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Vino (e acqua) per gli Assiri

10 dicembre 2021 


Ancora scoperte nel Kurdistan iracheno

Una vasta area destinata alla produzione vinicola e i più antichi acquedotti della storia sono le ultime eccezionali scoperte realizzate dagli archeologi dell’Università di Udine durante l’ultima campagna di scavi nel Kurdistan iracheno, dirette da Daniele Morandi Bonacossi, professore di Archeologia del Vicino Oriente Antico all’Università di Udine e direttore del Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive (PARTeN), mentre Francesca Simi, vicedirettrice del progetto, segue le problematiche relative alla protezione del patrimonio culturale in uno scenario post bellico.

I dettagli della straordinaria scoperta saranno illustrati al pubblico di tourismA (Salone internazionale dell’Archeologia e del Turismo culturale) dal direttore delle ricerche Daniele Morandi Bonacossi nel pomeriggio di domenica 19 dicembre al Palazzo dei Congressi di Firenze (vedi programma)

Le vasche per il vino

Gli archeologi hanno riportato alla luce 14 vasche per la spremitura dell’uva, scavate direttamente nella roccia calcarea, lungo il pendio della collina che si trova alle spalle dall’antico sito di Khinis (l’antica Khanusa assira), dove il fiume Gomel fu deviato nel grande canale scavato dal re assiro Sennacherib per irrigare la campagna del centro dell’impero e portare l’acqua alla sua capitale Ninive. I dati raccolti sembrano confermare che si tratti del primo e più antico sito per la produzione vinicola dell’intera Mesopotamia.

 Acquedotti imperiali

A Shiv Asha, a est di Duhok, gli archeologi hanno portato alla luce un monumentale acquedotto collegato al canale fatto costruire dal sovrano assiro Sennacherib e da lui chiamato nelle sue iscrizioni “Canale di Sennacherib”. L’acquedotto di Shiv Asha è simile al celebre, non troppo distante, acquedotto di Jerwan scavato da archeologi americani negli anni ’30 del secolo scorso. Prima dell’inizio dei lavori del progetto PARTeN, l’acquedotto di Jerwan sembrava rappresentare un unicum. Le ricerche del team friulano, invece, hanno identificato altri quattro acquedotti.

Lo scavo dell’acquedotto di Shiv Asha ha dimostrato come questi monumentali acquedotti in pietra (larghi oltre 20 metri) e costruiti nel loro nucleo interno con grandi blocchi di pietra non lavorati e rivestiti di conci di calcare ben squadrati, fossero presenti lungo tutto il corso del canale per permettere all’acqua trasportata di evitare le distruttive piene stagionali dei corsi di acqua minori che ne intersecavano il percorso e di continuare a scorrere verso sud fino alla capitale dell’impero assiro, Ninive (moderna Mosul). Questi monumenti rappresentano i primi acquedotti in pietra della storia e sono più antichi di circa quattro secoli dei più noti acquedotti romani

Lo straordinario sito di Faida

Il complesso archeologico di Faida è di fatto un sito straordinario che consiste in un lungo canale scavato nella roccia per quasi 9 km costruito dal al sovrano assiro Sargon II (721-705 a.C.) o da suo figlio Sennacherib (704-681 a.C.) alla base di una collina. Lungo il canale, il sovrano assiro fece scolpire grandi pannelli di quasi 5 m di larghezza e 2 m di altezza rappresentanti il sovrano assiro ai due lati di una serie di divinità stanti sui loro animali simbolo. Nell’agosto del 2021, sono riprese le attività per lo studio, documentazione, conservazione e protezione del sito.

Il lavoro è stato portato avanti dal Kurdish-Italian Faida Archaeological Project, una équipe curdo-italiana di archeologi provenienti dalla Direzione delle Antichità di Duhok e dall’Università di Udine, co-diretta dal Prof. Morandi Bonacossi e dal Dr. Bekas Hasan. Il team, composto non solo da archeologi ma anche da restauratori, geologi, fotografi, disegnatori e topografi, ha lavorato per oltre due mesi per studiare e comprendere meglio questo complesso così unico e difficile da proteggere.

Oltre 150 metri di canale ancora inesplorato sono stati scavati e altri due straordinari rilievi sono venuti alla luce, indagini geochimiche e idrogeologiche sono state condotte per comprendere come proteggere al meglio i rilievi rupestri e una recinzione è stata costruita per delimitare e proteggere l’area che gli archeologi italiani stanno trasformando in un esteso parco archeologico che renda questi straordinari monumenti fruibili alle comunità locali e al turismo nazionale e internazionale.