si tratta della più eccezionale riabilitazione di monumenti storici della regione, che spaziano dal XIV secolo all’inizio del Novecento. Gli yazidi rappresentano “la minoranza delle minoranze”, un popolo misterioso, geloso delle sue tradizioni secolari, che vanta una religione sincretistica in cui si fondono elementi mesopotamici, come il culto del Sole Shamash e della Luna Sin, con dottrine cristiane, zoroastrismo, sufismo ed elementi gnostici (credono nella metempsicosi). Erroneamente tacciati di essere “adoratori del Diavolo”, e con tale pretesto perseguitati dai jihadisti dell’IS, in realtà credono che la principale manifestazione divina, Melek Taus, l’Angelo Pavone, sia il messaggero di Dio, che dopo essersi ribellato aveva però subito manifestato sincero pentimento.

Si tratta di luoghi di pellegrinaggio straordinari, conosciuti come mazārāt e dedicati ai sepolcri di eminenti shaykh, sceicchi che rappresentano l’alta classe sacerdotale e i santi dello yazidismo. Gli edifici in pietra, di forma cubica, sormontati dalla caratteristica volta conica a costolature echeggianti i raggi solari, mostrano all’entrata i simboli apotropaici del pavone e del serpente; mentre nei loro bui meandri interni, vicino al sepolcro del santo, si trovano ambienti dedicati alle preghiere e vani sotterranei che custodiscono orci colmi d’olio di oliva, un elemento sacro impiegato per accendere le tipiche fiammelle durante i pellegrinaggi e le feste.

Tra i templi ricostruiti figurano quelli di Sheikh Bakr, Sheikh Kefir, Sheikh Shams, Malik Miran, Sheikh Kefir, Sheikh Sicadin, Sheikh Mand Pasha, Pir Bub, Nasr al‐Din, Sitt Habibi, Sheikh Muhammad…

Per i video delle ricostruzioni e le inaugurazioni si veda:

https://www.youtube.com/watch?v=DMlH2lvZ7DA
https://www.facebook.com/Bhzany.H/videos/vb.246093938856125/946629068802605/?type=3&theat
https://www.youtube.com/watch?v=tq6sLzwzb-k



Nelle due foto sopra
9 agosto 2017: yazidi ricostruiscono il santuario di Malik Miran (1919)


Foto sopra
12 aprile 2017: yazidi celebrano la reinstallazione dell’hilel, il globo dorato simboleggiante il Sole sulla sommità del santuario di Sheikh Babik (XIX sec.).


Foto sopra
9 agosto 2017: ricostruzione del santuario di Pir Bub (XIII sec).


24 ottobre 2017

SIRIA
Le distruzioni intenzionali continuano negli antichi villaggi della Siria settentrionale

Inseriti dall’Unesco nel 2011 nella lista dei siti Patrimonio mondiale dell’umanità, si tratta di quaranta villaggi e piccole città ubicati sugli altipiani de Le Massif Calcaire che compongono ben otto parchi archeologici.

Con i loro resti architettonici in pietra assai ben conservati, comprendenti abitazioni comuni, templi pagani, chiese, edifici commerciali, cisterne, bagni pubblici e monumenti funerari, essi rappresentano una testimonianza eccezionale della vita rurale nel periodo di transizione storica dall’età tardoantica a quella cristiano-bizantina.

Sebbene i villaggi furono abbandonati tra l’VIII e il X secolo, dal 2011, negli anni della guerra civile siriana, sono stati occupati da centinaia di profughi fuggiti dalle aree di conflitto, con danni e alterazioni delle strutture originarie.

Il DGAM (Dipartimento di Antichità siriano) lamenta la presenza di diversi gruppi terroristici e la costruzione di campi di addestramento all’interno di molti di questi monumenti, come per esempio, nella celeberrima basilica di San Simeone Stilita.

Da pochi giorni è filtrata la notizia, supportata da immagini, della distruzione nei pressi di Idlib da parte delle milizie jihadiste Ahrar Alsham e Alnasra Front del monastero di Simbol nel Jabal Barisha datato tra il II e il VI secolo, così come di altre chiese dell’area. Ha fatto seguito l’appello del DGAM:

“ai Paesi e alle istituzioni internazionali del settore di intervenire a difesa del patrimonio culturale della Siria al fine di fermare le distruzioni, anche facendo pressione su quei governi che appoggiano e finanziano i gruppi terroristici”.

Alle distruzioni intenzionali si affiancano, secondo il Dipartimento di Antichità siriano, “i saccheggi sistematici di pregiati decori architettonici che finiscono principalmente sul mercato di antichità in Turchia”.

Nelle tre foto sopra: il Monastero di Simbol (II – VI sec.) sul Jebel Barisha prima e dopo la distruzione da parte dei jihadisti.


15 ottobre 2017

SIRIA
Restaurato il leone di Allat da Palmira

Il nuovo Direttore Generale del Dipartimento di Antichità siriano (DGAM), Mahmoud Hammoud, ha celebrato il restauro della mastodontica statua del leone guardiano dedicato alla dea panaraba Allat, in origine situata a Palmira a protezione del portale di ingresso dell’omonimo tempio.

Come avevamo dato conto sulla pagina Facebook di AV, la scultura del I secolo venne fatta a pezzi dai miliziani dell’IS all’inizio di giugno 2015, ma i suoi frammenti erano fortunatamente rimasti in situ nel giardino del Museo di Palmira dove era esposta, permettendone la ricostruzione.

Dopo il restauro effettuato dal DGAM, dall’UNESCO e da Bartosz Markowski, membro della missione polacca che l’aveva scoperta nel 1977, la statua è ora in mostra nel giardino del Museo Nazionale di Damasco.

 Archeologia Viva
https://www.facebook.com/archeologiaviva/photos/a.328080857209144.98927.328063367210893/1118025011548054/?type=3&theater


Nelle due foto sopra: l’inaugurazione della scultura restaurata del leone di Allat il primo ottobre 2017 nel Museo Nazionale di Damasco.

Nelle due foto sotto: il leone di Allat prima e dopo la distruzione dell’IS nel giugno 2015.


22 settembre 2017

SIRIA
Liberato il Museo di Raqqa: saccheggi e distruzione

Con la progressiva liberazione dell’area storica di Raqqa, e la fuga dei miliziani dell’IS, emergono nuovi sconcertanti informazioni supportate da immagini circa lo stato di devastazione dell’importante museo cittadino. Nato nel 1981 per custodire i reperti provenienti dall’omonima provincia, il museo ospitava circa 6000 straordinari oggetti frutto degli scavi di siti archeologici preistorici e dell’età del Bronzo quali Tell Munbaqa, Tell Bi’a, Tell Sabi Abyad e Tell Chuera, ma anche testimonianze di età romana, bizantina e islamica.

Nell’autunno 2014 il museo è stato colpito dai bombardamenti alleati contro lo Stato Islamico. Quindi veniva saccheggiato, vandalizzato e distrutto non solo dai jihadisti dell’IS che dal gennaio 2014, dopo essersi insidiati a Raqqa, lo trasformavano in una base militare operativa. Come riferisce il siriano Directorate-General of Antiquities & Museums (DGAM), già nel 2012 il gruppo armato Ahar al Sham trafugava 527 oggetti con il pretesto di metterli al sicuro; mentre nel 2013 venivano rubate dai magazzini sei grandi casse di reperti.

Il 20 settembre 2017 alcuni funzionari di ATPA (The Authority of Tourism and Protection of Antiquities) del cantone della Jazira siriana hanno effettuato una prima ricognizione del museo e della città di Raqqa, documentando con immagini il disastroso stato di conservazione dei principali monumenti. Si tratta di un rapporto preliminare poiché molte aree risultano inaccessibili per via della presenza di mine piazzate dall’IS.

Si veda:
http://desteya-shunwaran.com/ar/documentation-of-the-archaeological-sites-in-raqqa-2092017/

http://art-crime.blogspot.it/2017/09/ar-raqqah-museum-september-2017-status.html

Archeologia in guerra aggiornamento Raqqa distruzione
Archeologia in guerra aggiornamento Raqqa distruzione
Nelle due foto sopra vediamo il Museo di Raqqa prima e dopo i bombardamenti del 2014.

Archeologia in guerra aggiornamento Raqqa distruzione
Archeologia in guerra aggiornamento Raqqa distruzione
Nelle due foto sopra: le gallerie del Museo di Raqqa distrutte e saccheggiate.

Nella foto sotto un’immagine del giardino del Museo di Raqqa completamente devastato.
Archeologia in guerra aggiornamento Raqqa


22 settembre 2017

SIRIA
Raqqa, ultima roccaforte dell’IS: riconquista e distruzioni

Mentre entra nella fase conclusiva la feroce battaglia per la riconquista di Raqqa da parte delle SDF (Forze Democratiche Siriane) appoggiate dai raid della Coalizione americana, si contano ingenti danni al suo incredibile patrimonio storico-artistico.
In particolare, nel luglio 2017, i bombardamenti alleati hanno aperto una breccia in due punti delle mura urbiche di età abbaside permettendo lo sfondamento dei soldati curdi all’interno della città vecchia dove ancora si combatte. Secondo il comando americano, l’intervento avrebbe anche evitato eventuali distruzioni intenzionali delle stesse mura ad opera dell’IS, come invece era avvenuto a Mosul con la moschea Al-Nuri al-Kabir. Queste straordinarie opere di difesa furono volute dal Califfo al-Mansur che nel 772 decise di fondare una città fortificata, chiamata ar-Rafiqa, “la compagna”, a circa 2 km a ovest dell’originario insediamento di Nicephorion di età seleucide e romana (IV-III sec. a.C.).

L’eccezionale opera muraria danneggiata dai raid aerei americani si sviluppa a forma di cavallo su un perimetro di circa 5 chilometri, munito di 132 torri rotonde, con una struttura in mattoni e fondamenta di pietra e malta. Venne restaurata dal Dipartimento di Antichità siriano nel 1976. Per imponenza e monumentalità – un’ampiezza di 50 metri a due cortine di cui quella interna larga 6 metri e alta sino a 18 – ricorderebbero le fortificazioni della capitale Baghdad. Scontri tra le diverse forze in campo sono avvenuti anche nei pressi di due monumenti emblematici della città: la Porta di Baghdad, straordinario accesso con volte a croce, stanze laterali a iwan (grandi ambienti di rappresentanza aperti su un lato) e decorazioni a mosaico di mattoni – interessato da un attacco suicida orchestrato dall’IS; e il Qasr el-Banat, “il castello delle fanciulle”, edificio di età zenghide, con corte centrale pavimentata a mattonelle smaltate e iwan laterali.

Non abbiamo informazioni sulle condizioni degli altri edifici storici, come, per esempio, l’enorme moschea del Venerdì (110 x 95 m) eretta da al-Mansur, e l’antico quartiere dei palazzi edificati dal Califfo Harun ar-Rashid (786-809) che fece di Raqqa/Rafiqa la sua residenza reale, capitale di fatto del califfato abbaside sul fronte delle guerre contro l’impero bizantino.

Purtroppo a causa degli scontri, degli attacchi suicidi dell’IS e dei bombardamenti, si deve registrare anche la distruzione di molti altri edifici della città vecchia, tra cui le moschee di al-Rahman, al-Mustafa e di al-Safa.


Nelle tre foto sopra vediamo le mura abbasidi prima e dopo la distruzione (7 luglio 2017) a causa dei bombardamenti aerei alleati. (Foto CNN e ASOR, Personal Twitter Account)

 

SIRIA
Palmira: distrutta sezione orientale della sorgente Efca (Ain Afqa)

Lo sorgente che dà origine all’oasi di Palmira rimonta al primo insediamento di età neolitica e si è prosciugata solo nel 1994. Si trova ai piedi dei colli in un antro di 300 metri di lunghezza, foderato in muratura e arricchito tra il I e il IV secolo d.C. di una scalinata e di quattro altari dedicati alla divinità solare Yarhibol, il dio della sorgente (due altari vennero poi collocati al museo di Palmira). Le immagini satellitari dimostrano che la distruzione dell’angolo sudorientale della muratura è avvenuta in un lasso di tempo molto ampio che va dal 9 gennaio 2012 al 22 maggio 2015: quindi durante gli scontri tra il regime siriano (che controllava Palmira con una base) e le forzi ribelli nel corso del 2012-2015, oppure per mano degli islamisti dell’IS che occupavano “la Venezia delle sabbie” a partire dal 20 maggio 2015.

Si veda: ASOR Cultural Heritage Initiatives


Nelle due foto sopra vediamo la sorgente Efca a Palmira prima e dopo la distruzione dell’angolo orientale. (Foto Palmyrena, e Palmyra Coordination; 15 luglio, 2017)


29 luglio 2017

IRAQ
Mosul liberata: il futuro incerto di una città in rovina

Con l’annuncio della liberazione di Mosul dato dal primo ministro iracheno Haider al-Abadi lo scorso 11 luglio, si è chiuso un ciclo di guerra di ben nove mesi che per intensità e devastazione di popoli e monumenti si può paragonare al secondo conflitto mondiale. Come dimostrano recenti rapporti e ricognizioni del Dipartimento di Antichità iracheno, Mosul somiglia ora più a Varsavia, Dresda, Stalingrado o alla Berlino dell’ultima guerra che a una città vera e propria.

Impressionanti i dati sulle distruzioni: oltre agli attacchi intenzionali da parte dei jihadisti dello Stato Islamico contro l’arte islamica, cristiana e pre-islamica, si aggiungono le devastazioni causate dai bombardamenti della coalizione irachena anti-IS e dagli scontri per la liberazione della città. Questi ultimi sono stati particolarmente pesanti. Agli abusi e vendette sommarie contro la popolazione civile sospettata di avere collaborato con i jihadisti si aggiunge l’uso esagerato e indiscriminato di bombardamenti da parte delle forze irachene e alleate, come recentemente ha denunciato un allarmante rapporto di Amnesty International.

Le immagini e i video pubblicati (si vedano i link in calce) dopo la sua liberazione nel luglio 2017 mostrano il labirintico dedalo di case, stradine, piazze e suq del centro storico di Mosul (ovest) – in particolare l’intero tessuto urbano lungo il Tigri dove si trovavano la Grande Moschea Jama’ an-Nuri e il minareto pendente – completamente distrutti (si veda aggiornamento del 22 giugno 2017).

I bombardamenti aerei della primavera 2017 hanno ridotto in macerie gran parte dei 54 quartieri residenziali del settore occidentale, incluso infrastrutture  (case, ospedali, scuole, ecc.) e una serie di rilevanti moschee storiche tra cui quelle di Bab al-Tub, di Suq al-Alwah, di al-Pasha, e la madrasa e moschea di ‘Abdal. Solo nella città vecchia (Mosul ovest) il rapporto delle Nazioni Unite documenta la distruzione di ben 5.000 edifici di cui 490 sarebbero completamente in macerie.

La ricostruzione di Mosul rappresenta una sfida senza precedenti. Dal punto di vista economico, le Nazioni Unite stimano una cifra di 1 miliardo di dollari solo per  riabilitare il centro storico, mentre almeno 100 miliardi sono necessari per tentare di restituire l’intera città allo splendore passato in oltre dieci anni di lavori. Fondata dalle armate musulmane nel VII secolo sulla sponda occidentale del Tigri di fronte alla biblica Ninive, Mosul ha visto susseguirsi nel tempo una serie incredibile di dinastie, raggiungendo l’apice della sua potenza e ricchezza commerciale nel corso del XII e XIII secolo con gli Zanghidi, per risorgere nuovamente dal 1638 sino al 1918 sotto il controllo della Sublime Porta.

