Archeologia Viva n. 215 – settembre/ottobre 2022
pp. 6-14
di Alessandro Roccati
Era il 1822 quando l’antica civiltà della terra del Nilo riprese a parlarci con i messaggi in scrittura geroglifica rimasti muti per quasi duemila anni
Uno dei migliori egittologi italiani ripercorre l’affascinante avventura del deciframento per il quale furono decisivi la geniale intuizione di Champollion e la scoperta di Rosetta
Duecento anni fa, dopo secoli di vani tentativi, si riuscì di nuovo a interpretare correttamente il messaggio affidato ai geroglifici dell’antico Egitto. Oggi sappiamo che essi erano serviti a scrivere la lingua parlata in quel Paese per oltre tremila anni, un periodo ben più lungo di quello coperto dall’alfabeto che usiamo, e che la loro denominazione è in realtà la traduzione approssimativa in greco della loro designazione originaria, propriamente ‘parola di dio’.
Quando gli dei dell’Egitto furono sostituiti dal Dio dèi cristiani, dopo che l’Egitto da tempo era divenuto una (ricca) provincia dell’impero romano, gli egiziani cominciarono a scrivere la loro lingua con l’alfabeto greco e si perse completamente la conoscenza della “scrittura” geroglifica nella sua complessità.
Anche a causa della sua natura figurata, se ne mantennero solo vaghe idee su possibili spiegazioni allegoriche, alimentate dalla filosofia greca, e dimenticando l’impianto fonetico che ne sta realmente alla base.