Archeologia Viva n. 215 – settembre/ottobre 2022
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di Piero Pruneti
La ricorrenza a cui la nostra rivista dedica il bell’articolo di Alessandro Roccati non è da poco. L’avvio, due secoli fa, di un metodo corretto per il deciframento dei geroglifici egiziani che dobbiamo alla scientifica caparbietà di Jean-François Champollion ha segnato una svolta radicale nella conoscenza del Paese del Nilo, fino ad allora rimasto muto come le sabbie del deserto che lo assediano. Fra Settecento e Ottocento l’Egitto affascinava comunque viaggiatori, studiosi, cacciatori di tesori.
Ma tutti quei monumenti che si andavano riscoprendo portavano ad alimentare un rapporto metastorico, una “mania” diffusa, un mercato dei reperti… mentre di tutta quella civiltà durata tre millenni si continuava a sapere pochissimo. Eppure era stata una civiltà che si era tramandata tramite una delle prime forme di scrittura, raccontando le proprie vicende sui papiri, sulle pareti delle tombe e dei templi, con quei segni che nel tempo avevano tolto il sonno a schiere di filologi. Champollion non ci ha fornito una sorta di dizionario della scrittura geroglifica, ma ha messo in campo quel sistema corretto per la sua lettura che oggi consente a tutti, con un po’ di studio preliminare, di capire quei segni.
Nel suo articolo il professor Roccati ha tenuto a mettere in rilievo il ruolo che Torino, con i preziosi reperti del neonato Museo Egizio e con il sostegno dell’Accademia delle Scienze, ha avuto nella contrastata vicenda del Decifratore: un patrimonio di documenti e di memoria fondativo della moderna Egittologia che fa onore al piccolo Regno di Sardegna e all’Italia che ne è uscita. Colgo l’occasione per ricordare alcuni grandi egittologi italiani di fama internazionale, già colleghi del nostro Roccati, quali Sergio Donadoni, Silvio Curto, Edda Bresciani, che sulla scia di questa nobile tradizione hanno lavorato per la conoscenza dell’antico Egitto condividendo su Archeologia Viva la loro attività di ricerca.
Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”