Viaggiatori e geografi musulmani come al-Muqaddasi (X sec.) e Ibn Battuta (XIV sec.) ne esaltavano forza e bellezza, coi i suoi straordinari monumenti, dai mercati ai caravanserragli alle madrase per l’acquisizione del sapere, dagli ospedali ai parchi alle terme e ai santuari di tutte le fedi. La sua popolazione rappresentava un crogiolo di razze e confessioni religiose unico al mondo: sunniti e sciiti coesistevano con cristiani di varie appartenenze, ma anche con ebrei, shabak, mandei, curdi e turcomanni.

I suoi quartieri storici sono ora controllati dalle diverse milizie etnico-confessionali che l’hanno liberata, dalle forze regolari sciite e sunnite dell’esercito iracheno al Fronte di Mobilitazione Popolare Sciita (PFM) ai Peshmerga curdi sino alle unità yazide e cristiane. Vista la tensione settaria tra questi gruppi e  le dinamiche di rivalsa e vendetta sulla popolazione locale a maggioranza sunnita (vista come collaboratrice dell’IS). si aprono scenari preoccupanti sulla tanto auspicata riconciliazione in seno all’Iraq.

Dopo la recente liberazione, il premier  Haider al-Abadi ha fatto appello “all’unità dell’Iraq”, esaltando “la vittoria sullo Stato islamico come un trionfo dell’Iraq compiuto dagli Iracheni”. Anche l’alto rappresentate delle Nazioni Unite Jan Kubis ha sottolineato che “ogni sforzo di ricostruzione debba essere compiuto parallelamente a un rigoroso processo democratico di integrazione e collaborazione tra le diverse forze in campo”, per evitare gli errori del passato e la formazione di un nuovo Stato Islamico. La rinascita del patrimonio culturale è parte fondamentale di questo processo di pace. Lo hanno compreso molto bene gli studenti e docenti dell’Università di Mosul, una delle più prestigiose istituzioni accademiche del Medio Oriente fondata nel 1967, che hanno già iniziato i lavori di riabilitazione dell’ateneo distrutto dall’IS e dai bombardamenti alleati.

E mentre anche in molti quartieri cittadini e nei villaggi della piana di Ninive si iniziano a rimuovere le macerie della distruzione, si contano iniziative lodevoli come quella di Mosul Eye, il blog del docente e attivista di Mosul che ha mobilitato la società civile per  ricostruire la Biblioteca Centrale universitaria completamente bruciata dagli islamisti dell’IS insieme a oltre 8.000 pregiati manoscritti –  nelle sue parole, “la migliore risposta al terrorismo”. Sinora sono stati raccolti migliaia di volumi donati da vari enti e istituzioni internazionali, ma anche dall’Università di Baghdad, di Bassora  e da molti altri centri culturali iracheni a testimonianza di un ritrovato senso di unità nazionale. Il futuro rimane tuttavia incerto e pieno di ostacoli.

Per le immagini e i video si veda Mosul Eye.

Video delle distruzioni di Mosul (da Mosul Eye):
Quartiere di Dawasa: https://www.youtube.com/watch?v=oB8svExdV2I
La città vecchia: https://www.youtube.com/watch?v=Kr8P4EJkd4M
Il suq storico: https://www.youtube.com/watch?v=BCODP0ewdvo
Ospedali distrutti: https://www.youtube.com/watch?v=y-i8fAElZ70
Quartiere di Najjar: https://www.youtube.com/watch?v=NJsEJ6_b9BA
Quartiere di Tammuz: https://www.youtube.com/watch?v=YmepB6QH4-U

Un video delle distruzioni realizzato con un drone (da Mosul Eye):
Mosul ‘All that’s left is rubble’ الموصل او ما تبقى منها
https://it-it.facebook.com/MosulEyee/videos/1315802768541222/?hc_ref=ARSwx7KbKUKLCvBkxX3PKUtY4nnCeiEb-Vrelyc7b_sG7A072UoDMvxp2bRcaHcWxbA


Mosul (Iraq): il centro storico della città islamica distrutta (in rosso) e l’antica Ninive sulla sponda orientale del Tigri.


Mosul (Iraq): il centro storico della città islamica prima della distruzione.


Mosul: il centro storico della città islamica in macerie dopo la liberazione, con la moschea di Bab al-Tub in primo piano.


Proiezione satellitare dei monumenti e delle infrastrutture distrutti a Mosul.


Mosul: il centro storico della città islamica in macerie dopo la liberazione.



Nelle due foto sopra: studenti al lavoro per riabilitare la biblioteca dell’Università di Mosul distrutta dall’IS.


Una delle poche case islamiche tradizionali di Mosul ancora in piedi.


Mosul agli inizi del 1900, sullo sfondo il minareto pendente al-Hadbah ora distrutto.


22 giugno 2017

IRAQ
Distrutta la Grande Moschea storica di Jama’ al-Nuri nel cuore di Mosul

Portroppo quanto avevamo già indicato come probabile si è verificato. Fonti militari irachene hanno accertato la distruzione intenzionale con esplosivo della celeberrima Grande Moschea di Nur ad-Din, il Norandino delle crociate (XII sec.), detta Jama’ an-Nuri, sita nel cuore della città (teatro dell’autoproclamazione del califfo al-Baghdadi). L’immagine satellitare mostrerebbe anche la distruzione del suo bellissimo minareto, icona cittadina molto amata e nota come al-hadbah, “il pendente”. Nel luglio 2014 venne salvata da una folla di cittadini accorsi a sua difesa. Leggende popolari ravvisavano nell’inclinazione un atto di ossequio all’ascesa al cielo del Profeta Muhammad, il famoso viaggio notturno della tradizione coranica.

La distruzione della moschea e del minareto sarebbe dovuta al tentativo dei pochi miliziani dello Stato Islamico rimasti a Mossul di farsi terra bruciata per cercare di fuggire dalla città assediata. Ma rappresenterebbe anche un modo per impedire la conquista del loro principale quartier generale e simbolo di potere a Mosul.

Foto satellitare: Mosul Eye

Nelle due foto sopra:
Immagini satellitari di ASOR (American Schools of Oriental Research) documentano il prima e il dopo della distruzione della Grande Moschea storica Jama’ al-Nuri e del minareto pendente nel centro storico di Mosul.


8 giugno 2017

IRAQ
Nuove distruzioni intenzionali a Maltai e saccheggi al Museo di Mosul

Museo di Mosul
La collega Lamia Al Galiani Werr riferisce di nuovi saccheggi al Museo di Mosul, tuttora privo di adeguata protezione: è stato rubato uno dei due dipinti di Hafidh al-Droubi (1914-1991), uno dei massimi esponenti dell’arte moderna irachena, di cui il museo possedeva due splendide opere raffiguranti Hatra e Ninive. In particolare, riferisce Lamia, è sparito il dipinto storico-paesaggistico che rappresentava le suggestive rovine archeologiche di Hatra, nello stile inconfondibile di al-Droubi con quel bel intreccio di colori e forme tratto dalla vita quotidiana. Ciò farebbe pensare che altri saccheggi potrebbero avvenire al Museo di Mosul.


Museo di Mosul: il quadro storico (non rubato) del celebre pittore iracheno Hafidh al-Droubi con la rappresentazione di Ninive. (Foto: Suzanne E. Bott, 2008).

Rilievi rupestri di Sennacherib a Maltai
Attori non identificati, nutriti di profonda ostilità e avversione per i moderni cristiani assiri, hanno gravemente vandalizzato alcuni dei loro simboli: in particolare, i bei rilievi rupestri del re assiro Sennacherib (704-681 a.C.) ubicati a Maltai vicino a Dohuk nel Kurdisatn iracheno e raffiguranti una parata di divinità (Assur, Ninlil, Sin, Anu, Shamash, Adad e Ishtar) dinnanzi al sovrano. La collega Lamia Al Galiani Werr, che ha visto le fotografie dei rilievi distrutti, lo definisce “un disastro”.


Rilievo rupestre di Sennacherib a Maltai prima della distruzione.
(Foto: 2013 – Department of Art History and Archaeology, Columbia University)


Rilievo rupestre di Sennacherib a Maltai dopo la distruzione del volto del sovrano.
(Foto Babylon FM: https://www.facebook.com/BabylonFM/posts/1299198693534152)


Altre distruzioni al primo rilievo rupestre assiro a Maltai.
(Foto Babylon FM: https://www.facebook.com/BabylonFM/posts/1299198693534152)


1 maggio 2017

IRAQ
Hatra liberata: le prime immagini non mostrano la tanto paventata esplosione del sito!

Le prime immagini di Hatra liberata nei giorni scorsi dai jihadisti dell’IS mostrano che i monumentali iwan, ovvero le enormi cappelle voltate del principale santuario cittadino dedicato al dio Sole (II sec. d.C.), Shamash, sono ancora in piedi, contrariamente a quanto si temeva in seguito a voci locali che parlavano di esplosioni occorse nel marzo 2015. Un’ottima notizia, avremmo potuto perdere molto di più, anche se rimangono, come noto, le distruzioni intenzionali delle sculture architettoniche che arricchivano i numerosi templi cittadini. Si veda nell’ultima esclusiva immagine la testa decapitata e distrutta di un dignitario di Hatra come appare oggi dopo la riconquista del sito.


Foto: Ihsan Fethi


Foto: Ihsan Fethi


Foto: Ihsan Fethi


Foto: Ahmad al Rubaye/AFP


23 marzo 2017

IRAQ
Mosul, massacro di civili e in pericolo il Manarat alHadba (Minareto Pendente)

Le fonti da Mosul ci riferiscono di centinaia di morti tra la popolazione civile a causa dei bombardamenti americani che distruggono anche il nucleo storico della città dove i miliziani dello Stato islamico si nascondono nelle case della popolazione. È stato colpito e potrebbe crollare da un momento all’altro l’ultimo, e certo il più rappresentativo, simbolo cittadino rimasto ancora in piedi: il celebre minareto Manarat alHadba, “il pendente”, come lo chiamano gli abitanti locali.

Parte della Grande Moschea di Nūr ad-dīn (XII sec. dinastia Zenghide), detta Jama’ an-Nuri, nel centro della città, il minareto si è salvato dalla furia dell’IS perché nel luglio 2014 una folla di cittadini si è mossa in sua difesa, pronta a dare la vita. Si tratta di un gioiello dell’arte islamica con un fusto cilindrico in mattoni di 48 m di altezza con una scala a chiocciola interna; risulta inclinato a causa del fenomeno di plasticizzazione della malta gessosa sottoposta ai forti venti. Un intervento di restauro e consolidamento fu parzialmente realizzato nel 1974 su progetto del Centro Scavi di Torino. Secondo la tradizione popolare invece la sua inclinazione sarebbe dovuta all’atto di riverenza, un vero e proprio inchino, nei confronti del viaggio notturno del profeta Muhammad e della sua successiva ascesa al Cielo (miraj). Le sue condizioni attuali sono preoccupanti.

Mosul: il minareto alHadba, “il pendente”, prima dei bombardamenti e nel marzo 2017 in pericolo di crollo.
(Foto Mosul Eye)


16 marzo 2017

IRAQ
Le prime strazianti immagini della devastazione del Museo di Mosul
Uno studio di cosa è rimasto

Corrediamo la nota con la pubblicazione delle prime terribili immagini della devastazione perpetrata dai miliziani dell’IS al Museo di Mosul. Un nuovo video permette lo studio preliminare dell’entità delle distruzioni (https://youtu.be/fT6l11gmkYQ). Nell’insieme, la Galleria Assira e quella di Hatra sono ormai macerie e desolazione, evidentemente le sculture sono state distrutte con esplosivo, anche se l’edificio stesso è ancora in piedi.

Galleria Assira
La Galleria Assira è stata oggetto di un mio recente studio in cui si dimostrava come fossero esposte trentasei sculture originali (94,8%) e due sole copie moderne in gesso (5,2%). Risulta ora completamente distrutta, il pavimento sfondato, ma con le macerie in situ dei seguenti oggetti:

  • le sculture assire dei due enormi leoni alati androcefali (lamassu) dal tempio di Ninurta a Nimrud dell’età di Assurnasirpal II (883-859 a.C.), con un’iscrizione cuneiforme incisa verosimilmente su uno dei due leoni alati; si notano ancora i grandi blocchi con le zampe anteriori dei leoni e parte delle ali, ma mancano le teste probabilmente trafugate;
  • del leone dal tempio di Ishtar di Nimrud, in fondo alla sala sopra le scale a destra, non ci sono tracce visibili, a meno che i suoi resti non siano stati ammassati sui lamassu;
  • nella sezione sopra le scale al fondo, si scorge al centro, vicino a dei tavoli, l’incensiere “decapitato” dal tempio dei Sibitti a Khorsabad (antica Dur Sharrukin), capitale del re assiro Sargon II (706 a.C.);
  • e anche probabilmente la metà inferiore della famosa “Stele del Banchetto” di Assurnasirpal II, con l’iscrizione cuneiforme che celebrava la festa di inaugurazione del palazzo nord-ovest di Nimrud e il ritratto del sovrano in preghiera di fronte ai simboli divini: questa parte della stele sembrerebbe quella mancante, probabilmente saccheggiata;
  • mancano i resti della base del trono di Assurnasirpal II dal palazzo nord-ovest di Nimrud che era collocata dove il pavimento del museo è sfondato; forse è stata razziata o è crollata nel pavimento;
  • come i resti dei pregiati rilievi parietali con il ciclo dell’albero sacro e dei geni alati dallo stesso palazzo di Nimrud (stanza L) che si trovavano lungo la parete a sinistra del pavimento crollato;
  • inoltre non si vedono le macerie dei geni alati a testa d’aquila (stanza F) sulla parete di destra sopra le scale al fondo della galleria, o i pezzi del rilievo storico sulla parete di sinistra, sempre da Nimrud;
  • mancano anche i resti degli altri rilievi storici da Ninive.

Verosimilmente tutti questi rilievi che si trovavano appesi ai muri, per via delle dimensioni ridotte e del loro straordinario valore sul mercato antiquario, potrebbero essere stati rimossi e saccheggiati.

Dalle fotografie, e da un nuovo video, si vede la sezione d’entrata della Galleria con:

  • la distruzione delle famose porte del tempio di Mamu a Balawat (Assurnasirpal II): i pannelli lignei moderni su ci era montata la porta sono tutti accatastati e le fasce bronzee istoriate sono state probabilmente rubate;
  • l’altare da Ninive dedicato ai Sibitti da Salmanassar III (858-824) è ancora riconoscibile in situ anche se è andato distrutto, mentre due blocchi lì vicini potrebbero essere parte della “Stele della Strada Reale” di Sennacherib (704-681) proveniente da Ninive.

Sui capolavori dell’arte assira del Museo di Mosul, si veda il mio recente studio pubblicato sul Journal of Near Eastern Studies 2016 dal seguente titolo: The Assyrian Sculptures in the Mosul Cultural Museum: A Preliminary Assessment of What Was on Display Before Islamic State’s Attack http://www.journals.uchicago.edu/doi/abs/10.1086/687581

 

Galleria di Hatra
Nell’inventario redatto dalla collega irachena Lamia Al-Gailani Werr risultano ventisei sculture originali (86,7%) e sole quattro copie (13,3% ) di sovrani, divinità e alti dignitari. Come si vede dalle immagini, le macerie delle statue distrutte sono state rimosse e in parte accatastate su un lato della sala, alcune probabilmente sono state razziate.

Conclusioni
La scena è drammatica, il museo è ridotto molto peggio di quello di Palmira, dove le sculture per quanto sfregiate e colpite risultavano ancora riconoscibili, mentre a Mosul si vedono solo macerie quasi informi. Sono stati anche bruciati migliaia di preziosi volumi e manoscritti della biblioteca museale che si trova nel seminterrato. Per chi ha visto il museo negli anni del suo splendore le immagini provocano una grande disperazione. La riabilitazione del Museo di Mosul rappresenterà una sfida senza precedenti.


