Archeologia Viva n. 214 – luglio/agosto 2022
p. 84
di Giuliano Volpe
Nonostante alcune migliorie normative introdotte il lavoro dell’archeologo continua a essere oggetto di un vero sfruttamento delle capacità di una categoria maltrattata
È legittimo lavorare a sei o sette euro l’ora? È deontologico che un archeologo proponga uno “sconto” dell’ottanta per cento sulle tariffe indicate da un bando pubblico? È giusto che la (legittima) concorrenza si giochi non sulla qualità ma sul massimo ribasso e, a volte, anche sui rapporti con il funzionario responsabile? A chi spetta la pubblicazione di un lavoro, a chi ha condotto la ricerca o ad altri? È possibile che professionisti plurititolati debbano essere assunti come operai per “godere” di minor precarietà?