Cave di Cusa: storie di pietra per Selinunte I Greci in Sicilia

Cave di Cusa: storie di pietra per Selinunte

Archeologia Viva n. 150 – novembre/dicembre 2011
pp. 14-26

di Anneliese Peschlow-Bindokat e Vincenzo Tusa

L’immenso campo di rovine che ci accoglie visitando la celebre metropoli greca della Sicilia occidentale fu alimentato dalle vicinecave a cielo aperto dove i Selinuntini trovarono in abbondanza la bella calcarenite con cui per un paio di secoli edificarono i loro edifici

In particolare le Cave di Cusa ci offrono l’ultimo fotogramma di un mondo che si arrestò all’improvviso consentendoci oggi di ricostruire l’intera filiera di lavoro dall’estrazione della pietra all’innalzamento di colonne e architravi per i grandiosi templi della città

Conosco, per averli visitati, molti complessi archeologici tra i più noti del mondo: dalle piramidi egiziane alle mura di Ninive, da Babilonia a Sian in Cina dove è stato scoperto il famoso esercito di terracotta, da Ciu Ku Tien all’acropoli di Atene, da Delfi a Cerveteri e Cartagine.

Nessuno di questi complessi ha esercitato su di me tanto fascino quanto le Cave di Cusa. Ci sono stato decine di volte, le ho visitate in lungo e in largo, estese come sono per circa due chilometri, ma ogni volta è stata la stessa emozione, fin dalla prima visita, negli anni Cinquanta.

Mi chiedo sempre il motivo, del resto sono questi dei moti dell’animo che sfuggono a una giustificazione razionale. Certo la componente principale è data dall’impatto con le testimonianze di un lavoro umano “in fieri”; esse infatti non sono classificabili come rovine, alla stessa maniera delle testimonianze archeologiche che siamo soliti osservare.

In questo caso si tratta di un cantiere di lavoro, che ci si trova a visitare in un momento in cui gli operai sono andati a far colazione o hanno sospeso il lavoro per fine giornata, come se tra qualche ora o l’indomani tutto riprendesse….

Era questa la grande cava da cui i Selinuntini estraevano il materiale per le loro ultime costruzioni, cioè il tempio G. Essa si trova a circa otto chilometri dalla città antica, in territorio di Campobello di Mazara (Tp).

La cava ferveva: decine, se non centinaia di operai, svolgevano alacremente le loro mansioni, ma a un tratto il lavoro venne bruscamente interrotto perché i Cartaginesi, dopo cinque giorni d’assedio – siamo nel 409 a.C. – avevano conquistato Selinunte distruggendo tutto, uccidendo sedicimila cittadini, come ci dice Diodoro Siculo, e deportandone cinquemila. E così il lavoro si fermò, come si fermò anche la costruzione dell’enorme tempio G, mai ultimato.

Che il lavoro a Cusa si sia fermato all’improvviso non c’è dubbio. Ce lo dicono le varie testimonianze sul luogo e lungo la via per Selinunte: restarono nella cava, ancora nella falesia di provenienza, colonne quasi del tutto liberate, altre appena iniziate, altre solo segnate con un compasso; nel cantiere ci sono tamburi di colonne già estratti e pronti per essere avviati al posto d’impiego. All’estremità orientale della cava si trova anche un enorme capitello già abbozzato. […]