Museo di Mosul: entrata. (Foto Mosul Eye)


Museo di Mosul: due immagini (sopra) della Galleria Assira distrutta. (Foto Mosul Eye)

 


Museo di Mosul: immagine della Galleria Assira con le indicazioni dei rilievi distrutti e/o razziati. (Elaborazione Foto Mosul Eye)


Museo di Mosul: iscrizione cuneiforme da un leone alato androcefalo dal tempio di Ninurta di  Assurnasirpal II. (Foto Mosul Eye)

Museo di Mosul: distruzione dell’altare da Ninive di Salmanassar III. (Foto Qanat Almawsiliat Alfadayiya)

Museo di Mosul: distruzione delle porte del tempio di Mamu a Balawat, con i pannelli lignei su cui erano montate accatastati al suolo. (Foto Qanat Almawsiliat Alfadayiya)

Museo di Mosul: la distruzione della Galleria di Hatra. (Foto Qanat Almawsiliat Alfadayiya)


8 marzo 2017

IRAQ
Liberato il Museo di Mosul

Le forze irachene hanno liberato stanotte diversi edifici governativi e  il Museo di Mosul, ubicato nel cuore della città vecchia vicino al ponte di Jumhuriya sul fiume Tigri. Si tratta del secondo museo dell’Iraq dopo quello di Baghdad, che, come ricordiamo, venne brutalmente distrutto e saccheggiato dai miliziani dello Stato islamico nel febbraio 2015. Edificato nel 1952 nella reggia di Faisal II, fu ricostruito negli anni Settanta in una nuova e suggestiva struttura in stile islamico contenente quattro galleria: la Galleria Assira, di Hatra, Preistorica e Islamica.

Intanto continuano le scoperte sul Tell Nebi Yunus (una delle due acropoli di Ninive): nei tunnel scavati dall’IS sotto la Moschea di Giona distrutta sono venuti alla luce altri reperti neoassiri della “reggia-arsenale” di Sennacherib (704-681 a.C.), tra cui i resti di un grande toro alato androcefalo che proteggeva il portale.


Museo di Mosul.
(Foto Suzanne E. Bott, 2008)


Ninive, Tell Nebi Yunus, tunnel dell’IS; toro alato androcefalo della reggia-arsenale di Sennacherib.

(Foto Mosul Eye)


Ninive, tunnel di scavo dell’IS: rinvenimento di un fregio neoassiro con figure femminili in atto lustrale.

(Foto Mosul Eye)


28 febbraio 2017

IRAQ
Ninive liberata: sensazionale scoperta di resti assiri sotto la moschea di Giona distrutta dall’IS

La liberazione di Ninive lo scorso gennaio 2017 ha permesso la ricognizione, da parte dei colleghi iracheni coordinati dall’archeologa Layla Salih, che ha individuato importanti resti assiri sull’acropoli del Tell Nebi Yunus, direttamente sotto le macerie della moschea del profeta Giona distrutta dall’IS il 24 luglio 2014.

Come ho indicato nel mio intervento a “tourismA 2017”, la distruzione dello Stato Islamico ha permesso l’indagine dei livelli basali neoassiri. Esplorando un tunnel di scavo effettuato di tombaroli dell’IS (tra l’altro uno di quelli che ho mostrato a tourismA), Layla Salih ha rinvenuto le testimonianze materiali dell’ekal masharti, la “reggia-arsenale” edificata dal sovrano assiro Sennacherib (704-681 a.C.) e ricostruita dal figlio Esarhaddon e dal nipote Assurbanipal nel VII secolo a.C. – un palazzo sinora perlopiù non indagato.

Sono emersi pregiati rilievi parietali con una serie di figure femminili (forse divine, o donne di alto rango della corte assira) che reggono in mano dei germogli, chiara allusione all’azione purificante dell’acqua di vita. Una grande lastra reca invece l’iscrizione di Esarhaddon, che include nella titolatura anche il riferimento all’atto di ricostruzione di Babilonia intrapreso dal sovrano nel corso del suo regno.

L’importanza straordinaria dei reperti, e la presenza di tunnel di scavo clandestino dell’IS, dimostra che Ninive è stata oggetto di saccheggi estensivi in questi due anni e mezzo di controllo del Califfato (come del resto sapevamo dalle immagini satellitari). Centinaia di reperti assiri, tra cui vasi, mortai e figurine, sono inoltre stati ritrovati dai militari iracheni nel cortile della casa di un emiro dell’IS, nel settore orientale della Mosul liberata.

Fotografie da: http://www.telegraph.co.uk/news/2017/02/27/previously-untouched-600bc-palace-discovered-shrine-demolished/

 
Ninive, tunnel di scavo clandestino dell’IS: figure femminili in atto lustrale dalla reggia-arsenale di Sennacherib sull’acropoli di Nebi Yunus.


Ninive: iscrizione cuneiforme di Esarhaddon dalla reggia-arsenale sull’acropoli di Nebi Yunus.


20 gennaio 2017

SIRIA
Palmira: distrutti il tetrapilo e una parte del teatro romano

Come si vede dalle immagini satellitari pubblicate da ASOR CHI, lo Stato Islamico ha recentemente distrutto con esplosivo il tetrapilo: rimangono in piedi solo due colonne, mentre si vedono le macerie dei tamburi delle altre colonne sul terreno.
Il monumento romano, in parte ricostruito negli anni Sessanta del Novecento, è formato da quattro piedistalli sorreggenti quattro colonne ciascuno e una statua; serviva da cerniera e snodo per armonizzare il cambiamento di direzione del Grande colonnato.
Anche il teatro romano del II secolo d.C. è stato colpito, in particolare sarebbe andata distrutta la frons scaenae scandita in tre esedre e colonnato.
Lo Stato Islamico ha utilizzato il teatro, il Museo Archeologico e la nuova base militare russa ubicata nella necropoli nord per compiere esecuzioni sommarie di prigionieri.
Questo nuovo attacco a Palmira sarebbe avvenuto, dopo la recente riconquista del sito da parte dell’IS, tra il 26 dicembre 2016 e il 10 gennaio 2017.

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http://www.palmyra-monitor.net/isis-destroyed-the-tetrapylon-and-part-of-the-roman-theater-in-palmyra/

Immagini ASOR CHI


23 dicembre 2016

Un 2016 di distruzioni in Iraq e Siria

IRAQ
L’annientamento dei simboli del mondo cristiano da parte dello Stato Islamico

Il terribile anno che ci lasciamo alle spalle si chiude con la scoperta annunciata di distruzioni, atti vandalici e dissacrazioni (mutilazioni di statue e immagini, costruzioni di cunicoli sotterranei usati come rifugi dai miliziani dell’IS) di quasi tutte le più importanti chiese e monasteri della piana di Ninive/Mosul, che spaziano dai primi secoli del cristianesimo all’età moderna. Le forze di liberazione irachene e curde nel mese di novembre 2016 hanno rialzato le croci sui resti spettrali di molti edifici cristiani dell’area, che rappresenta, anche se spesso viene dimenticato, il fulcro della cristianità perché qui sono sorte le prime chiese della storia. Colpite soprattutto le chiese e i cimiteri delle cittadine e dei villaggi cristiani di

  • Bakhdida (Qaraqosh): chiese di al-Tahira, Dar Mar Polis, Mar Yohanna, Mar Gerges, Mart Shmone, e il monastero di Naqurtaya;
  • Bashiqa, dove sono stati distrutti anche dei santuari Yazidi di Sheikh Muhammad, Sitt Habibi, Sitt Hecici, e le chiese di  Mar Gerges, Mart Shmone, Mart Mariam e il cimitero di Mar Gerges;
  • Bartella: chiese di Mar Gewargis, Mar Shmone, Syriac Orthodox Cultural Center, cimitero cristiano;
  • Karamlish: chiese di Mar Ada al-Rasool, Mart Barbara, Mar George, Mar Yonan, Virgin Mary (Deir Mar Banat Mariam).
    Si veda ASOR Cultural Heritage Initiatives (CHI)

Siti assiri: Nimrud
Per quanto riguarda i siti assiri, l’Unesco ha organizzato la settimana scorsa un’ispezione del sito più danneggiato, quello di Nimrud, da parte di due colleghi iracheni che dovranno stilare un primo censimento dei danni. Restano tuttavia forti motivi di preoccupazione per la difesa del sito, in quanto non è ancora stato predisposto un piano di sicurezza e di tutela come del resto per i centri cristiani di cui sopra.

SIRIA

Prime immagini di Aleppo, città fantasma, e della Grande Moschea omayyade in parte distrutta negli scontri tra forze governative e fazioni ribelli il 24 aprile del 2013. In particolare, era stato raso al suolo il minareto, icona edificata nel 1094 d.C. dal sultano selgiuchide Malik Shah e dal governatore Tutush e Patrimonio mondiale dell’umanità per l’Unesco. Il sopraluogo nel dicembre 2016 del Dipartimento di Antichità Siriano conferma i danni subiti. Della Palmira riconquistata dall’IS si tace, ma la preoccupazione è fortissima!
http://dgam.gov.sy/index.php?d=314&id=2148

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Karamlish: la Chiesa di Mar Barbara liberata a novembre 2016.
(Fotografia Thomas Goisque, novembre 2016)

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Karamlish, Chiesa di Mar Ada al-Rasool: statua della Vergine Maria decapitata.
(Fotografia Thomas Goisque, novembre 2016)

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Bakhdida (Qaraqosh): distruzione della Chiesa di Mar Yohanna.
(Fotografia Thomas Goisque, novembre 2016)


21 novembre 2016

IRAQ
Probabilmente in parte salvi molti rilievi della capitale assira di Nimrud

Buone notizia dalla appena liberata capitale assira di Nimrud, l’antica Kalkhu rinfondata da Assurnasirpal II (883-859). Ho ricevuto stamane l’informazione dalla eminente collega irachena Lamia Al Gailani Werr che “un’archeologa del Dipartimento di Antichità iracheno ha visitato il sito nella giornata di ieri, e ha potuto constatare che molti dei rilievi assiri sono stati distrutti ma si trovano ancora sul terreno, quindi c’è la speranza concreta di poterli ricostruire sebbene sarà un compito arduo e di lunga durata”.

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Nimrud: tori alati guardiani e genio alato dal palazzo nord-ovest prima delle distruzioni dell’IS.
(Foto Suzanne E. Bott, e Oriental Institute, University of Chicago)


16 novembre 2016

IRAQ
Nimrud: le prime scioccanti immagini della distruzione dell’IS

Dopo la recente liberazione di Nimrud da parte dell’eserciti iracheno, sono state pubblicate le prime esclusive immagini delle distruzioni intenzionali e dei saccheggi perpetrati dallo Stato Islamico nel sito assiro di Nimrud, l’antica Kalkhu – fondata da Salmanassar I (1273-1244 a.C.) e scelta poi da Assurnazirpal II (883-859) come nuova capitale. Gli attacchi mostrati nei due video propagandistici dell’11 aprile 2015 e del 7 giugno 2016 evidenziavano l’esplosione del palazzo nord-ovest di Assurnasirpal II e quella del tempio di Nabu dell’età di Adad-nirari III (810-783 a.C.) e della regina Sammuramat, di cui avevamo già dato conto.

Le nuove immagini documentano purtroppo le macerie dei grandi centauri e leoni alati androcefali (detti lamassu) di guardia alle porte di ingresso della sala del trono del palazzo nord-ovest e i muri crollati con i resti degli ortostati con il ciclo dei geni alati e dell’albero sacro delle sale N, L, S nell’area del bitanu, la parte cerimoniale più privata della reggia.

Una delle porte laterali della sala del trono appare ancora in piedi, ma i pannelli istoriati e i lamassu risultano asportati dalla parete. Sembrano invece ancora in parte conservati i resti molto deteriorati di un genio alato con situla e pigna e di un albero sacro dalla sala N, nonché di un pannello (posto in origine sulla facciata della corte esterna) con un suddito siriano con le mani alzate e chiuse a pugno in segno di obbedienza. Un’altra immagine mostra l’esplosione del tempio di Nabu, in particolare della celebre “Fish Gate”, l’ingresso principale protetto da due enormi geni a forma di pesce.

Fonti locali autorevoli come lo sceicco Ali al-Bayati lamentano “una distruzione totale del sito” e la presenza di bombe trappola e ordigni esplosivi disseminati ovunque dall’IS. Prima di effettuare le ricognizioni per il censimento dei danni, l’area dovrà quindi essere bonificata. Dobbiamo tuttavia ricordare che la zona colpita, l’acropoli principale, è certo la più importante, ma che il sito di Nimrud si estende per 350 ettari e dunque non si può parlare di distruzione completa.

Il ministro iracheno della cultura Qais Hussain Rasheed ha affermato che “la liberazione di Nimrud dalle forze dell’IS è una vittoria non solo per l’Iraq ma per l’intera umanità”.

Immagini tratte da International Business Times (Safin Hamed/AFP):
http://www.ibtimes.co.uk/inside-3000-year-old-assyrian-city-nimrud-destroyed-by-isis-1591721

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Palazzo nord-ovest: macerie con una zampa di leone alato dalla porta di ingresso della sala del trono.

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Nelle tre foto sopra
Palazzo nord-ovest: distruzione del ciclo dei geni alati e dell’albero sacro delle sale N, L, S, con rilievo di albero sacro ancora in parte conservato, e particolare delle ali spezzate di un genio. 

 

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Palazzo nord-ovest: portale di ingresso alla sala del trono con i lamassu rimossi dalla muratura.

 

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Palazzo nord-ovest: genio alato con situla e pigna in parte conservato.

 

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Palazzo nord-ovest: rilievo con un suddito dalla parete esterna della corte della sala del trono.

 

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Palazzo nord-ovest: vista generale dell’area fatta esplodere dall’IS.

 

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Distruzione del tempio di Nabu e della “Fish Gate”.


10 novembre 2016

IRAQ
La capitali assire Nimrud e Khorsabad: nuove distruzioni

Spianata la ziqqurrat di Ninurta a Nimrud
Sconcertanti immagini satellitari pubblicate da ASOR (The American Schools of Oriental Research, Cultural Heritage Initiatives) dimostrano lo spianamento  con bulldozer  da parte dello Stato Islamico, avvenuto all’inizio di ottobre, della  ziqqurrat dedicata al dio guerriero Ninurta dal sovrano assiro Assurnasirpal II (883-859 a.C.). Si tratta di un’imponente struttura in crudo a pianta quadrata (ubicata a nord del palazzo NW), con rivestimento in mattoni cotti e lastre lapidee alla base, di 58 x 58 metri, per un’altezza di 43 metri, che in antichità raggiungeva i 60 metri. E’ stato anche parzialmente danneggiato il limitrofo tempio di Ishtar (noto come Ishtar Sharratniphi), anch’esso scavato nel 1851 da Austen Henry Layard, e luogo da cui provengono i celeberrimi leoni guardiani del British Museum e del Museo di Mosul.

Nimrud, l’antica capitale assira di Kalkhu, la biblica Caleh, aveva già subito l’esplosione del palazzo NW (IX sec a.C.) e del tempio di Nabu (VIII sec a.C.). Le motivazioni della distruzione della ziqqurrat sarebbero anch’esse legate al passato idolatra delle civiltà mesopotamiche dell’età preislamica (ricordiamo che l’IS aveva già distrutto la ziqqurrat di Assur nel maggio 2015); ma non si può escludere anche l’utilizzo del sito  come base militare. Senza dubbio si tratta comunque di un’azione dimostrativa, mirata a seminare terrore nella popolazione locale e a dimostrare la forza dei jihadisti in un momento in cui l’IS ha ormai perso considerevole terreno. Nimrud, a circa 30 chilometri a sud-est di Mosul/Ninive, sarebbe appena stata riconquistata dalla forze irachene ma non abbiamo ancora ricognizioni sul terreno che confermino l’entità dei danni.

