Incontro con Fabrizio Bisconti La voce della storia

Archeologia Viva n. 149 – settembre/ottobre 2011
pp. 78-80

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«L’arte cristiana dei primi secoli riflette il nuovo credo ma anche la cultura pagana della società in cui i nuovi adepti si muovono»

«All’inizio troviamo espressioni di arte cristiana molto povere talvolta realizzate dagli stessi custodi delle necropoli»

«Le catacombe: cimiteri “verticali” per valorizzare le spese di acquisto del terreno»

«Il barocco non tradisce il pensiero del primo cristianesimo»

Un tema, quello dell’arte cristiana, in particolare della prima, primissima, arte cristiana (che spesso non è neppure facile definire “arte”), delicatissimo da dibattere per i risvolti che esso comporta nella formulazione dell’idea stessa di Cristianesimo. Si tratta di una documentazione per immagini molto antica, espressione di una fede che si stava organizzando nei concetti e nelle istituzioni.

Fu l’epoca delle persecuzioni e dei martiri, dei primi vescovi, della letteratura Patristica. Un’epoca eroica ed entusiasmante per i cultori del nuovo credo, vissuta sullo sfondo di un impero che prima cercò di contrastare il fenomeno e che poi ne divenne un formidabile veicolo.

Tempi quasi mitici per una religione che ben presto si sarebbe organizzata in uno dei più forti e longevi poteri dell’ecumene. Parliamo di arte cristiana con uno dei massimi esperti italiani della materia, Fabrizio Bisconti, “uomo di scienza e uomo di fede”, che – ci assicura lui stesso in apertura d’intervista – ha ben presente il problema deontologico di tenere distinte le due categorie.

Ecco le sue qualifiche, che senz’altro ne fanno, oltre che uno studioso di tutto rilievo, uno dei laici più apprezzati in Vaticano: Sovrintendente archeologo alle catacombe della Pontificia Commissione di Archeologia, Professore di Iconografia cristiana al Pontificio Istituto di Archeologia cristiana, Professore di Iconografia cristiana e medievale all’Università di Roma Tre, Magister della Pontificia accademia “Cultorum Martyrum”. […]