Archeologia Viva n. 215 – settembre/ottobre 2022
pp. 72-74
Intervista di Giulia Pruneti
«Roma medievale per secoli fu di fatto una cava a cielo aperto: crebbe con le pietre, i mattoni, le colonne e le statue della città antica»
«Il coinvolgimento della gente comune è l’unica garanzia per la sopravvivenza del patrimonio archeologico»
«L’archeologia è un’attività culturale collettiva ovvero un impegno civile»
«Cosa fa l’archeologo? Semplice: interviene su ciò che è stato per guardare a ciò che sarà»
L’archeologia come missione, come impegno civile con uno sguardo vigile e responsabile verso una comunità sempre più interessata a una disciplina per troppo tempo relegata al linguaggio dei soli addetti. Certo, i metodi, le teorie, la ricerca, il rigore scientifico. I piedi restano ben piantati in quelle fondamenta, ma testa e anima guardano, devono guardare – ribadisce Daniele Manacorda – oltre. Perché la sopravvivenza del patrimonio dipende da quanto lo sentiamo nostro, da come guardiamo alla realtà di oggi attraverso la lente del passato, da quanto l’archeologia è capace di farsi “pubblica”.