Base militare a Khorsabad
Inoltre, avevamo già riferito di reperti assiri emersi nell’altra antica capitale di Dur-Sharrukin (Khorsabad) in seguito a operazioni militari da  parte dei peshmerga curdi. Le immagini satellitari mostrerebbero che, dopo avere strappato il sito all’IS, le forze di liberazione curde avrebbero creato una base militare in piena regola direttamente sulle antiche rovine, spianando parte del sito per sistemare trincee, banchine di terra, postazioni per blindati, ecc.
In questa escalation militare si teme per l’integrità degli altri siti archeologici che a centinaia si concentrano nella piana di Ninive.

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Nelle due foto sopra
Nimrud: la ziqqurrat di Ninurta e il tempio di Ishtar prima (agosto 2016) e dopo la distruzione dell’IS (ottobre 2016)

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Nimrud: la ziqqurrat di Ninurta vista dal palazzo NW prima della distruzione di entrambi. (Foto Suzanne E. Bott 2008-2010)

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Nelle due foto sopra
Dur-Sharrukin (Khorsabad): l’area della cittadella con il palazzo reale di Sargon II (721-705) prima e dopo la costruzione delle banchine di terra (in rosso) della base militare.

Immagini da ASOR (The American Schools of Oriental Research, Cultural Heritage Initiatives), ASOR CHI Facebook page.

https://www.facebook.com/CulturalHeritageInitiatives/photos/pcb.422885397835292/422883681168797/?type=3&theater

Si veda anche:
http://news.nationalgeographic.com/2016/11/iraq-mosul-isis-nimrud-khorsabad-archaeology/


4 novembre 2016

IRAQ
Avanzata a meno di un chilometro dalle mura dell’antica Ninive

La liberazione di Mosul da parte delle forze speciali irachene, dei peshmerga curdi, col supporto aereo della coalizione alleata, procede dal settore orientale della città, dal quartiere periferico di Gogjali che si trova a circa un chilometro dalle antiche mura di Ninive. Siccome sarà il settore orientale a essere interessato dall’avanzata, lo stesso dove si trova l’antico sito, ci sono seri pericoli per la capitale assira, già occupata dalle forze jihadiste dell’IS che avrebbero dislocato mezzi pesanti scavando tunnel nell’area perimetrale delle mura urbiche.

Esprimo la mia profonda preoccupazione per l’evolversi degli eventi, nella speranza che i raid aerei tengano conto delle coordinate della città assira, e che i blindati iracheni e curdi si astengano dal transitare sulle sue rovine.

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Cartine con l’ubicazione di Ninive e la composizione etnica di Mosul.
(La cartina in basso è adattata da: Mosul Eye عين الموصل)


3 novembre 2016

IRAQ
L’avanzata verso Mosul: saccheggi e distruzioni intenzionali dei siti della piana di Ninive da parte dell’IS

Area di Kirkuk
Mentre continua l’operazione di liberazione di Mosul da parte delle forze speciali irachene e curde, emergono dati inquietanti sulla sorte di molti siti che vanno dalla preistoria all’età neoassira di cui è particolarmente ricca la regione. In particolare sotto attacco sarebbe l’area di Kirkuk, anticamente parte dello stato di Mitanni, quindi del regno neoassiro (II-I millennio a.C.).
L’emittente Iraqi News ha riportato la recente esplosione di un sito archeologico assiro e di oltre cento tombe, nei pressi di  Hawija a 55 chilometri a sud-ovest di Kirkuk, quindi di saccheggi sistematici nei siti archeologici vicini a  Tel al-Mahwis, al-Riyadh, Zab, Riyad, Abbasi e Rashad.
Secondo fonti irachene il commercio illegale di antichità costituirebbe una risorsa economica molto importante per i jihadisti che avrebbero dovuto subire, a causa dei bombardamenti alleati, un arresto nel mercato nero di petrolio.
http://www.iraqinews.com/iraq-war/isis-destroys-steals-archaeological-sites-near-kirkuk/

Area a nord di Mosul: carrarmati curdi nella capitale assira di Khorsabad (Dur-Sharrukin)
Straordinarie immagini pubblicate sulle pagine facebook dell’Iraq Museum di Baghdad e di Basheqa mostrano l’avanzata dei Peshmerga curdi da nord che si imbattono in una serie di reperti archeologici di età neoassira dopo avere liberato Khorsabad, la capitale nota anticamente come Dur-Sharrukin (Fortezza di Sargon) inaugurata dal sovrano Sargon II  nel 706 a.C. ma presto abbandonata dal suo successore Sennacherib.
Le immagini mostrano epigrafi con iscrizioni in caratteri cuneiformi, ceramica, elementi architettonici ed eccezionali pannelli decorati con figure in bassorilievo. Il fatto evidenzia tuttavia come i siti liberati siano potenzialmente a rischio di distruzione a causa del passaggio di blindati e mezzi pesanti. Il sito di Khorsabad aveva già subito gli attacchi dello Stato Islamico nel marzo 2015.

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Nelle foto sopra: Khorsabad, immagini dei reperti neossiri in cui si sono imbattuti i Peshmerga.

https://www.facebook.com/Ba3sheqa/photos/a.440698595945434.124398.269297949752167/1498875196794430/
https://www.facebook.com/museummm/posts/429485213888832

 

SIRIA
Palmira: i saccheggi continuano sotto gli occhi dei russi

Lo riferisce Chiekhmous Ali, archeologo e responsabile della Association for the Protection of Syrian Archaeology (APSA), di sede a Strasburgo ma che vanta contatti diretti con i locali, in una intervista recente rilasciata al Telegraph. Ali dichiara che «sono gli stessi saccheggiatori che facevano affari con l’IS ad agire impuniti anche durante l’occupazione russo-siriana, corrompendo soldati e ufficiali del regime che hanno creato una base militare nel sito».
La notizia viene confermata da Khaled Omran, membro dell’APSA e fuggito in Turchia dopo che suo zio Khaled al-Assad, già direttore delle Antichità di Palmira, è stato trucidato dai miliziani dell’IS nell’agosto 2015. L’archeologo, che denuncia anche la presenza della base militare russa nel sito al quale non potrebbero accedere i siriani, si occupa di monitorare il mercato illegale di beni culturali, e documenta la presenza di un fiorente commercio di antichità siriane attraverso la Turchia e il Libano, soprattutto statue, monete e ceramiche. Notizie inquietanti che comunque devono essere attentamente vagliate e documentate.
http://www.telegraph.co.uk/news/2016/10/03/under-the-russians-noses-looters-continue-to-plunder-treasures-o


18 ottobre 2016

Ieri, lunedì 17 ottobre, è iniziato il conto ala rovescia per la liberazione di Mosul/Ninive da parte delle forze irachene, curde e dei loro alleati occidentali. Abbiamo notizie terribili sulle condizioni della popolazione, intrappolata nella città, la quale, stando a fonti arabe come Al Jazeera, sarebbe stata circondata da un fossato pieno di petrolio.

I jihadisti dell’ISIS lo utilizzerebbero come “fiume di fuoco” per proteggersi dall’attacco imminente. In tali condizioni, e con i bombardamenti aerei della coalizione a guida USA, è chiaro che il sito della capitale assira di Ninive è a fortissimo rischio di devastazione, per non parlare della popolazione.

Vorrei lanciare un appello alle autorità italiane, alla Presidenza della Repubblica  e al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, affinché il governo italiano faccia pressione su quello statunitense per mitigare i danni ai popoli e al loro incredibile retaggio storico. Quello che perderemo, sarà perso per sempre.
Spero che a questo mio appello si uniscano i colleghi archeologi e la società civile.
Paolo Brusasco
http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2016/10/mosul-fall-great-cost-161018081625917.html
https://www.middleeastmonitor.com/20160921-daesh-prepares-river-of-fire-to-defend-mosul/


29 settembre 2016

IRAQ
Basi militari e saccheggi nei siti archeologi della piana di Ninive e nella capitale assira

Contestualmente all’avanzata verso Mosul/Ninive da parte delle forze alleate curde e irachene, si registrano nuovi saccheggi e/o costruzioni di basi militari nel sito della biblica Ninive, capitale dell’impero neoassiro nel VII sec. a.C. sotto Sennacherib e Assurbanipal. Immagini satellitari pubblicate dall’American Schools of Oriental Research (ASOR – Weekly Report 103-104) mostrano diverse nuove gallerie scavate sul lato di tell Kuyunjik, l’acropoli principale della città, e sui fianchi dei resti dell’antico sistema murario che per dodici chilometri cingeva la città antica – sistema di fortificazioni già in parte fatte saltare insieme alle principali porte urbiche dallo Stato Islamico la scorsa primavera. La stessa tipologia di gallerie laterali è presente nei siti archeologici di Qara Tepe e Khidr Alyas vicino alla città di Tal Afar, non distante da Mosul. Il fatto che i tunnel siano orizzontali, e non verticali, potrebbe indicare un copione già visto per alcuni siti sumerici del sud dell’Iraq indagati dal British Museum in una ricognizione del 2008: ovvero la creazione di basi militari ricavate nel terreno per nascondere blindati, mezzi pesanti di vario tipo e materiale bellico. Un’operazione già attestata, per esempio, nel sito preistorico e sumerico di  Tell Obeid, nei pressi di Ur, nel sud dell’Iraq, dove si notano le installazioni militari radiali ad opera delle forze irachene durante la seconda Guerra del Golfo.

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Un tunnel scavato nel fianco delle mura di Ninive.
(ASOR CHI/DigitalGlobe; May 2, 2016).

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Sito sumerico di Tell Obeid, fotografato durante l’ispezione di J. Curtis, 6 giugno 2008: vista aerea del tell che mostra installazioni militari radiali.
(Foto British Museum)

 

IRAQ
Bombardamenti Usa sull’Università di Mosul, covo dei miliziani dell’IS

Mentre le forze alleate dei curdi e dell’esercito iracheno intensificano la loro azione congiunta di accerchiamento da nord e da sud della città di Mosul ancora in mano ai miliziani dello Stato Islamico, si registrano danni molto gravi alla prestigiosa Università di Mosul, la più importante dell’Iraq dopo quella di Baghdad, a causa dei bombardamenti da parte della coalizione guidata dagli USA. Fondata nel 1967, l’Università aveva un organico di circa quattromila docenti e oltre trentamila studenti prima dell’avvento dell’IS nel giugno 2014.

Contava di un campus principale, con diverse facoltà tra cui quelle di Economia, Agricoltura, Ingegneria e Scienze Umanistiche – molte delle quali, tra cui Archeologia, Storia dell’Arte, Legge e Scienze Politiche soppresse dai miliziani jihadisti perché considerate contrarie alla legge islamica. Si trovava anche il celebre “Palazzo delle Spade” voluto da Saddam Hussein nel 1994 come centro presidenziale, e quindi occupato dai marines  della 101st Airborne Division durante la seconda guerra del Golfo del 2003.

L’Università di Mosul è stata purtroppo trasformata dall’IS in un centro di ricerca altamente specializzato – e coordinato da scienziati affiliati allo Stato Islamico provenienti da ogni parte del mondo – nella costruzione di ordigni, esplosivi, bombe chimiche e per l’acquartieramento dei combattenti. Da qui la decisione di bombardarne le strutture.

(Amaq News https://www.youtube.com/watch?v=-WqeiF6-YSk)
ASOR – Weekly Report 105–106

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Bombardamento dell’Università di Mosul (marzo-agosto 2016).
(Foto Vice News)

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Distruzione dell’Università di Mosul (agosto 2016).
(Foto Amaq News Agency/Youtube)


18 luglio 2016

IRAQ
L’inizio della rinascita del patrimonio iracheno: l’area alluvionale delle paludi del sud dell’Iraq e i siti sumerici di Eridu, Uruk e Ur appena nominati Patrimonio Unesco

Finalmente una buona notizia. È arrivata oggi l’iscrizione nei siti Patrimonio Mondiale dell’Unesco della suggestiva pianura alluvionale con le paludi del sud dell’Iraq (quattro aree note come Ahwar) e tre dei celebri siti sumerici di Eridu, Uruk e Ur. Le motivazioni sono legate alla straordinaria ricchezza naturalistica e alla grande biodiversità della regione unita alla sua incredibile valenza storico-archeologica.

Ne hanno dato notizia Géraldine Chatelard e il team iracheno del Dipartimento di Antichità che da anni lavorano alla riqualificazione dell’area paludosa che era già stata in parte prosciugata dagli ingegneri di Saddam Hussein negli anni novanta del Novecento per mettere allo stremo le popolazioni indigene sciite dei Madan (gli abitanti della paludi). Dopo anni di sforzi per riportare l’acqua in quelle suggestive terre, sfondando le dighe costruite da Saddam, si è riusciti a restituire al luogo la bellezza originaria che nella Bibbia (Genesi) è considerato il Giardino nell’Eden.
Dal punto di vista storico, si tratta del cuore pulsante dove sono sorti i primi centri urbani della Mesopotamia, una regione che ha subito pesanti saccheggi dopo le guerre del Golfo.

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Le paludi del sud dell’Iraq appena nominate Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
(Foto da https://vimeo.com/172279035)

La sumerica Eridu, città antidiluviana, che nella Lista Reale Sumerica viene designata come “il luogo dove per prima scese dal cielo la regalità”, vanta diversi livelli obeid con le attestazioni degli edifici centrali (templi e centri direttivi) inglobati nella ziqqurrat di Enki, dio delle acque, e le prime ceramiche connotanti la fase obeid (VI-V millennio a.C.).

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Eridu: vista del tell (collina archeologica) principale con la ziqqurrat di Enki.
(Foto British Museum)

Uruk, uno dei primissimi centri urbani della storia, diviene nel periodo protourbano (c 3500-3000 a.C.) una delle principali metropoli del Vicino Oriente, con i due enormi santuari dell’Eanna (santuario-palazzo di Inanna) e dell’alta terrazza di Anu.

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Uruk, santuario dell’alta terrazza di Anu: Steingebäude (edificio in pietra) forse cenotafio di Dumuzi, il dio pastore.
(Foto British Museum)

Ur, infine, con le ricchissime necropoli protodinastiche messe in luce da Leonard Woolley negli anni venti del Novecento, rappresenta poi con la Terza Dinastia la più importante e meglio conservata capitale sumerica del III millennio a.C. Esempio emblematico sono la ziqqurrat di Ur-Nammu (in parte ricostruita nella seconda metà del Novecento) e i mausolei reali.

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Ur: la ziqqurrat di Ur-Nammu (2112-2095 a.C.).
(Foto British Museum)

È auspicabile che la loro nomina a siti Patrimonio Unesco possa segnare l’inizio di una fase di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale iracheno, dopo anni di distruzioni e negletto.

Unesco: http://whc.unesco.org/en/list/1481

Non perdetevi lo straordinario video!
https://vimeo.com/172279035


16 luglio 2016

SIRIA
Palmira, un’altra Babilonia: la base militare russa sul sito archeologico Patrimonio Unesco

Tutti abbiamo gioito per la liberazione di Palmira quando nel marzo scorso, dopo circa dieci mesi di occupazione da parte dei miliziani dell’IS, le truppe governative siriane con l’appoggio russo hanno strappato la città alle forze del sedicente Stato Islamico. Tuttavia, dopo le drammatiche distruzioni intenzionali dei miliziani jihadisti – precedute purtroppo dalla costruzione di una base militare da parte delle forze di Assad, e contestualmente da saccheggi estensivi nel sito archeologico – una ennesima minaccia incombe sul sito Patrimonio Unesco.

La costruzione di una nuova base militare nell’area della Necropoli Nord, ubicata sul versante settentrionale del sito in prossimità della città moderna di Tadmor e del Museo di Palmira, che, secondo le fonti russe, sarebbe stata allestita per portare a termine l’opera di sminamento del sito archeologico. Sebbene poco indagata, la Necropoli Nord vanta una notevole estensione e una straordinaria serie di tombe a torre, ipogei e templi funerari del I-III sec. d.C. che, anche se meno conosciuti al pubblico, per ricchezza e varietà eguagliano le più celebri tombe della “valle dei sepolcri”.

