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Gli ultimi di Pompei. Scoperta la stanza degli schiavi

8 novembre 2021


La storia capovolta

Un esercito silenzioso. Senza che nulla o nessuno potesse tramandarne la memoria.
Morti nella tragedia risorti nella storia: gli ultimi di Pompei (i “muti” come li chiamava Riccardo Francovich) tornano oggi a parlare di sé grazie a un ritrovamento eccezionale… che “democraticamente” ridisegna per la città sepolta dall’eruzione del 79 d.C. un’inedita geografia umana e urbana.

Dagli scavi della villa di Civita Giuliana emerge un nuovo ambiente in eccezionale stato di conservazione: la stanza degli schiavi.
Le indagini squarciano il velo su una parte del mondo antico che normalmente rimane all’oscuro, dalla quale affiora uno spaccato rarissimo della realtà quotidiana degli schiavi.

Pompei stupisce ancora

Grazie all’affinamento della tecnica dei calchi inventata da Giuseppe Fiorelli nell’Ottocento, sono stati portati alla luce letti e altri oggetti in materiali deperibili, che permettono di acquisire nuovi interessanti dati sulle condizioni abitative e di vita degli schiavi a Pompei e nel mondo romano.
Il rinvenimento è avvenuto non lontano dal portico della villa suburbana di Civita Giuliana, a nord di Pompei, dove nel gennaio 2021, fu scoperto un ricco carro cerimoniale attualmente in restauro.

Tre brandine e un vaso da notte

A pochi passi da lì emerge ora uno dei modesti alloggi degli addetti che si occupavano del lavoro quotidiano in una villa romana, inclusa la manutenzione e la preparazione del carro.
Nell’ambiente, dove sono state trovate tre brandine in legno, infatti, è stata rinvenuta una cassa lignea con oggetti in metallo e in tessuto che sembrano far parte dei finimenti dei cavalli.

Inoltre, appoggiato su uno dei letti, è stato trovato un timone di un carro, di cui è stato effettuato un calco. I letti sono composti da poche assi di legno sommariamente lavorate che potevano essere assemblate a seconda dell’altezza di chi li usava. Mentre due hanno una lunghezza pari a 1,70 m circa, un letto misura appena 1,40 m per cui potrebbe essere di un ragazzo o di un bambino.

La rete dei letti è formata da corde, le cui impronte sono parzialmente leggibili nella cinerite, e al di sopra delle quali furono messe coperte in tessuto, anch’esse conservate come cavità nel terreno e restituite attraverso il metodo dei calchi. Al di sotto delle brandine si trovavano pochi oggetti personali, tra cui anfore poggiate per conservare oggetti, brocche in ceramica e un “vaso da notte.”

Un dormitorio – ripostiglio di 16 mq

L’ambiente era illuminato da una piccola finestra in alto e non presentava decorazioni parietali. Oltre a servire da dormitorio per un gruppo di schiavi, forse una piccola famiglia come lascerebbe intuire la brandina a misura di bambino, l’ambiente era utilizzato come ripostiglio, come dimostrano otto anfore stipate negli angoli lasciati appositamente liberi per tal scopo.

Dichiara il direttore Gabriel Zuchtriegel: «Si tratta di una finestra nella realtà precaria di persone che appaiono raramente nelle fonti storiche, scritte quasi esclusivamente da uomini appartenenti all’élite. È un caso in cui l’archeologia ci aiuta a scoprire una parte del mondo antico che conosciamo poco, ma che è estremamente importante».

«Quello che colpisce è l’angustia di cui parla questo ambiente, una via di mezzo tra dormitorio e ripostiglio di appena 16 mq, che possiamo ora ricostruire grazie alle condizioni eccezionali di conservazione create dall’eruzione del 79 d.C. È sicuramente una delle scoperte più emozionanti nella mia vita da archeologo, anche senza la presenza di grandi ‘tesori’: il tesoro vero è l’esperienza umana, in questo caso dei più deboli della società antica, di cui questo ambiente fornisce una testimonianza unica».

E un mantello di lana sposta la data dell’eruzione

Per Massimo Osanna, direttore generale dei Musei sotto la cui direzione al Parco archeologico di Pompei sono stati avviate nel 2017 le attività di scavo, i due calchi dei fuggitivi con gli abiti che si vedono molto bene, il sacco con il mantello di lana, che è stato recuperato e analizzato e che ci ha fornito una prova di più, sono un’ulteriore conferma che l’eruzione avvenne alla fine di ottobre (non in agosto come si è a lungo pensato).