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Vasi egizi: “annusato” il contenuto

31 marzo 2022


Imballati e annusati

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno investigato per la prima volta il contenuto di circa cinquanta vasi e anfore provenienti dalla tomba di Kha e Merit del Museo Egizio di Torino risalenti a circa 3500 anni fa.

Reperti “imbustati” in attesa di essere analizzati (Foto: Federico Taverni, Museo Egizio)

A rigor di… naso

L’indagine è avvenuta senza aprire o intaccare i reperti grazie a una innovativa metodologia che ha permesso di “annusare” le tracce dei composti organici residui. Nei preziosi contenitori in alabastro sono stati identificati resine e unguenti spesso insieme a cera d’api, uno dei materiali più rinvenuti perché usato sia come conservante sia come base per la preparazione di cosmetici. Nelle anfore i ricercatori hanno poi rintracciato pesci essiccati e molecole volatili la cui presenza potrebbe essere associata a farina d’orzo o addirittura birra come suggerito dalla presenza di composti volatili specifici della fermentazione dei cereali.

L’analisi dei reperti (Foto: Federico Taverni, Museo Egizio)

In particolare, l’esame dei reperti è stato eseguito con uno spettrometro di massa SIFT-MS (Selected Ion Flow Tube-Mass Spectrometry) trasportabile, un macchinario che solitamente è impiegato in ambito medico per quantificare i metaboliti del respiro o per determinare inquinanti ambientali, e che solo recentemente ha dimostrato la sua utilità anche nel campo dei beni culturali per eseguire indagini preservando l’integrità dei reperti.

Altre analisi dei reperti (Foto: Federico Taverni, Museo Egizio)

Per un “archistar” e sua moglie

La tomba di Kha e Merit, ritrovata intatta, appartenne non a faraoni ma a gente comune: un architetto e sua moglie.

Maschera funeraria di Merit – Nuovo Regno / XVIII dinastia, Amenofi II – Amenofi III (1428-1351 a.C.) Torino, Museo delle Antichità Egizie. © Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino

Il suo fantastico corredo si trova per buona parte al Museo Egizio di Torino in quanto fu scoperta nel 1906 dall’allora direttore Ernesto Schiaparelli, mentre scavava a Tebe nel cosiddetto “villaggio degli operai” ( foto sotto) a Deir – el Medina.

In particolare Kha fu l’architetto di grandi faraoni della XVIII dinastia (1425-1353 a.C.), e a Deir el-Medina si costruì una tomba più piccola di quella dei faraoni ma concepita allo stesso modo. All’interno, oltre ai sarcofagi di Kha e della moglie, la tomba fu fatta riempire di oltre 500 reperti, tra cui vasi canopi, tuniche, sgabelli, biancheria, strumenti da lavoro e da toletta, papiri, gioielli, una scacchiera e cibi fossilizzati (pane, olive, aglio).

Tecnologia al servizio dell’antico

«Questo studio ha dimostrato la possibilità di impiegare questo genere di strumentazione direttamente nei musei, per ottenere informazioni importanti su numerosi oggetti in modo rapido e completamente non distruttivo – spiega la professoressa Ilaria Degano dell’Università di Pisa – un simile approccio potrà dunque essere impiegato in nuove campagne diagnostiche, ed eventualmente in futuro esteso anche all’indagine di materiali diversi provenienti dall’ambito dei beni culturali, quali ad esempio collezioni di oggetti d’arte moderni e contemporanei».