Un recente rapporto dell’ASOR (The American Schools of Oriental Research) Cultural Heritage Initiatives, che riprende documenti e filmati pubblicati da diversi mezzi di stampa, ripropone una serie di sconcertanti immagini della base militare, sia da terra sia dal satellite. Come si evince anche da un video della AFP (Agence France-Presse) news agency, la base, edificata tra aprile e maggio 2016, è composta da una grande spianata rettangolare, circondata da una recinzione metallica e filo spinato, con all’interno una serie di strutture che vanno dai container alle tende, da una cucina da campo a grosse parabole satellitari; si trovano inoltre un eliporto, due nuove strade pavimentate che tagliano il sito, una serie di parcheggi per mezzi pesanti che insistono direttamente su alcuni ipogei, delle banchine triangolari utilizzate come postazioni di artiglieria, e diversi blindati che stazionano nella base e attraversano l’area archeologica.

Se lo scopo di bonificare Palmira è del tutto lodevole, tuttavia non si comprende il motivo per cui si debba sistemare le attrezzature militari nel mezzo del sito stesso. Sembra di vedere un copione già sperimentato a Babilonia in Iraq, quando dopo la seconda Guerra del Golfo tra l’aprile 2003 e il dicembre 2004 venne allestita la base militare alleata (americana e polacca) Camp Alpha che, secondo attendibili stime dell’UNESCO e del British Museum, ha creato un danno irreversibile al sito. Così come la fantastica capitale di Hammurabi e Nabucodonosor II, anche Palmira è soggetta ai traumi causati dalle infrastrutture militari, siano essi le forti vibrazioni causate dagli elicotteri o il passaggio di mezzi blindati che alterano sensibilmente i fragili livelli archeologici della Necropoli. La lezione di Babilonia non è purtroppo servita.

Rapporto ASOR

AFP video

PALMIRA SATELLITARE PRIMA DELLA BASE

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Palmira: foto satellitare prima (sopra) e dopo (sotto) la costruzione della base militare russa nella Necropoli Nord. (Foto da ASOR Cultural Heritage Initiatives, ASOR CHI/DigitalGlobe, 25 maggio, 2016)

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Palmira: base militare russa con il castello arabo di ibn Ma’an sullo sfondo. (Foto AFP, 7 maggio, 2016)

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Palmira: blindati nella base militare. (Foto AFP, 7 maggio, 2016)

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Babilonia: base alleata Camp Alpha (2003-2004) accanto al ricostruito palazzo Sud di Nabucodonosor II (604-562 a.C.).


9 luglio 2016

SIRIA
Museo di Palmira: oltre alla distruzione delle statue anche la profanazione della mummie!

Il sedicente Stato Islamico ha pubblicato oggi un breve video propagandistico risalente al periodo di occupazione di Palmira in cui viene mostrata la già nota distruzione con mazze delle splendide sculture funerarie che decoravano le necropoli cittadine. Un elemento di novità sono purtroppo le immagini della profanazione con bulldozer di quattro mummie assai ben conservate, due uomini e due donne, del II-III secolo d.C., nascoste dal Dipartimento di Antichità siriano in un magazzino segreto poco prima della presa di Palmira da parte dell’IS, dopo essere state esposte nel Museo dal 2005. Si trattava di resti umani con una serie di strati di tessuto eccezionalmente conservati. Una grave perdita e un’azione barbara.
http://art-crime.blogspot.it/2016/07/isis-releasesvideo-showing-its.html

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8 giugno 2016

IRAQ
Esplosione del tempio di Nabu a Nimrud

In un nuovo video propagandistico i miliziani dello Stato islamico mostrano la distruzione dei “simboli del politeismo degli infedeli kuffar” – come recita il terrorista che commenta la scena. Quindi si vede l’esplosione del celebre tempio di Nabu, la cosiddetta Ezida di Nimrud, edificato nell’angolo sud-est dell’acropoli principale della città nell’VIII sec a.C. probabilmente dalla regina Shammuramat o dal sovrano Adad-nirari III (810-783 a.C.).

Il tempio, sviluppato su due cortili sul lato orientale, con doppia cella lunga e adyton di tipo assiro era dedicato al dio della scrittura e della sapienza Nabu – figlio del dio babilonese Marduk – e alla consorte Tashmetu; il culto di Nabu aveva assunto una grande rilevanza religiosa anche in Assiria. Il santuario venne ampliato da Sargon II (721-705 a.C.) nel settore nord-ovest con l’aggiunta di un cortile affiancato da una sala del trono e due piccoli santuari dedicati alla divina coppia di Nabu e Tashmetu per l’akitu, la festività annuale del Capodanno in cui attraverso il “matrimonio sacro” avveniva la  rigenerazione della natura.

Il santuario era anche una rinomata “università” e centro del sapere per la presenza di una nutrita biblioteca di testi cuneiformi con presagi astrologici, magici, medici e scritti letterari.
Venne scavato nel XIX secolo dagli archeologi Loftus e Rassam, quindi negli anni cinquanta del Novecento da Max Mallowan e infine fu ricostruito negli anni settanta dal Dipartimento di Antichità iracheno.

Il copione della distruzione è lo stesso di quello che aveva visto l’esplosione sempre a Nimrud del palazzo nord-ovest di Assurnasirpal II (883-859 a.C.) nel video dell’11 aprile 2015: nel nuovo video si vede in particolare la distruzione e il crollo dell’arcata del principale ingresso del tempio conosciuto come “Fish Gate” per via della presenza  ai suoi lati di due enormi geni protettivi in pietra a forma di tritone (le teste vennero distrutte in antichità) che erano conservati ancora in situ.

Il resto delle strutture del tempio appaiano invece ancora in discrete condizioni. Nuove immagini satellitari pubblicate da UNOSAT (United Nations Operational Satellite Applications Programme) indicano che la distruzione è avvenuta poco prima del 3 giugno 2016. Alla fine di questo nuovo video si sente la voce del jihadista dell’IS che minaccia anche di distruggere le piramidi in Egitto, di cui si mostra la foto, un atto di propaganda e proselitismo non nuovo…
Video

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Nimrud, tempio di Nabu prima della distruzione: l’entrata principale “Fish Gate” con i geni a forma di tritoni che la proteggono ai lati (le teste vennero distrutte in antichità).
Fotografia del maggio 2008, Suzanne E. Bott.

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Nimrud: cella del tempio di Nabu prima dell’esplosione.
Fotografia del maggio 2008, Suzanne E. Bott.

 

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Nimrud: tempio di Nabu durante l’esplosione.
Fotografie del 7 giugno 2016, IS.

 

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Nimrud: tempio di Nabu dopo l’esplosione. Si vede l’arco collassato dell’entrata principale (“Fish Gate”) con il resto delle strutture templari ancora in piedi.
Fotografia del 7 giugno 2016, IS.

 

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Nimrud, tempio di Nabu: dopo l’esplosione in una foto del 7 giugno 2016 (IS), con in primo piano il genio-tritone a protezione della “Fish Gate” ridotto in frammenti, e come era prima della distruzione in una foto del maggio 2008 di Suzanne E. Bot.

 

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Nimrud, tempio di Nabu prima e dopo l’esplosione avvenuta poco prima del 3 giugno 2016. Fotografia UNOSAT (United Nations Operational Satellite Applications Programme)

8 giugno 2016

IRAQ
Ninive. Parziale distruzione della Porta di Nergal

Nella parte inziale dello stesso Video si vede lo spianamento con bulldozer delle mura di Ninive e della Porta di Mashki di cui avevamo già dato conto. Un nuovo dato è il recente attacco alla Porta di Nergal: quello che rimane dei tori alati androcefali (lamassu), già in parte sfigurati e distrutti come si vedeva nel video dl 26 febbraio 2015, sono stati ora rimossi con ruspe, mentre la parte posteriore della porta è stata sfondata.

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Ninive, Porta di Nergal: rimozione dei resti dei tori alati ancora in situ e distruzione della parete posteriore della porta.
Fotografia del 7 giugno 2016, IS.


17 maggio 2016

IRAQ
La distruzione delle porte, delle mura e del “Palazzo senza eguali” di Ninive

Analisi delle immagini di propaganda dell’IS

Il sedicente Stato Islamico ha pubblicato una serie di immagini propagandistiche che mostrano lo spianamento con bulldozer delle fortificazioni di Ninive nei tratti della Porta di Mashki e di Adad, di cui avevamo già dato conto le settimane passate. Il testo e le immagini, pubblicate da “l’Ufficio Amministrativo dell’IS del Vilayet Ninawa”, documentano la “demolizione dei simboli del politeismo della città di Mosul”.

In sequenza si vede l’attacco alle suddette porte, in particolare le arcate in mattoni della Porta di Mashki, la cosiddetta “Porta dell’abbeveraggio” ricostruita dal Dipartimento di Antichità iracheno ai tempi di Saddam Hussein e nel 2009, mentre una fotografia del fregio ricostruito della Porta di Nergal confermerebbe che questo accesso sia ancora in piedi.

Soprattutto colpisce la distruzione del celeberrimo “Palazzo senza eguali” (Palazzo sud-ovest) di Sennacherib (704-681 a.C.) che avevamo già documentato in base alle fotografie satellitari. Dalle immagini pubblicate dall’IS si vede l’attacco alla suite del trono I-V. Una veduta generale della sala V da sud-est, con in primo piano il toro alato androcefalo (lamassu) di protezione del portale che immette alla sala del trono I.

Il toro alato, già in parte frammentario e privo della parte frontale, appare quasi inalterato, tuttavia si notano i resti e le macerie delle mura della sala del trono I e della sala retrostante V. La copertura metallica risulta depredata, i piloni metallici di sostegno crollati e le murature del Palazzo ancora parzialmente in piedi nell’angolo nord-ovest (come appurato anche dalle fotografie satellitari).

L’IS ha pubblicato anche quattro immagini di bassorilievi celebrativi con la raffigurazione delle campagne militari del Levante (i rilievi provengono dalla suite del trono I-V): si vedono fiumi in paesaggi di montagna, cavalli, carri e soldati deturpati verosimilmente nelle loro fattezze iconografiche per motivi ideologici (ma lo stato di conservazione frammentario dei rilievi non permette di appurarlo con certezza).

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Ninive, “Palazzo senza eguali” (Palazzo SW), suite del trono: Sala V da sud-est, con in primo piano il toro alato androcefalo (nel passaggio verso la Sala del trono I), prima (fotografia Centro Scavi di Torino 2002) e dopo la distruzione dell’IS (foto IS, 16 maggio 2016).

 

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Ninive, “Palazzo senza eguali” (Palazzo SW): bassorilievi dalla suite del trono I-V.
(Fotografia IS)

 

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Ninive, “Palazzo senza eguali” (Palazzo SW): bassorilievi dalla suite del trono I-V. (Fotografia IS)

 

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Ninive, particolare della sommità della Porta di Nergal ancora in piedi.
(Fotografia IS)

 

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Ninive, Porta di Mashki (“Porta dell’Abbeveraggio”) prima e dopo la distruzione dell’IS.
(Fotografia IS)

 

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Ninive, Porta di Mashki (“Porta dell’Abbeveraggio”): distruzione dell’IS.
(Fotografia IS)

 

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Ninive, distruzione delle mura nel tratto attiguo alla Porta di Mashki e di Adad da parte dell’IS.
(Fotografia IS)

Fonte delle immagini: http://www.coobra.net/showthread.php?t=9689


10 maggio 2016

IRAQ
Ninive. Spianato il “Palazzo senza eguali” di Sennacherib

Nuove immagini satellitari, supportate da testimoni locali, indicano l’attacco da parte dei miliziani del sedicente Stato Islamico del palazzo sud-ovest (SW), il celeberrimo “Palazzo senza eguali” edificato dal sovrano neoassiro Sennacherib (704-681 a.C.) “per l’ammirazione di tutti i paesi” sull’acropoli principale di Kuyunjik.

Scavato da Austen Henry Layard per il British Museum dal 1847 all’aprile del 1851 – con la scoperta di oltre settanta ambienti decorati da circa 3 chilometri di lastre d’alabastro intagliate con i bassorilievi delle vittorie, delle cacce e delle scene di corte (oltre al rinvenimento di parte della famosa biblioteca di Assurbanipal) –, il palazzo venne successivamente indagato dagli archeologi inglesi William King (1903-4) e dal giovanissimo Max Mallowan (1931-32). L’area della suite del trono, purtroppo quella interessata dalle distruzioni recenti, venne quindi restaurata e musealizzata con l’allestimento di un grande parco archeologico negli anni Sessanta del Novecento dal Dipartimento Iracheno delle Antichità sotto la direzione di Tariq Madhloom.

Infine l’Università di Berkeley nel 1987 riprese ulteriori indagini nel sito e J.M. Russell studiò lo stato di conservazione dei rilievi parietali rimasti in situ (la gran parte della lastre era stata infatti inviata al British Museum da Layard). Era evidente il forte degrado in cui versavano le fragili lastre in alabastro gessoso, esposte all’urto degli agenti atmosferici – fatto appurato inoltre dalla campagna stereo-fotogrammetrica e petrografica attuata nel 2002 dagli esperti del Centro Scavi di Torino e dalla immagini del 2013 pubblicate dal Dipartimento di Antichità iracheno.

Le immagini satellitari pubblicate da ASOR Cultural Heritage Initiatives del 2, 8 e 9 maggio 2016 mostrano chiaramente la distruzione con bulldozer delle murature in crudo della suite del trono, in particolare la sala del trono I e le sale retrostanti IV e V. La tettoria metallica di protezione, ripristinata nel 2004 dopo la seconda Guerra del Golfo, risulta anche completamente asportata. Tutte le sculture parietali (ortostati) che decoravano le sale I e V sono stati distrutte e/o razziate, e sembrano rimanere in situ solo alcuni blocchi del lato sud-occidentale della sala V.
Tracce di veicoli pesanti sono visibili all’interno dell’area del palazzo e nella corte antistante l’entrata della sala del trono I.

È verosimile ipotizzare che l’IS da un lato abbia proceduto al furto di quei rilievi ancora in buono stato al fine di immetterli sul mercato clandestino (furti occasionali di rilievi erano già avvenuti nel 1995-96) e, dall’altro, allo spianamento delle strutture meno ben conservate. La distruzione del nucleo principale del palazzo rappresenta una perdita di estrema gravità dal punto di vista storico e archeologico, dal momento che la biblica Ninive e la sua reggia erano il centro propulsore del primo impero universale della storia, caduto nel 612 a.C. sotto l’urto di Medi e Babilonesi.

Alla luce di questi tragici avvenimenti, desta seria preoccupazione la sorte della capitale Ninive, in particolare le altre strutture ubicate sull’acropoli di Kuyunjik, come il palazzo nord di Assurbanipal (668-631 a.C.), il sito in cui H. Rassam rinvenne il famoso ciclo delle grandi cacce al leone (oggi al British Museum), ma anche le aree archeologiche della città bassa.

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Ninive: immagine Digital Globe (aprile 2016) del “Palazzo senza eguali” (Palazzo SW) prima della distruzione, con la tettoia ancora visibile.

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Ninive: immagine Digital Globe (2 2016) del “Palazzo senza eguali” (Palazzo SW) dopo la distruzione.
Rielaborazione da ASOR Cultural Heritage Initiatives
https://www.facebook.com/CulturalHeritageInitiatives/posts/358854640905035

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Ninive: il “Palazzo senza eguali” (Palazzo SW) in una fotografia del 2013 che mostra lo stato di degrado in cui versavano i bassorilievi parietali.
ASOR Cultural Heritage Initiatives
https://www.facebook.com/CulturalHeritageInitiatives/posts/358854640905035


6 maggio 2016

IRAQ
Ninive. Saccheggi, costruzione di infrastrutture e aggiornamento sulle mura

L’American School of Oriental Research (ASOR Cultural Heritage Initiatives) ha reso noto che la distruzione delle mura di Ninive riguarda la Porta di Mashki e quella di Adad, mentre la Porta di Nergal sarebbe ancora intatta (a parte la distruzioni dei tori alati androcefali del febbraio 2015).
La fonte locale che aveva fornito le immagini delle distruzioni, pubblicate anche da noi su questa rubrica, aveva identificato erroneamente la Porta di Adad con quella di Nergal (entrambe insistono sul lato nord delle mura).

