Archeologia Viva n. 217 – gennaio/febbraio 2023
p. 80
di Giuliano Volpe
Gli scavi chiusi in un cassetto non servono a nessuno: bisogna permettere alle nuove generazioni di studiosi di accedere alla documentazione di indagini passate magari da rivedere e correggere alla luce delle nuove tecnologie e conoscenze…
Così parlò Carandini: «Vi è chi ritiene, specie fra gli storici dell’arte, che non bisognerebbe più scavare, ma solo tutelare e conoscere quanto è già in luce. È come ingiungere a una persona: “Riordina la tua memoria e non imparare di più”. Conservare una biblioteca significa studiarvi, riordinarla, incrementarla e non solo spolverarne gli scaffali. Lo scavo è la necessaria premessa di ogni studio e restauro di quanto emerge ed è noto. […]
L’indagine è come una smagliatura che avanza e non si sa dove si fermerà. Smettere di scavare significherebbe smettere di conoscere in modo attuale il mondo materiale…». Così scriveva un bel po’ d’anni fa Andrea Carandini nel suo insuperato manuale Storie dalla terra (la prima edizione è del lontano 1981).