Archeologia Viva n. 152 – marzo/aprile 2012
pp. 36-39
di Omar Fragomeni
Nelle profonde solitudini di questa estrema terra africana esiste un luogo magico agli occhi di quanti lo visitano oggi ma anche di chi lo ha frequentato migliaia di anni fa…
A prima vista il Paese potrebbe suscitare poco entusiasmo: terre spoglie, bagnate da un oceano freddo, strade polverose dove per ore non si incontra anima viva…
La Namibia è questa, ma è il suo fascino nascosto che la rende straordinaria. Sono tante le contraddizioni che la fanno apparire crudele e allo stesso tempo amabile. Chi la visita non può non innamorarsene.
La sua straordinaria storia geologica impone paesaggi e strutture di una bellezza atavica che fanno calare l’osservatore in una terra senza tempo. Nel silenzio degli sterminati deserti s’incontra un luogo, Twyfelfontein, magico per chi lo visita ora, ma che dovette apparire tale anche agli occhi di chi lo ha frequentato migliaia di anni fa.
Come un anfiteatro, le arenarie dominano la pianura erbosa, con il loro intenso colore rosso che spicca sul giallo della prateria secca. Dapprima denominato Uri-Ais dai Damara, popolazione indigena, venne poi ribattezzato Twyfelfontein che in lingua afrikaans vuol dire ‘fontana incerta’.
Il nome è dovuto all’intermittenza della sorgente, più o meno attiva in base alle piogge. Così la chiamarono i primi coloni europei giunti nella prima metà del Novecento, che usavano l’acqua per gli animali al pascolo. […]