Tuttavia le notizie non sono incoraggianti: le immagini satellitari confermano la distruzione della Porta di Adad e di Mashki e di lunghi tratti dello spettacolare sistema di fortificazioni merlate, in crudo e pietra, sul lato nord-occidentale e settentrionale della città. Inoltre il satellite, e alcuni testimoni locali, evidenziano la presenza di aree interessate dai saccheggi: in particolare sarebbero state razziate pregiate sculture parietali che decoravano il celeberrimo palazzo sud-ovest, “la reggia senza eguali” che il sovrano Sennacherib (704-681 a.C.) aveva edificato in oltre dieci anni di lavori sull’acropoli di Quyunjik; gli scavi clandestini interessano diversi settori della città, specialmente l’area dell’acropoli principale. A questi gravi danni si aggiunge un fenomeno non nuovo: lo sviluppo urbano incontrollato, con la costruzione di due strade che attraversano il sito e di un nuovo ponte sul fiume Khosr.

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Immagini da ASOR Cultural Heritage Initiatives
https://www.facebook.com/CulturalHeritageInitiatives/posts/357880997669066

Porta di Nergal dal satellite, 2 maggio 2016

Porta di Nergal, foto 2 maggio 2016. La Porta risulta intatta.

 

Porta di Adad, dal satellite, 1 aprile 2016

Porta di Adad dal satellite, 2 maggio 2016

Porta di Adad prima (1 aprile 2016) e dopo la distruzione (2 maggio 2016).

 

Porta di adad e tratto di mura dal satellite, 1 aprile 2016

Porta di Adad e tratto di mura dal satellite, 2 maggio 2016

Tratto delle mura di Ninive e della Porta di Adad prima (1 aprile 2016) e dopo la distruzione (2 maggio 2016).

 

Porta di Mashki dal satellite, 1 aprile 2016

Porta di Mashki dal satellite, 2 maggio 2016

Tratto delle mura di Ninive e della Porta di Mashki prima (1 aprile 2016) e dopo la distruzione (2 maggio 2016).

 

Immagine satellitare di un tunnel di scavo candestino a Ninive

Immagine satellitare di un tunnel di scavo clandestino a Ninive.

 

Immagine satellitare del fiume Khosr a Ninive, 1 aprile 2016

Immagine satellitare del ponte costruito sul Khosr, 2 maggio 2016

Immagine satellitare del fiume Khosr a Ninive prima (1 aprile 2016) e dopo (2 maggio 2016) la costruzione del ponte.


21 aprile 2016

IRAQ
Le devastanti immagini della distruzione della Porta di Mashki e di Adad

Purtroppo sono giunte alcune devastanti immagini sulla distruzione della Porta di Adad e di Mashki, di cui abbiamo fornito il resoconto la settimana scorsa. Nelle foto si vedono i resti della Porta di Adad con in lontananza un bulldozer. Anche di quella di Mashki non sembra rimanere più nulla come si evince dalle rovine in secondo piano dietro il cartello che indica la porta stessa. Fonti locali sosterrebbero che lo Stato Islamico starebbe spianando anche dei tratti delle poderose fortificazioni della biblica Ninive, la capitale neoassira di Sennacherib e Assurbanipal.

Queste distruzioni intenzionali, che non sono nemmeno “giustificate” dal pretesto dell’attacco ai “falsi idoli” visto che le porte in questione (a parte quella di Nergal) non avevano tori alati androcefali, indicherebbero un’azione propagandistica dell’IS atta a riaffermare il suo potere in un momento di particolare debolezza politico-militare: sarebbe imminente l’offensiva delle forze alleate irachene per riprendere Mosul, la città moderna dove si trova l’antica Ninive.

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Immagini tratte dal Cultural Heritage Initiative (CHI), American Schools of Oriental Research, pubblicate sul National Geographic:
http://news.nationalgeographic.com/2016/04/160419-Islamic-State-ISIS-ISIL-Nineveh-gates-Iraq-Mosul-destroyed/


18 aprile 2016

SIRIA
Ultime da Palmira

Prime esclusive immagini di Palmira da un drone russo
La televisione russa ha trasmesso le prime straordinarie immagini dall’alto di Palmira girate dopo che il sito Patrimonio Unesco e la città moderna sono stati riconquistati recentemente dalle forze di Assad con il supporto russo. Nel video, il drone mostra i resti in rovina dell’area limitrofa al teatro, con la Corte della Tariffa e l’agorà con portici corinzi in discrete condizioni. Si vede quindi in primo piano il celeberrimo teatro provinciale romano del II secolo d.C. senza apparenti danni strutturali alla cavea e al palcoscenico scandito da esedre e nicchie. Viene quindi ripresa la Grande Via Colonnata, che appare in buone condizioni, e la distruzione dell’Arco monumentale severiano con in lontananza il tempio di Bel raso al suolo. Sul lato opposto del teatro si nota anche il tetrapilo, monumento con quattro piedistalli colonnati, solo parzialmente danneggiato. Un quadro quindi incoraggiante per quanto riguarda la conservazione dei monumenti di cui non si aveva notizia (l’agorà, il teatro e le mura).
Video Russian TV: https://www.youtube.com/embed/zFHcIm9F41w

Il Leone di Allat si può ricostruire dai pezzi originali!
Il direttore del Dipartimento di antichità siriano, Maamoun Abdulkarim, ha recentemente dichiarato che “le rovine di Palmira appaiono in buone condizioni, molto meglio di quello che ci si poteva aspettare”. Abbiamo certo perduto due gioielli come i templi di Bel e Baal Shamin così come l’arco trionfale severiano e almeno sette spettacolari tombe a torre, fatti saltare dallo Stato Islamico, ma ci sono buone notizie per la conservazione generale degli altri monumenti storici. Non solo: del tempio di Bel sono rimasti ancora i blocchi che permetterebbero una anastilòsi: il restauro dei pezzi originali. Ma anche quello di Baal Shamin verrà presto ricostruito con il supporto dell’Unesco.

La notizia sensazionale è il recupero dei frammenti del celeberrimo Leone di Allat (I sec. a.C.), simbolo della nota divinità femminile panaraba; Maamoun Abdulkarim sostiene (come si vede nella foto qui allegata) che si potranno rimettere insieme i pezzi originali della mastodontica statua di 15 tonnellate distrutta dallo Stato Islamico la scorsa estate 2015 (distruzione di cui avevamo dato conto sulla pagina facebook di AV). Un annuncio di buon auspicio visto che il leone era considerato irrecuperabile. Danni più strutturali sono invece visibili nel Castello musulmano, la roccaforte che svetta su Palmira costruita in età ayyubide (XIII sec.) e riedificata nel XVI sec. dall’emiro druso Fakhr-al-Din ibn Ma’an.
http://www.dailymail.co.uk

Prime immagini del Museo di Palmira
Il Dipartimento di Antichità siriano (DGAM) intanto ha pubblicato le prima esclusive immagini delle rovine di Palmira che documentano lo stato di conservazione del sito, e soprattutto le fotografie del Museo di Palmira. Oltre 400 sculture, generalmente busti funerari provenienti dalle necropoli cittadine, vennero evacuate dal museo pochi giorni prima dell’arrivo dello Stato Islamico nel maggio 2015, ma erano rimaste in situ diverse statue di grandi dimensioni e inamovibili. Dalle foto del DGAM appare come queste ultime siano state sfigurate e fatte a pezzi dall’IS ma in maniera che non comprometterebbe un loro restauro a partire dai pezzi originali.

Intanto, sono stati resi noti altri sconcertanti dettagli sulla distruzione del museo dopo una prima visita a metà aprile da parte di archeologi polacchi guidati da Bartosz Markowski, del Polish Archaeological Center dell’ Università di Varsavia. Il Museo di Palmira si presentava in condizioni pietose, tutte le 200 sculture rimaste in situ sono state distrutte con mazze, in particolare decapitate e private delle mani, mentre un numero imprecisato di capolavori è stato rubato. Gli archeologi polacchi hanno impiegato una settimana a raccogliere i frammenti dei reperti che sono poi stati messi al sicuro al Museo di Damasco. Molti di essi potranno essere restaurati a partire dai pezzi originali ma certamente sarà impossibile restituire appieno il loro originario splendore. Un fatto inquietante: l’archeologo Markowski sostiene che “il museo presentava anche notevoli danni strutturali dovuti ai bombardamenti aerei”.

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Le prime immagini del Museo di Palmira
(Foto DGAM) – http://www.dgam.gov.sy/index.php?d=314&id=1957

 

Il futuro di Palmira
Nonostante le note di ottimismo, rimangono da verificare i danni causati al sito dai bombardamenti aerei russi e siriani e dal suo uso come base militare delle forze del regime. Intanto, le forze russe stanno inviando ingegneri, artificieri e robot per avviare un piano di sminamento delle antiche rovine di Palmira. Solo dopo la bonifica del sito, che l’IS aveva pesantemente minato, si potranno stilare le somme dei danni e avviare un progetto di restauro. Un interessante reportage di RTnews mostra nuove immagini di Palmira e del Museo distrutto, con l’intervista esclusiva al direttore del Dipartimento di Antichità siriano, Maamoun Abdulkarim.

Reportage RTnews su Palmira:
https://www.youtube.com/watch?v=IERftLWF9SQ
https://www.rt.com/news/337414-russia-palmyra-mine-robots/


15 aprile 2016

IRAQ
Ninive. Spianata la Porta di Adad e le mura attigue

In questi giorni, una dopo l’altra le celebri porte di Ninive starebbero soccombendo alle distruzioni dello Stato Islamico. Purtroppo nuove sconcertanti notizie ci giungono dall’Iraq secondo le quali i miliziani avrebbero spianato con bulldozer la Porta di Adad, dio della tempesta, ubicata sul lato nord delle mura poco distante dalla Porta di Nergal. Anche il tratto delle fortificazioni tra questi due accessi monumentali sarebbe sotto attacco.
La Porta di Adad, sebbene parzialmente ricostruita negli anni Sessanta dal Dipartimento di Antichità iracheno, presentava eccezionali strutture murarie originali (in crudo) dell’VIII-VII sec. a.C., ancora visibili nella sezione
anteriore del passaggio voltato. Se confermate da immagini queste terribili notizie non possono che destare seria preoccupazione per la sorte di un sito tra i più importanti del Vicino Oriente antico.

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La Porta di Adad prima della distruzione


15 aprile 2016

IRAQ
Ninive. Distrutte le mura e la Porta di Nergal

Fonti locali riferiscono che giovedì 14 aprile i miliziani dell’IS hanno distrutto completamente con bulldozer un tratto delle mura e quel che resta della Porta di Nergal, dio dell’oltretomba, sita sul lato nord di Ninive.
All’interno della struttura, riedificata negli anni settanta, si trovava il Museo di Nergal, due stanze che contenevano alcuni rilievi neoassiri, sculture e calchi moderni già distrutti dall’IS nel video del 26 febbraio 2015. Nello stesso video, si vedevano i miliziani che sfiguravano con mazze e seghe elettriche i grandi tori alati androcefali (lamassu) che ne proteggevano l’ingresso (scavati da Layard a metà dell’Ottocento).

La notizia è inquietante se letta alla luce delle recentissima distruzione della Porta di Mashki. Sembra che ora l’abbattimento degli idoli non sia più sufficiente, ma i terroristi stiano attaccando anche le strutture murarie e le porte della città biblica di Sennacherib (VIII sec a.C.).

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La Porta di Nergal prima della distruzione


11 aprile 2016

IRAQ
Attacco alle mura e alle porte monumentali di Ninive

Purtroppo notizie da fonti locali attendibili mi hanno comunicato (tuttavia non sono pervenute ancora immagini) dello spianamento con bulldozer da parte dello Stato Islamico della celebre porta urbica di Mashki a Ninive. Anche se ricostruita in crudo negli anni di Saddam Hussein e quindi nel 2009, il monumento è di straordinaria importanza storica: si tratta della “Porta dell’abbeveraggio” citata nelle fonti del sovrano neoassiro Sennacherib (704-681 a.C.), utilizzata per condurre le mandrie ad abbeverarsi nelle acque del fiume
Tigri che scorre nelle vicinanze. Si trova sul lato occidentale delle fortificazioni di Ninive, poco a nord dell’acropoli principale di Kuyunjik.

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Si teme anche per l’integrità di queste spettacolari opere di difesa in crudo: di 12 chilometri di perimetro, larghe sino a 45 metri, alte oltre 10, rivestite in pietra e protette da torri merlate, cingevano la capitale di 750 ettari – la città che la Bibbia descrive come “larga tre giornate di cammino” (Libro di Giona 3,3). In antichità, quindici porte turrite, che portavano i nomi dei principali dei del pantheon mesopotamico, si innalzavano per oltre 23 metri sul livello di campagna. Quella di Nergal (sul lato nord delle mura), protetta da tori alati androcefali, è stata distrutta dall’IS, come si ricorderà, nel video del 26 febbraio 2015.


21 marzo 2016

SIRIA
Aleppo Città Fantasma

Nuove e scioccanti immagini sulle condizioni della cittadella e dei quartieri storici limitrofi
I bombardamenti degli aerei russi e delle forze del regime siriano durante la conquista di Aleppo hanno recentemente colpito una serie di moschee storiche, tra cui quella di Al-Khayrat. Una troupe di France 24 guidata dalle milizie di Assad è riuscita a filmare, per la prima volta nel corso di questi cinque anni di guerra civile, il disastro delle distruzioni che si sono verificate a causa dello scontro tra le forze governative e le varie fazioni ribelli, sia all’interno della cittadella sia nei quartieri storici limitrofi, recanti le tracce del vecchio sistema a zonizzazione in isolati regolari della città ellenistica.

Le immagini sono confermate anche dalle fotografie scattate con droni tra il 25 e il 31 gennaio 2016 che il Dipartimento di Antichità siriano (DGAM) ha postato il primo febbraio sulla sua pagina telematica. Dalla primavera 2014, il gruppo islamista dell’Islamic Front ha fatto esplodere gallerie sotterranee minate distruggendo edifici storici sul lato meridionale della cittadella come le moschee-madrase Khusrawiyah e Sultaniyah, il Carlton Citadel Hotel (noto come l’Ospedale ottomano Ghouraba), il Khan as-Shouneh (1546), il Grand Serail (età mandataria, 1936) e il Matbakh al-Ajami (palazzo zenghide, XII sec.), mentre i Souq al-Zarb (mercato del conio di età mamelucca) e Qara Qamash (mercato tessile ottomano) sono stati bruciati dal fuoco dei combattimenti dal 2012 a oggi.

Si tratta di edifici di straordinaria rilevanza storica: la moschea Khusrawiyah è il primo importante monumento ottomano della Siria terminato nel 1547 su commissione del governatore di Aleppo Khusruv Pasha; la madrasa e moschea Sultaniyah (1225) è la tomba del grande sultano al-Zaher Ghazi, terzogenito di Saladino.

La cittadella di Aleppo
Le immagini mostrano danni apparentemente meno evidenti all’interno della cittadella di Aleppo, anche se sono visibili colpi di mortaio sulle strutture murarie delle fortificazioni, con crolli, macerie e resti di granate in vari punti. Il nucleo più antico della città, risalente al II millennio a.C., svetta su un’altura naturale di 55 metri di altezza rinforzata da terrapieni e possenti murature in pietra che si sono sviluppate dall’età seleucide e bizantina sino alle dinastie musulmane zenghide, ayyubide e mamelucca.

Nelle immagini sono visibili danni superficiali alla splendida entrata monumentale, decorata con draghi e leoni, una delle opere di difesa più straordinaria del Vicino Oriente medievale. Nel video si notano anche sacchi di sabbia collocati a protezione di un rilievo neoittita dal Tempio del dio della tempesta Adad, scoperto alla fine degli anni novanta del Novecento e risalente al II-I millennio a.C.; si vede quindi la grande Sala del Trono, originariamente residenza di al-Zaher Ghazi, poi riedificata dal governatore mamelucco Jakam Saif ad-Din, e la Grande Moschea (Jami’ al-Kabir), fondata (come quella di Abramo) dalle dinastie zenghide e ayyubide.

France 24 video:
http://www.francetvinfo.fr/monde/revolte-en-syrie/document-france-2-syrie-au-coeur-de-la-vieille-ville-d-alep-ravagee-par-la-guerre_1284019.html

Immagini dal Dipartimento Siriano di Antichità (DGAM):
http://www.dgam.gov.sy/?d=314&id=1903

Il futuro di Aleppo
Una nota positiva è la recente nascita di un progetto di ricostruzione di Aleppo da parte di un gruppo di esperti siriani espatriati a Budapest (Center for Conflict, Negotiation and Recovery – CCNR – at the Central European University in Budapest), che hanno lanciato una piattaforma telematica e stanno raccogliendo e documentando le meraviglie storiche della loro città cercando di coinvolgere la popolazione locale per pianificare la ricostruzione dei monumenti distrutti una volta terminato il conflitto. thealeppoproject.com

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Entrata della cittadella di Aleppo.
(Foto DGAM 2016)

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In primo piano l’entrata della cittadella di Aleppo, con la distruzione della moschea Khusrawiyah e del Khan al-Shouneh (in alto a destra), e del Grand Serail e la moschea Sultaniyah (in alto, centro-sinistra). Foto DGAM 2016

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La cittadella di aleppo vista dalla via attigua di al-Jamaa al-Umawi.
Foto DGAM 2016


24 febbraio 2016

SIRIA
Bombe sulla cittadella di Bosra

Le micidiali bombe a barile lanciate dagli elicotteri dell’esercito regolare di Assad il 22 dicembre 2015 colpiscono la cittadella di Bosra, capitale romana della provincia imperiale di Arabia, già capitale del regno nabateo, e Patrimonio Unesco dal 1980. Lo ha riferito e documentato con eloquenti immagini il Bosra al-Sham Department of Antiquities e il Syrian Observatory for Human Rights.

È stato pesantemente bombardato il settore occidentale del sito, con gravi danni allo straordinario teatro romano in pietra basaltica del II sec. d.C. (età traianea) e all’imponente fortificazione di età ayyubide del XIII sec. che lo circonda. Del teatro sono state colpite alcune colonnate del cortile, mentre la torre occidentale della cittadella è crollata.

Si tratta di uno dei teatri meglio conservati del Mediterraneo con una cavea contenente almeno 6000 spettatori. La cittadella venne iniziata dagli Omayyadi e dai Selgiuchidi, prima di essere completata dal sultano di Damasco al-Adil (figlio di Nur ed-Din), al fine di munire la città contro gli attacchi dei Crociati.

L’intervista con il direttore del Bosra al-Sham Department e le immagini delle distruzioni pubblicate da Orient News: https://www.youtube.com/watch?v=3melGaveV-s


7 febbraio 2016

SIRIA

Dopo i saccheggi e il campo terroristico, Ebla bombardata dai raid aerei russi

Alle ore 11 del 12 novembre, caccia russi hanno bombardato il sito archeologico di Ebla, in particolare il lato orientale dell’acropoli, causando danni e un cratere visibile al suolo. Si tratterebbe dell’area limitrofa al centro ufficiale del potere con i palazzi e templi principali della Ebla protosiriana (2400-2250 a.C.). Lo ha riferito, dopo un sopralluogo di verifica il 13 novembre 2015, il team del Day After Heritage Protection Initiative, un progetto di tutela diretta da Dr. Amr Al-Azm, già membro del Dipartimento di Antichità Siriano e ora docente di Antropologia e Storia del medio Oriente all’Università di Shawnee nell’Ohio.

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Ebla: la freccia indica l’area dell’acropoli colpita dai bombardamenti russi con i danni visibili sul terreno (foto in basso)

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Colpite dai raid russi anche le “città morte” bizantine del nord ella Siria, Patrimonio Unesco dal 2011

Alla fine di ottobre 2015, i raid russi, facendo uso delle micidiali munizioni a grappolo, hanno colpito anche due celeberrimi villaggi bizantini del nord della Siria: Shinshara e Serjilla (provincia di Idlib), in un’area che risulta al di fuori del territorio controllato dallo Stato Islamico. Serjilla è uno dei centri bizantini meglio conservati e data a partire dai primi secoli dell’era cristiana. Anche Shinshara, appartenente ai periodi ellenistico e bizantino, è Patrimonio Unesco e fa parte del parco archeologico di Bara and Serjilla. Si tratta di siti caratterizzati da una ricca varietà di edifici storici, tra cui bagni, chiese e raffinate tombe.

Immagini e fonti: http://dgam.gov.sy/?d=314&id=1821
ASOR Cultural Heritage Initiatives (CHI)


20 gennaio 2016

IRAQ
Immagini satellitari confermano la distruzione di Dair Mar Elia a Mosul

Immagini satellitari confermano la distruzione nell’agosto 2014 di Dair Mar Elia a Mosul, il più antico monastero cristiano dell’Iraq. Continua purtroppo la “pulizia culturale” delle minoranze etnico-confessionali dell’Iraq da parte dello Stato Islamico. Recenti foto satellitari mostrano inequivocabilmente la distruzione con bulldozer e dinamite di uno dei più celebri e antichi monasteri cristiani della regione.

Fondato alla fine del VI secolo dal monaco assiro (Mar) Elia, poi divenuto sede della chiesa siriana ortodossa e quindi caldea, il monastero era uno dei luoghi di pellegrinaggio cristiani più importanti dell’Iraq. Su una collina prospicente la città, svettava con oltre una trentina di stanze per i monaci, santuari e cappelle.

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La Messa nel 2010 a Mar Elia per i soldati USA

Nel 1743, venne attaccato e oltre cento monaci che si rifiutarono di convertirsi all’Islam furono messi a morte su ordine di Nadir Shah, fondatore della dinastia persiana degli Afsharidi. Rimasto in rovina sino all’inizio del XX secolo, fu teatro di battaglia durante la seconda Guerra del Golfo dell’aprile 2003, quando le truppe americane della 101st Airborne Division occuparono la struttura. Ma neanche allora venne risparmiato: graffiti e deturpazioni di vario tipo alterarono gli splendidi affreschi murali finché uncappellano dell’armata, compresa la straordinaria importanza storica del luogo, iniziò un piano di tutela e conservazione sviluppato dopo il 2008 con una ricognizione scientifica del 94th Engineer Battalion.

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Immagini satellitari che testimoniano la distruzione di Mar Elia

 

SIRIA
E in Siria il saccheggio continua

Dobbiamo sottolineare, tuttavia, come lo Stato Islamico non sia l’unico a perpetrare crimini contro il patrimonio culturale: secondo un recente rapporto di Ma’moun Abdelkarim, direttore del DGAM (Dipartimento delle Antichità Siriano), bande di terroristi e di contrabbandieri starebbero saccheggiando in modo sistematico l’area archeologica della provincia di Quneitra nell’estremo sud della Siria – in particolare l’antico villaggio di al-Rafid e i siti di al-Mahir, al-Ahmar, and al-Hawi al-Gharbi, ricchi di chiese e strutture funerarie di età bizantina e islamica, in un area quindi che non sarebbe sotto il controllo di forze jihadiste ma di semplici oppositori del regime di Assad.
Troppo spesso si dimentica che tutte le forze in campo commettono atti criminali contro i beni artistici della Siria e dell’umanità.


21 dicembre 2015

IRAQ
Distruzioni lapide tombali a Mosul

Purtroppo l’anno finisce nell’insegna di altre distruzioni intenzionali. Come dimostrano le immagini, i miliziani dello Stato Islamico hanno iniziato una campagna di sistematica distruzione dei cimiteri cittadini di Mosul, in particolare le lapidi tombali (dette Shahid).

Mosul vanta oltre diciassette cimiteri musulmani tra cui quelli di Bab al-Tob, al-Mishahda, Bab al-Maidan, Sheikh Fathi, Sheikh Hanash, al-Kawazin, Nabi Sheet e Imam Abdul-Rahman, molti di essi sono edifici storici di età medievale e rappresentano un distintivo tratto culturale della città. Anche quelli cristiani continuano ad essere colpiti.

Secondo Ihsan Fethi, membro dell’Associazione degli Architetti Iracheni, le distruzioni avverrebbero per mano di prigionieri di minoranze etnico-confessionali al fine di assicurarsi una qualche forma di redenzione (i.e. salvarsi la vita).
Un altro vile attacco all’umanità tutta, alla memoria e alla storia.

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3 novembre 2015

SIRIA
La fine di Palmira

Purtroppo l’Association for the Protection of Syrian Archaeology, sito telematico gestito da archeologi e studiosi siriani espatriati, ha appena pubblicato un video che conferma la distruzione da parte dello Stato Islamico dell’arco trionfale di Palmira, celeberrima opera del III sec. d.C. che fungeva da cerniera di svolta sulla via colonnata. Le immagini parlano da sole.
https://www.facebook.com/apsa2011
https://www.youtube.com/watch?v=pS92hUHq34k&feature=youtu.be


Contrabbando di reperti da Siria e Iraq

Intervista del 6 ottobre 2015 rilasciata dal professor Paolo Brusasco a “Repubblica” sulla filiera criminale del contrabbando di reperti da Siria e Iraq
Leggi l’intervista


8 ottobre 2015

SIRIA
Palmira. Minato il teatro romano

Le autorità siriane del Ministero della Cultura hanno ricevuto un rapporto confermato dagli abitanti di Palmira secondo il quale i miliziani dello Stato Islamico avrebbero minato recentemente il teatro di Palmira, gioiello dell’arte romana del II secolo d.C., per altro anche noto per le recenti esecuzioni capitali attuate dall’IS. La sua distruzione, secondo il macabro rituale dei terroristi, potrebbe essere imminente.

Il direttore del Dipartimento di Antichità della Siria, M. Abdulkarim, ha dichiarato che si tratta solo di una questione di tempo: Palmira verrà rasa al suolo.
http://sputniknews.com/middleeast/20151006/1028118213/palmyra-syria-isil-theater.html#ixzz3nuKaUFFX


19 settembre 2015

YEMEN
“Arabia Infelice”: l’attacco al passato dello Yemen

L’Arabia Felix dei classici sta subendo una pesante devastazione che non ha precedenti nella storia del Paese, una guerra settaria tra sciiti e sunniti che ricorda il conflitto siriano e iracheno ma che non ha catturato l’attenzione dei media. Negli ultimi sei mesi, i raid aerei della coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita, mirati a colpire i ribelli Houthi di credo sciita, hanno distrutto oltre 36 siti di interesse storico e archeologico. Tra questi, nella capitale San’a (Patrimonio Unesco), i raid hanno distrutto alcune celebri case-torri edificate in uno stile architettonico in mattoni e pietra risalente all’età preislamica, parte del palazzo reale del sovrano sabeo Ilisharah Yahdub (III sec. d.C.) e una sezione del Museo Archeologico dello Yemen nel palazzo dell’imam; gran parte della città di Sa’da è stata bombardata; inoltre colpita anche l’antica Marib, capitale del regno sabeo, con la famosa grande diga, capolavoro di ingegneria idraulica che smistava l’acqua verso la città, e il sito di Sirwah.

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Immagini bombardamenti sauditi alle case-torri di San’a

Ma proprio ieri fonti di stampa araba hanno ripreso le dichiarazioni di Lamya Khalidi che riportava informazioni e immagini trasmesse dall’American Institute of Yemeni Studies (AIYS) circa il bombardamento mirato della celebre città di Baraqish, l’antica Yathill, la seconda città del regno carovaniero di Ma‘in dopo la capitale Qarnaw, e centro che venne conquistato dal generale romano Elio Gallo nella campagna del 25-24 a.C. in Arabia. In particolare, le immagini pubblicate mostrano la distruzione totale dei due bellissimi templi ipostili A e B, dedicati rispettivamente agli dèi Nakrah e Athtar. Il santuario di Nakrah, dio poliade, rimonta al VII sec. a.C. e rimase in uso sino al I sec. d.C.

Portato alla luce nel 1990-1992 dagli scavi diretti da Alessandro de Maigret, il tempio di Nakrah fu completamente restaurato nel 2004: con pianta quadrata di 13 metri di lato, ha una struttura ipostila e sanctum diviso in cinque navate da quattro file di monumentali pilastri alti 5,50 metri. Anche il muro di cinta di Baraqish è stato distrutto così come la casa della Missione Italiana. Mohannad al-Sayani, direttore dello Yemen’s General Organisation of Antiquities and Museums, lamenta che si potrebbe trattare di distruzioni mirate, per motivi ideologici, ad annientare il patrimonio culturale del Paese, simili a quelle intenzionali perpetrate dallo Stato Islamico in Iraq e Siria.

È difficile stabilire le motivazioni, al di là della follia di una guerra settaria tra sciiti e sunniti; tuttavia, è un dato di fatto che ad Aden, per esempio, vengono prese di mira da parte dei sunniti proprio le moschee sciite dei ribelli Houthi, mentre le milizie qaediste minacciano atti iconoclastici contro gli “idoli” conservati nel museo di Mukallah, e contro due santuari sufi tra cui la antica moschea di Lahj del XIII sec. Una strage per l’incredibile patrimonio culturale dello Yemen che si aggiunge alla crisi umanitaria di un Paese allo stremo delle forze.

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Immagini della distruzione dei templi di Baraqish scavati e restaurati dalla Missione Archeologica Italiana

 

IRAQ
Ricostruzioni devastanti da parte del governo nella città santa di Kerbala

Ha dell’incredibile la notizia fornita dall’architetto iracheno Ihsan Fethi circa la ristrutturazione del celeberrimo santuario dell’Imam al-Hussain a Kerbala nell’Iraq centro-meridionale, luogo di sepoltura del nipote del profeta Muhammed, e terzo imam degli sciiti, dopo che venne trucidato nel 680 d.C. nel più grande scisma della religione musulmana. La moschea, in origine del VII sec. d.C., è stata recentemente interessata dalla copertura dell’esteso cortile (sahn) con una tettoia metallica che sovrasta l’immensa corte circostante, col risultato negativo di ridurre significativamente la visibilità dell’imponente cupola storica dorata che svetta sopra il mausoleo. Per rimediare al danno le autorità hanno preso una decisione quanto meno sconcertante: costruire una nuova cupola che contenga al suo interno quella originale, come una matrioska in un gioco a incastro inverosimile. La comunità di studiosi iracheni ha giustamente lanciato un appello al governo e all’Unesco per fermare lo scempio.

 

SIRIA
IS video sulla distruzione di Mar Elian

Intanto è uscito un video della distruzione lo scorso agosto del monastero cristiano del V sec. di Mar Elian, martire cristiano ucciso dal padre, un soldato romano, per non avere ripudiato la nuova fede.
http://www.clarionproject.org/videos/islamic-state-release-video-monastery-destruction


5 settembre 2015

SIRIA
Palmira. Distrutte sette tombe a torre

Purtroppo, come si temeva, ci sono altre distruzioni. Il direttore del Dipartimento di Antichità della Siria, M. Abdulkarim, ha riferito che fonti locali hanno registrato la distruzione con esplosivo di sette tombe a torre ubicate nelle necropoli di Palmira. Tra queste figura anche la celeberrima tomba di Elahbel, una delle meglio conservate della città. Edificato nel 103 d.C. da una ricca famiglia palmirena, il mausoleo presentava quattro piani e un livello sotterraneo, tutti magistralmente decorati nello stile echeggiante la koiné ellenistico-aramaica e partica.

Inoltre in un recentissimo rapporto di Asor (American Schools of Oriental Research) si vedono immagini satellitari che dimostrano la distruzione intenzionale di altre tre tombe, tra cui quella di Iamliku e di Atenaten colpite tra giugno e agosto 2015.

Non dobbiamo tuttavia farci ingannare da questi atti vandalici: ritengo che le distruzioni intenzionali siano solo una copertura da parte dell’IS per nascondere le prove dei saccheggi perpetrati a Palmira in questi mesi, secondo un format già visto nel sito assiro di Nimrud. Secondo eminenti colleghi, sul mercato internazionale e in particolare a Londra, vi sarebbero già oggetti palmireni in vendita. Cosa aspetta l’Occidente a intervenire?
Paolo Brusasco, Università di Genova
www.asor-syrianheritage.org/special-report-update-on-the-situation-in-palmyra/

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31 agosto 2015

SIRIA
Palmira

Purtroppo le immagini satellitari di Unitar (Nazioni Unite) confermano che il peggio è avvenuto: il tempio di Bel a Palmira del I sec. d.C. è stato fatto completamente esplodere dai miliziani dell’IS.

È stata distrutta la cella con il doppio adyton in cui si venerava il dio semitico Bel, e gli dei del sole Yarhibol e della luna Aglibol.
Si tratta di una perdita gravissima per l’archeologia: insieme al tempio Baalbek in Libano rappresentava il più importante ed esteso santuario di tutto il Vicino Oriente.
www.theguardian.com

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30 agosto 2015

SIRIA
Palmira. Baalshamin: immagini satellitari ne confermano distruzione

Sono giunte immagini satellitari del 25 agosto (satellite francese) che purtroppo confermano anche dal cielo il livellamento del tempio di Baalshamin, come si vede dal confronto con la fotografia del 22 maggio scorso in cui il tempio si ergeva ancora intatto (Pléiades Earth-observation system).
www.bbc.com/news/science-environment-34090536

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25 agosto 2015

SIRIA
Palmira. Distrutto il tempio di Baalshamin

Purtroppo le supposizioni più nere sulla sorte del tempio di Baalshamin a Palmira sono risultate attendibili. Le tremende immagini che ci arrivano non lasciano speranze.

Gli ultimi aggiornamenti ci arrivano sempre dal nostro collaboratore professor Paolo Brusasco (Università di Genova): “Sono state pubblicate sui social media le foto della distruzione del tempio di Baalshamin, divinità semitica occidentale con aspetti assimilabili al dio della tempesta Adad. Il format è sempre lo stesso, quello utilizzato nella capitale assira di Nimrud: uomini del califfato che piazzano le micidiali bombe a barile all’interno e all’esterno delle mura del tempio, che era tra i meglio conservati di Palmira.

Alcuni colleghi mi hanno suggerito che non è casuale l’attacco a Baalshamin, dal momento che il suo culto era associato a quello della dea Allat, citata nel Corano come simbolo di idolatria preislamica. Secondo il direttore delle Antichità Siriane, M. Abdulkarim si tratta del primo di una lunga serie di attacchi a Palmira”.
http://www.independent.co.uk


agosto 2015

IRAQ
La distruzione di Assur

Sempre del professor Paolo Brusasco ecco un aggiornamento, altrettanto catastrofico, sul sito di Assur (in Iraq): «In riferimento alla distruzione della cittadella di Assur, testimoniata da abitanti locali il 28 maggio 2015, sono giunte immagini satellitari che confermano l’esplosione e il livellamento di parte della celeberrima ziqqurrat e del tempio del dio Assur fondato dal re assiro Shamshi-Adad I (1812-1780 a.C.).

Colpiti dall’IS anche il palazzo ottomano dello sceicco Farhan Pasha (capo della tribù Shammar alla fine dell’Ottocento), ubicato all’interno della estesa corte centrale del tempio di Assur e l’archivio con la documentazione di scavo ivi contenuto che è stato bruciato.

Non sono apparentemente visibili invece danni alla porta neoassira di Tabira e alle tombe reali nell’area del palazzo vecchio, ma la copertura metallica installata su queste ultime dal Dipartimento di Antichità iracheno nel 2013 potrebbe celare eventuali interferenze”. Nelle due foto aeree si vede l’area del tempio di Assur subito prima (maggio 2015) e subito dopo l’attacco (giugno 2015).
http://www.asor-syrianheritage.org/syrian-heritage-initiat…/

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IRAQ 2015
Il futuro perduto di città millenarie

I terroristi dello Stato Islamico hanno dichiarato guerra all’Occidente blasfemo e in questo quadro ideologico rientrano le distruzioni metodiche delle testimonianze delle civiltà preislamiche riportate in luce in centocinquant’anni di ricerche archeologiche in Mesopotamia condotte in gran parte dagli Europei
di Paolo Brusasco

Per chi come me ha avuto la fortuna di scavare i siti assiro-babilonesi dell’Iraq, assistere alla disintegrazione delle antiche capitali d’Assiria, di centri rinomati dell’ellenismo come Hatra, o di monasteri cristiani straordinari come Mar Behnam (IV sec.) non può che suscitare una profonda tristezza. […] Da Archeologia Viva n. 172 luglio/agosto 2015

Leggi tutto l’articolo


dicembre 2014 – febbraio 2015

IRAQ
Dopo un relativo periodo di apparente tranquillità, si registrano nuove drammatiche distruzioni intenzionali da parte dell’IS nel nord dell’Iraq

Antica Ninive/Mosul
Sono autentiche le immagini del video pubblicato giovedì 26 febbraio dallo Stato islamico sui social media che mostrano la barbarica distruzione a colpi di martello e trapano delle spettacolari sculture custodite nel Museo di Mosul. Fondato nel 1952 e riallestito negli anni settanta del Novecento in una suggestiva struttura in stile islamico, il Museo è il secondo per importanza dopo l’Iraq Museum di Baghdad e ospita quattro gallerie: la sala preistorica, quella Assira con sculture da Nimrud, la sala di Hatra e quella islamica. Tuttavia, per motivi di sicurezza, gran parte dei 1500 straordinari reperti custoditi nelle vetrine espositive vennero evacuati nel marzo 2003, poco prima della II guerra del Golfo, e inviati all’Iraq Museum di Baghdad dove ora si trovano.

Ad una attenta osservazione dei fotogrammi del video risulta pertanto evidente che molti dei reperti – anche se non tutti – sono delle repliche moderne in gesso in sostituzione degli originali. In particolare, quasi tutti i rilievi assiri mostrati sono copie di quelli preservati al British Museum dopo gli scavi ottocenteschi di H. Layard. Alcune splendide sculture di Hatra, la capitale ellenistica con tratti partici e arabi, sono purtroppo autentiche e quindi risultano perse per sempre. Così come autentico è anche il toro alato androcefalo (lamassu) che nella sezione finale del video di IS viene sfigurato e distrutto con un trapano elettrico: si trova a protezione della porta urbica di Nergal, ubicata nel sistema di fortificazione della città di Ninive che il sovrano assiro Sennacherib (704-681 a.C.) edificò nell’VIII-VII sec. a.C.

Inoltre, un altro spettacolare genio alato a protezione di un’altra porta urbica (non identificabile) è stato distrutto. La motivazione: sempre la stessa pretestuosa applicazione di una fantomatica legge coranica di soppressione degli idoli pagani. Idoli che a seconda della convenienza del momento vengono però contrabbandati da IS sul mercato nero dell’arte. Sembrerebbe inoltre che alcuni reperti originali del Museo di Mosul potrebbero essere stati trafugati dall’IS che si sarebbe limitato a obliterare quelli che per dimensioni era più difficile rimuovere e rivendere.

La cittadella medievale e assira di Tal Afar
Riprese fotografiche documentano le esplosioni occorse il 31 dicembre 2014 nella cittadella medievale di Tal Afar, noto centro dell’Iraq settentrionale a circa 50 chilometri a ovest di Mosul, con importanti resti di età neoassira. Oltre ai danni visibili nelle murature della fortezza, sarebbero in corso scavi clandestini tra le stesse rovine – ha riferito Mohammed Ibrahim al-Baiyati, capo del comitato di sicurezza provinciale iracheno.

https://gatesofnineveh.wordpress.com/2015/02/10/isis-destroys-several-more-sites-in-mosul-and-tal-afar/
www.business-standard.com/article/news-ians/is-militants-damage-ancient-citadel-shrines-in-iraq-114123100681_1.html

Nuove distruzioni di moschee funerarie e chiese cristiane a Mosul
La stessa fonte riporta anche la distruzione a Mosul delle moschee funerarie dell’Imam Muhsin (colpita con un bulldozer) e di Sultan Waiys, e di quelle di Al-Umawiyya e di Al-Fatih nel quartiere orientale di Qasim Al-Khayat di Mosul, con il rapimento dello sceicco Idris al-Noaimi e altri tre civili che avevano cercato di fermare l’operazione. Le moschee sarebbero state fatte esplodere dall’IS perché espressione tangibile di politeismo in quanto ospitavano sepolture al loro interno. Il giornale curdo Rudaw riporta anche l’abbattimento di una chiesa a Mosul, ma non è certo se sia quella di al-Tahira o la chiesa domenicana.
http://www.al-sharq.com/news/details/300157#.VOSnLNJ0xy2
http://rudaw.net/arabic/middleeast/iraq/020220157

Biblioteche di Mosul: circa 2000 libri bruciati?
Secondo l’Associated Press, che riprende testimonianze di cittadini di Mosul, il 31 gennaio 2015, l’IS avrebbe bruciato oltre 2000 libri – perché “non islamici” – dopo averli sequestrati dalla Biblioteca Universitaria, da quella Centrale e Domenicana. Tuttavia una nota pubblicata dall’Oriental Institute dell’Università di Chicago come “rapporto affidabile da Mosul” ridimensiona la notizia e riferisce di furti minori.
http://bigstory.ap.org/article/1ec4e2a1bb5b4dce97faa462478f7c0e/iraqi-libraries-ransacked-islamic-state-group-mosul

 

SIRIA

Secondo il drammatico rapporto pubblicato il 17 febbraio 2015 sul sito ufficiale del DGAM, il Dipartimento di Antichità siriano , nei due noti siti archeologici di Mari e Dura Europos sul medio Eufrate siriano sono in atto sistematici saccheggi da parte di bande di criminali armati, provenienti anche dai paesi confinanti, che operano sotto la direzione dello Stato Islamico. A dirlo sono alcuni membri delle stesse comunità dei villaggi ubicati nei pressi dei siti. IS incentiverebbe i saccheggi, sfruttando anche l’estrema povertà della popolazione locale, e imporrebbe su ciascun reperto la tassa islamica del khums, incrementandola ad addirittura 1/3 (anziché 1/5) del valore del bene. La portata delle distruzioni era nota dalle immagini satellitari pubblicate nei mesi scorsi, ma queste notizie dirette sono particolarmente allarmanti perché si tratta di due siti di primaria importanza, inseriti nella lista provvisoria Unesco di quelli candidati a diventare patrimonio mondiale dell’umanità.
http://www.dgam.gov.sy/index.php?d=314&id=1597

Nuove e importanti misure del Consiglio di Sicurezza dell’ONU su Siria e Iraq
Il 12 febbraio 2015, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 2199 che vieta il mercato di beni culturali illegalmente rimossi dalla Siria a partire dal 15 marzo 2011 e dall’Iraq, a decorrere dal 6 agosto 1990. Questa misura, finalizzata alla tutela del patrimonio culturale dei due paesi, mira anche a colpire le principali fonti di finanziamento dell’IS: il commercio clandestino di beni archeologici è al secondo posto dopo il mercato nero del petrolio.
http://uscbs.org/news/breaking-news-resolution-2199-bans-trade-cultural-materials-illegally-removed-syria/


L’Is distrugge le statue per propaganda
«Quel che conta è il racket dei reperti»

Intervista a Paolo Brusasco (Avvenire, 28 febbraio 2015)

Paolo Brusasco manca da Mosul dal 2002. «Già allora la situazione si stava deteriorando – racconta -. Alcune zone della città erano chiamate Kandahar, come per dire che lì comandavano gli emuli dei taleban». Archeologo dell’Università di Genova, Brusasco ha condotto numerose campagne di scavo nel Vicino Oriente ed è stato fra i primi a denunciare il saccheggio in atto nella zona (suo il saggio Tesori rubati, edito nel 2013 da Bruno Mondadori).

Professore, che cosa è veramente successo a Mosul?
Quello che di solito succede nei territori occupati dallo Stato islamico: si vendono i reperti che è possibile smerciare e si distruggono quelli che non hanno mercato. Una logica che può apparire contraddittoria, ma che obbedisce sempre a un criterio di convenienza, economica o ideologica che sia.

È vero che molte delle opere distrutte erano in realtà copie?
Di sicuro non erano copie i libri mandati al rogo nei giorni scorsi. Costituivano il patrimonio del museo di Mosul (il secondo per importanza in Iraq), della biblioteca dei Domenicani e di quella Centrale, che è stata addirittura fatta esplodere. Quanto al museo stesso, vanta una collezione molto articolata, che dalla preistoria arriva fino all’età islamica. Nel 2003, alla vigilia della Seconda guerra del Golfo, non meno di 1.500 pezzi tra i più preziosi, come quelli provenienti dal sito ellenistico di Hatra, sono stati portati in salvo a Baghdad, proprio per evitare razzie e distruzioni simili a quelle che già si erano verificate nel 1991. Quindi sì, ad andare in frantumi sono state più che altro riproduzioni in gesso. E anche i rilievi assiri che abbiamo visto vandalizzare erano repliche: gli originali sono conservati a Londra, presso il British Museum. Diverso, purtroppo, il discorso per quanto riguarda i due grandi tori alati con testa d’uomo.

Le statue colossali sfregiate a colpi di trapano?
Esatto, sono raffigurazioni del lamassu, il genio che vegliava sui portali delle regge assire. Nel famigerato filmato se ne riconoscono due: uno era conservato presso il museo, l’altro era ancora collocato in una delle porte dell’antica Ninive. Il rischio, a questo punto, è che lo Stato islamico voglia distruggere anche le mura.

Ci si è accaniti contro i lamassu perché sono raffigurazioni dolatriche?
Più che altro perché, non essendo trasportabili, non avevano valore commerciale. Nel Corano, del resto, non c’è alcun invito a distruggere gli idoli. Si tratta di un’interpretazione estremistica, tipica della scuola wahhabita, appellandosi alla quale i miliziani dell’Is stanno distruggendo decine di moschee funerarie, considerate luoghi di idolatria perché conservano le tombe di imam, sufi e profeti del passato.

Quanto guadagna lo Stato islamico dal traffico di reperti?
Dopo il commercio illegale di petrolio, questa è la sua seconda fonte di finanziamento, basata su una struttura di tipo mafioso, un vero e proprio racket che prevede il subappalto a bande di criminali locali e sfrutta la complicità di alcuni archeologi professionisti. La cifra complessiva non è nota, tuttavia fonti di intelligence hanno rivelato che, ancora prima della conquista di Mosul, l’Is aveva ricavato 36 milioni di euro dallo sfruttamento di un solo sito di scavi clandestini. Ma il quadro complessivo è ancora più allarmante.

Perché?
Perché lo Stato islamico non è l’unico a trarre profitto da questa situazione. A Beirut, per esempio, sono state sequestrate alcune statue provenienti da Palmira, vale a dire da una parte della Siria che è ancora controllata dalle truppe di Assad. E anche in Turchia procurarsi una tavoletta cuneiforme, una moneta antica o un sigillo è tutt’altro che impossibile.